di Gianni Basi
SIENA. Tempo piovoso a parte, un pianoforte a pioggia come non mai questo venerdi sera, alle ore 21, al Teatro dei Rozzi. Di quelli che sanno sostituirsi pienamente ai suoni orchestrali, riproducendoli sotto un abilissimo gioco di mani. La sinistra indiavolata sulla sezione ritmica e la destra a volteggiare contemporaneamente da splendida solista. L’Accademia Chigiana di Siena ha avuto un’ideona: presentare in un sol colpo una traccia musicale che sembra srotolarsi partendo dai compositori preferiti di George Gershwin sino a finire a Gershwin stesso. Una sorta di filo logico con – nella prima parte -Debussy e Ravel e la loro prevalente impronta da balletto ad aprire letteralmente le danze, e poi il tuffo nel meglio del meglio di Gershwin.
A darci dentro sui tasti del piano, sul palcoscenico del teatro senese, un artista internazionale franco-americano che, nei panni più adatti, si calerà nelle atmosfere gioiosamente bighellone di “Un Americano a Parigi” e nella svettante Manhattan di Woody Allen con la seducente “Rhapsody in blue”.
Françóis-Joël Thiollier, primo concerto a New York ad appena cinque anni, è oggi uno splendido giovanotto di mezza età che conquista già dal sorriso con cui si presenta al pubblico. Poi siede al pianoforte, e stupisce. Di lui, che proprio di Debussy, Ravel e Gershwin ha inciso l’integrale pianistica, la stampa tedesca ammira la “tecnica pazzesca” e lo celebra “pianista al di sopra di ogni paragone”.
Sarà per l’eleganza raffinata delle esecuzioni, la spettacolarità degli scambi repentini sui tasti, la musicalità che gli scorre nelle vene e sulle dita, insomma sarà quel che sarà ma venerdi sera si assisterà ad un concerto di grandissimo effetto. I giovani, quelli che per l’occasione converranno ai Rozzi con l’abbonamento promozionale e che apprezzano il talento del big del nuovo classico Giovanni Allevi, scopriranno un pianoforte da sballo. Subito all’inizio un Debussy in valzer fine ottocento, col suo “Valse romantique”, fra tocchi di sensualità sospese nell’immaginario. Si dice spesso che Debussy le musiche le dipinga, le imprima. E in effetti è quello che sembra. Egli, però, ha sempre preferito che se ne privilegi l’immaginazione e il mistero, non perciò un affresco del reale ma un viaggio che diventi fantasticare e sogno. Proviamo dunque a percepire in tal guisa la sua eterea “Valse”, e allo stesso modo vediamo di avvertire le tensioni armoniche del “Rêverie” e le trame ispirate della “Danse bohemienne”, sino poi alle suggestioni esotiche dei Preludi libro secondo con la “Ondine”, sirena un po’ strega delle leggende nordiche. Ma è nella “Soirée dans Grenade” e nell’ “Isle Joyeuse” che, le “images” debussyane, non solo rivelano lampi sfolgoranti di ciò che egli immaginava della Spagna (dove non era mai stato prima) ma esaltano, in quel vortice della mente che prende nella voluttà suprema di un fugace incontro d’amore, il suo soggiorno in un’isoletta della Manica con la bella Emma.
Nella pagina successiva, “La Valse” di Maurice Ravel, sempre di vortice si tratta, ma d’altro tipo. L’autore lo definì “un giro di valzer dal turbinio fantastico e fatale”. In omaggio a Strauss, Ravel ne fece un brano dalle due facce: quando leggera e gioviale alla maniera di Schubert, quando sofferta e profonda pensando a Mahler.
