![](https://www.ilcittadinoonline.it/wp-content/uploads/originali/1288110755171.jpg)
di Gianni Basi
SIENA. Il concerto di domani (11 dicembre) dell’87° Micat in Vertice chigiano si svolgerà alle canoniche ore 21 nello scenario, piccolo ma di ottima acustica soprattutto al suono delle tastiere, del Teatro dei Rozzi.
Anche la sua tinta di fondo, velata di blu, sembra contribuire notevolmente all’ascolto sereno di un evento pianistico. Nel caso di Alexander Lonquich, che sarà il protagonista di una serata tra l’altro in abbonamento promozionale per i giovani, questa ideale condizione ambientale favorirà vieppiù il particolare gradimento del pubblico.
Lonquich, già più volte esibitosi nelle stagioni chigiane, ad una tecnica pianistica invidiabile affianca la spiccata inclinazione alla cura della formazione di giovani musicisti ed alla conduzione di laboratori di ricerca scenica e musicale, come nel “Kinderszenen” dedicato ai più piccoli e nel “Villon Ensemble” per i più grandi. E’ anche direttore-solista e collabora con l’Orchestra da Camera di Mantova, quelle della Radio di Francoforte e della Royal Philharmonic londinese, oltre a mantenere un rapporto stabile con la Camerata Accademia di Salisburgo. Vincitore del “Diapason d’Or” nel ‘92, del “Premio Abbiati” nel ‘93 e dell’olandese “Edison” nel ‘94, l’anno scorso ha diretto a Milano la Filarmonica della Scala in un grandioso repertorio sinfonico, genere a cui sempre più va accostandosi. Certo, mai dimenticando il primo amore del piano-solo e il trasporto naturale per l’immenso repertorio del classico cameristico, prediligendo forse, su tutte, le arie di Schubert al ricordo del suo primo grande riconoscimento ottenuto nel ‘77 al Concorso Casagrande di Terni.
Il pianoforte, del resto, si sta scoprendo strumento sempre più universale: l’unico che può simulare l’idea di una intera orchestra. Non solo, c’è chi, col piano, ci sta pure giocando imbarcandosi in prove al limite dell’abilità e dell’acrobazia. Molti ricorderanno in proposito uno straordinario Corrado Sillitti, un anno fa nel televisivo “La Botola”, che suonava di spalle alla tastiera. Ma ancor più sensazione desta oggi un altro italiano, fra i nostri maggiori pianisti, che sta sorprendendo tutti suonando partiture di Bach e Mozart esattamente al contrario, dunque dall’ultima nota alla prima. Si tratta di Maurizio Mastrini, segnatevi questo nome perchè attraverso la sua esclusiva bizzarria si potrà assistere alla nascita di una lettura dello stesso capolavoro ma sulla faccia nascosta (abbiamo sentito qualcosa ed è da brividi). Un “rovescio” che sembra non solo, naturalmente, tutto l’opposto del “dritto”, ma così bello da rivelarci la creazione non di una ma di due versioni di tutto il mare di musica che hanno prodotto Bach, Mozart e quant’altri, e senza che lo sapessero. Quale magia, se non la genialità compositiva dei più grandi permetterebbe questo miracolo? Il classico avrebbe due versioni di una stessa opera, i discografici impazzirebbero, i concerti raddoppierebbero… Ma finchè tutto questo prodigio non si saggerà a puntino è bene restare ancorati alla grandezza del classico primigenio, quello che già così com’è ha il marchio dell’originale assoluto e dell’eterno. Quello che domani sera, con Lonquich, ci conquisterà con le invenzioni di Chopin e Schumann e con
le particolari note di Alban Berg e di Matthias Pintscher, quest’ultimo definito l’astro nascente della musica tedesca.