E di turbinio si può parlare, anche e soprattutto, per quel che riguarda la parte finale del concerto, quella a tutto Gershwin. Nel mirabile compendio della commistione fra classico e moderno, si snoccioleranno intriganti arie tratte dai “Tre Preludi” e dai “The song Book”, quindi il postumo “Improptu in two keys” e il “Rialto Ripples”. In esse – e Gershwin può considerarsi unico nel suo genere – il passaggio dal ragtime farcito di dixieland e jazz, che scivola in scampoli di musica eletta, sarà trascinante. Le ultime due pagine del signor Jacob Gershowitz, origini russe e nome poi cambiato con quel “win” in coda che sa di vittoria, furono scritte fra il 1924 e il 1928 e, con “Porgy and Bess”, sono i suoi capolavori assoluti. Il “Tempo di blues”, parte centrale di “Un Americano a Parigi”, fa vivere appieno le atmosfere della grande città mentre si saltella da una luccicante vetrina all’altra, mano nella mano, passando da un sussulto d’amore all’altro. Felici e radiosi come questa musica.
La terza e settima nota della scala di jazz dette “blue notes” (ma siamo convinti che il “blue” di Gershwin si riferisse a un bel blu sopra New York), determinerebbero il nome dato alla celeberrima “Rhapsody in blue”. Qui si ritrova il Gershwin più genialmente pazzo, sicuramente di gioia. Questo specchio della multietnicità dell’America lo gasava come nient’altro, e l’ascolto della rapsodia lo dimostra. E’ la fusione più completa al mondo fra jazz e classico. In essa, le frenetiche elaborazioni e rielaborazioni di più temi annoverano perfino manciate di fox-trot, blues, marcette, finanche piccoli passi di valzer. Una musica globale, con il tutto mai lasciato al caso ma, pur dando l’impressione della tipica improvvisazione jazzistica, meticolosamente esatto e grandioso.
Françóis-Joël Thiollier, reduce dai successi con le più importanti orchestre europee, vincitore di ben 8 Grand Prix in concerti internazionali fra cui il “Reine Elisabeth” in Belgio e il “Ciaicowskij” a Mosca, nonchè premio discografico “Officier des Arts et des Lettres” nel ‘93, darà prova venerdi al Teatro dei Rozzi di una padronanza tecnica non comune e non farà rimpiangere la massa orchestrale che solitamente accompagna i due capolavori di Gershwin. Dai celebri attacchi di clarinetto alle trombe, ai timpani, all’idea molto gershwiniana non tanto dei piatti normali quanto di quelli del charleston. Thiiollier farà da solo tutto questo. Lui e il suo pianofortissimo. A darsi del tu e a darci due ore e passa di musica veramente speciale.
Naturalmente occorre non perdersi i biglietti ancora disponibili: li troverete giovedì 4 dicembre a Palazzo Chigi (Via di Città) dalle 16 alle 18,30; e venerdi 5 dalle ore 16 in poi al Teatro dei Rozzi.
A darci dentro sui tasti del piano, sul palcoscenico del teatro senese, un artista internazionale franco-americano che, nei panni più adatti, si calerà nelle atmosfere gioiosamente bighellone di “Un Americano a Parigi” e nella svettante Manhattan di Woody Allen con la seducente “Rhapsody in blue”.
Françóis-Joël Thiollier, primo concerto a New York ad appena cinque anni, è oggi uno splendido giovanotto di mezza età che conquista già dal sorriso con cui si presenta al pubblico. Poi siede al pianoforte, e stupisce. Di lui, che proprio di Debussy, Ravel e Gershwin ha inciso l’integrale pianistica, la stampa tedesca ammira la “tecnica pazzesca” e lo celebra “pianista al di sopra di ogni paragone”.