Di Chopin, subito uno svolgimento timbrico-armonico di profonda poesia, la “Polacca Fantasia in si bemolle maggiore op.61”, in cui imprevedibilità ed improvvisazione sembrano rincorrersi a rotazione, tra dissolvimenti e nuovi sviluppi, rispecchiando fedelmente lo stile chopiniano divinamente “perduto” tra il fantastico, il sogno, il dramma. Pensare che, nelle “Polacche”, Chopin rielabora spesso i suoni popolari delle orchestrine della Polonia del primo ottocento, un Paese diviso tra povertà e sfarzi di corte, ma soprattutto teso ad una forte voglia di vivere che, anche se repressa nella gioia e nelle aspirazioni, era evidente negli slanci delle orchestrine di strada. Lo “Scherzo n.3 in do diesis minore op.39”, a seguire, s’invola lentamente in note più tenebrose che “scherzose”. Ma è un falso allarme. Chopin le trasforma presto in scale corali seducenti, dal gusto beethoveniano (vi si intravede un’eco di Quinta sinfonia) che ravviva il tutto e lo rende fluido anche nel ritorno al crepuscolare.
Dopo questi due brani a più facce, ecco il Matthias Pintscher di cui si diceva. E qui bisogna mettersi comodi per entrare in mondi classici un po’ diversi, quelli contemporanei, laddove più che la poesia nuda e cruda ciò che traspare è la ricerca di nuove atmosfere pur se mescolate a reminiscenze passate. Pintscher non si discosta da questa sorta di bivalenza musicale, persino un omaggio a Paisiello campeggia tra le sue opere, dunque, un certo “fil-rouge d’antan” tiene sempre testa nell’animo dei moderni compositori. In questa sua “On a clear day” scritta nel 2004 (che non è quella cui segue il “you can see forever” cantata dalla Streisand e ora dal Barry White nostrano Mario Biondi) si ascolterà il modo di concepire quanto al giorno d’oggi una “splendida giornata” sia acusticamente ansiosa pur se tecnicamente splendida. Il clima romantico che poi verrà reintrodotto dalla “Ballata n.4 in fa minore op.52” di Chopin riporterà di netto al passato pieno ed alle viuzze in cui suonavano, cigolanti, gli organetti di Barberia. Suoni simili a quelli apriranno e coloreranno, in piena distensione, un brano in cui occhieggerà ancora un che di Beethoven, quel motivetto del “Per Elisa” che evidentemente era rimasto vivo in Chopin.
E veniamo al pezzo di Alban Berg. La “Sonata op. 1” è l’unico suo lavoro per pianoforte solo e consiste in un movimento di base centrato sulla nota del si minore. Berg espande questo movimento in “variazione ed evoluzione” (le cosiddette scale esatonali care a Schoenberg) giocando come sua caratteristica tanto sulla dissonanza esasperata che fra tonalità ed atonalità spesso criptiche pur se, comunque, legate anche da parte sua a quello che alcuni critici descrivono come “frutto di piccoli rimorsi della tradizione classica”. L’”Humoresque in si bemolle maggiore op.20”, di Robert Schumann, concluderà il concerto in bellezza ed eleganza, rivestendosi di forme beninteso non “umoristiche” ma umorali. E, questo, malgrado una partenza in lento che Schumann evolve in saltelli sparsi in tastiera, quasi scatenandosi in una sonata a tutto -come direbbe lui- Vergnügen, divertimento. La migliore descrizione di ciò è nel come, appena composta l’aria, la annunciò alla sua Clara: “Per tutta la settimana sono stato al pianoforte e ho composto, riso e pianto allo stesso tempo”. E immaginatevi la gioia di una Clara consapevole di quanto fosse essa stessa l’amata destinataria di tanta poesia.
E adesso Lonquich, senza più indugi e… alle prese con le esecuzioni tassativamente originali dei capolavori che abbiamo raccontato. Pur se qualche pensierino a come sarebbero, leggendoli al contrario, un po’ si fa strada. Magari saranno belli come lo è, di sicuro, anche l’altra faccia della luna. Forse Mozart e Bach se la vedono, qualche volta, e ci scrivono qualcosa per gli Dei.
SIENA. Il concerto di domani (11 dicembre) dell’87° Micat in Vertice chigiano si svolgerà alle canoniche ore 21 nello scenario, piccolo ma di ottima acustica soprattutto al suono delle tastiere, del Teatro dei Rozzi.
Anche la sua tinta di fondo, velata di blu, sembra contribuire notevolmente all’ascolto sereno di un evento pianistico. Nel caso di Alexander Lonquich, che sarà il protagonista di una serata tra l’altro in abbonamento promozionale per i giovani, questa ideale condizione ambientale favorirà vieppiù il particolare gradimento del pubblico.
Lonquich, già più volte esibitosi nelle stagioni chigiane, ad una tecnica pianistica invidiabile affianca la spiccata inclinazione alla cura della formazione di giovani musicisti ed alla conduzione di laboratori di ricerca scenica e musicale, come nel “Kinderszenen” dedicato ai più piccoli e nel “Villon Ensemble” per i più grandi. E’ anche direttore-solista e collabora con l’Orchestra da Camera di Mantova, quelle della Radio di Francoforte e della Royal Philharmonic londinese, oltre a mantenere un rapporto stabile con la Camerata Accademia di Salisburgo. Vincitore del “Diapason d’Or” nel ‘92, del “Premio Abbiati” nel ‘93 e dell’olandese “Edison” nel ‘94, l’anno scorso ha diretto a Milano la Filarmonica della Scala in un grandioso repertorio sinfonico, genere a cui sempre più va accostandosi. Certo, mai dimenticando il primo amore del piano-solo e il trasporto naturale per l’immenso repertorio del classico cameristico, prediligendo forse, su tutte, le arie di Schubert al ricordo del suo primo grande riconoscimento ottenuto nel ‘77 al Concorso Casagrande di Terni.
Il pianoforte, del resto, si sta scoprendo strumento sempre più universale: l’unico che può simulare l’idea di una intera orchestra. Non solo, c’è chi, col piano, ci sta pure giocando imbarcandosi in prove al limite dell’abilità e dell’acrobazia. Molti ricorderanno in proposito uno straordinario Corrado Sillitti, un anno fa nel televisivo “La Botola”, che suonava di spalle alla tastiera. Ma ancor più sensazione desta oggi un altro italiano, fra i nostri maggiori pianisti, che sta sorprendendo tutti suonando partiture di Bach e Mozart esattamente al contrario, dunque dall’ultima nota alla prima. Si tratta di Maurizio Mastrini, segnatevi questo nome perchè attraverso la sua esclusiva bizzarria si potrà assistere alla nascita di una lettura dello stesso capolavoro ma sulla faccia nascosta (abbiamo sentito qualcosa ed è da brividi). Un “rovescio” che sembra non solo, naturalmente, tutto l’opposto del “dritto”, ma così bello da rivelarci la creazione non di una ma di due versioni di tutto il mare di musica che hanno prodotto Bach, Mozart e quant’altri, e senza che lo sapessero. Quale magia, se non la genialità compositiva dei più grandi permetterebbe questo miracolo? Il classico avrebbe due versioni di una stessa opera, i discografici impazzirebbero, i concerti raddoppierebbero… Ma finchè tutto questo prodigio non si saggerà a puntino è bene restare ancorati alla grandezza del classico primigenio, quello che già così com’è ha il marchio dell’originale assoluto e dell’eterno. Quello che domani sera, con Lonquich, ci conquisterà con le invenzioni di Chopin e Schumann e con
![](https://www.ilcittadinoonline.it/img_art/417.jpg)
Di Chopin, subito uno svolgimento timbrico-armonico di profonda poesia, la “Polacca Fantasia in si bemolle maggiore op.61”, in cui imprevedibilità ed improvvisazione sembrano rincorrersi a rotazione, tra dissolvimenti e nuovi sviluppi, rispecchiando fedelmente lo stile chopiniano divinamente “perduto” tra il fantastico, il sogno, il dramma. Pensare che, nelle “Polacche”, Chopin rielabora spesso i suoni popolari delle orchestrine della Polonia del primo ottocento, un Paese diviso tra povertà e sfarzi di corte, ma soprattutto teso ad una forte voglia di vivere che, anche se repressa nella gioia e nelle aspirazioni, era evidente negli slanci delle orchestrine di strada. Lo “Scherzo n.3 in do diesis minore op.39”, a seguire, s’invola lentamente in note più tenebrose che “scherzose”. Ma è un falso allarme. Chopin le trasforma presto in scale corali seducenti, dal gusto beethoveniano (vi si intravede un’eco di Quinta sinfonia) che ravviva il tutto e lo rende fluido anche nel ritorno al crepuscolare.
Dopo questi due brani a più facce, ecco il Matthias Pintscher di cui si diceva. E qui bisogna mettersi comodi per entrare in mondi classici un po’ diversi, quelli contemporanei, laddove più che la poesia nuda e cruda ciò che traspare è la ricerca di nuove atmosfere pur se mescolate a reminiscenze passate. Pintscher non si discosta da questa sorta di bivalenza musicale, persino un omaggio a Paisiello campeggia tra le sue opere, dunque, un certo “fil-rouge d’antan” tiene sempre testa nell’animo dei moderni compositori. In questa sua “On a clear day” scritta nel 2004 (che non è quella cui segue il “you can see forever” cantata dalla Streisand e ora dal Barry White nostrano Mario Biondi) si ascolterà il modo di concepire quanto al giorno d’oggi una “splendida giornata” sia acusticamente ansiosa pur se tecnicamente splendida. Il clima romantico che poi verrà reintrodotto dalla “Ballata n.4 in fa minore op.52” di Chopin riporterà di netto al passato pieno ed alle viuzze in cui suonavano, cigolanti, gli organetti di Barberia. Suoni simili a quelli apriranno e coloreranno, in piena distensione, un brano in cui occhieggerà ancora un che di Beethoven, quel motivetto del “Per Elisa” che evidentemente era rimasto vivo in Chopin.
E veniamo al pezzo di Alban Berg. La “Sonata op. 1” è l’unico suo lavoro per pianoforte solo e consiste in un movimento di base centrato sulla nota del si minore. Berg espande questo movimento in “variazione ed evoluzione” (le cosiddette scale esatonali care a Schoenberg) giocando come sua caratteristica tanto sulla dissonanza esasperata che fra tonalità ed atonalità spesso criptiche pur se, comunque, legate anche da parte sua a quello che alcuni critici descrivono come “frutto di piccoli rimorsi della tradizione classica”. L’”Humoresque in si bemolle maggiore op.20”, di Robert Schumann, concluderà il concerto in bellezza ed eleganza, rivestendosi di forme beninteso non “umoristiche” ma umorali. E, questo, malgrado una partenza in lento che Schumann evolve in saltelli sparsi in tastiera, quasi scatenandosi in una sonata a tutto -come direbbe lui- Vergnügen, divertimento. La migliore descrizione di ciò è nel come, appena composta l’aria, la annunciò alla sua Clara: “Per tutta la settimana sono stato al pianoforte e ho composto, riso e pianto allo stesso tempo”. E immaginatevi la gioia di una Clara consapevole di quanto fosse essa stessa l’amata destinataria di tanta poesia.
E adesso Lonquich, senza più indugi e… alle prese con le esecuzioni tassativamente originali dei capolavori che abbiamo raccontato. Pur se qualche pensierino a come sarebbero, leggendoli al contrario, un po’ si fa strada. Magari saranno belli come lo è, di sicuro, anche l’altra faccia della luna. Forse Mozart e Bach se la vedono, qualche volta, e ci scrivono qualcosa per gli Dei.