Sarà per l’eleganza raffinata delle esecuzioni, la spettacolarità degli scambi repentini sui tasti, la musicalità che gli scorre nelle vene e sulle dita, insomma sarà quel che sarà ma venerdi sera si assisterà ad un concerto di grandissimo effetto. I giovani, quelli che per l’occasione converranno ai Rozzi con l’abbonamento promozionale e che apprezzano il talento del big del nuovo classico Giovanni Allevi, scopriranno un pianoforte da sballo. Subito all’inizio un Debussy in valzer fine ottocento, col suo “Valse romantique”, fra tocchi di sensualità sospese nell’immaginario. Si dice spesso che Debussy le musiche le dipinga, le imprima. E in effetti è quello che sembra. Egli, però, ha sempre preferito che se ne privilegi l’immaginazione e il mistero, non perciò un affresco del reale ma un viaggio che diventi fantasticare e sogno. Proviamo dunque a percepire in tal guisa la sua eterea “Valse”, e allo stesso modo vediamo di avvertire le tensioni armoniche del “Rêverie” e le trame ispirate della “Danse bohemienne”, sino poi alle suggestioni esotiche dei Preludi libro secondo con la “Ondine”, sirena un po’ strega delle leggende nordiche. Ma è nella “Soirée dans Grenade” e nell’ “Isle Joyeuse” che, le “images” debussyane, non solo rivelano lampi sfolgoranti di ciò che egli immaginava della Spagna (dove non era mai stato prima) ma esaltano, in quel vortice della mente che prende nella voluttà suprema di un fugace incontro d’amore, il suo soggiorno in un’isoletta della Manica con la bella Emma.
Nella pagina successiva, “La Valse” di Maurice Ravel, sempre di vortice si tratta, ma d’altro tipo. L’autore lo definì “un giro di valzer dal turbinio fantastico e fatale”. In omaggio a Strauss, Ravel ne fece un brano dalle due facce: quando leggera e gioviale alla maniera di Schubert, quando sofferta e profonda pensando a Mahler.
E di turbinio si può parlare, anche e soprattutto, per quel che riguarda la parte finale del concerto, quella a tutto Gershwin. Nel mirabile compendio della commistione fra classico e moderno, si snoccioleranno intriganti arie tratte dai “Tre Preludi” e dai “The song Book”, quindi il postumo “Improptu in two keys” e il “Rialto Ripples”. In esse – e Gershwin può considerarsi unico nel suo genere – il passaggio dal ragtime farcito di dixieland e jazz, che scivola in scampoli di musica eletta, sarà trascinante. Le ultime due pagine del signor Jacob Gershowitz, origini russe e nome poi cambiato con quel “win” in coda che sa di vittoria, furono scritte fra il 1924 e il 1928 e, con “Porgy and Bess”, sono i suoi capolavori assoluti. Il “Tempo di blues”, parte centrale di “Un Americano a Parigi”, fa vivere appieno le atmosfere della grande città mentre si saltella da una luccicante vetrina all’altra, mano nella mano, passando da un sussulto d’amore all’altro. Felici e radiosi come questa musica.
La terza e settima nota della scala di jazz dette “blue notes” (ma siamo convinti che il “blue” di Gershwin si riferisse a un bel blu sopra New York), determinerebbero il nome dato alla celeberrima “Rhapsody in blue”. Qui si ritrova il Gershwin più genialmente pazzo, sicuramente di gioia. Questo specchio della multietnicità dell’America lo gasava come nient’altro, e l’ascolto della rapsodia lo dimostra. E’ la fusione più completa al mondo fra jazz e classico. In essa, le frenetiche elaborazioni e rielaborazioni di più temi annoverano perfino manciate di fox-trot, blues, marcette, finanche piccoli passi di valzer. Una musica globale, con il tutto mai lasciato al caso ma, pur dando l’impressione della tipica improvvisazione jazzistica, meticolosamente esatto e grandioso.
Françóis-Joël Thiollier, reduce dai successi con le più importanti orchestre europee, vincitore di ben 8 Grand Prix in concerti internazionali fra cui il “Reine Elisabeth” in Belgio e il “Ciaicowskij” a Mosca, nonchè premio discografico “Officier des Arts et des Lettres” nel ‘93, darà prova venerdi al Teatro dei Rozzi di una padronanza tecnica non comune e non farà rimpiangere la massa orchestrale che solitamente accompagna i due capolavori di Gershwin. Dai celebri attacchi di clarinetto alle trombe, ai timpani, all’idea molto gershwiniana non tanto dei piatti normali quanto di quelli del charleston. Thiiollier farà da solo tutto questo. Lui e il suo pianofortissimo. A darsi del tu e a darci due ore e passa di musica veramente speciale.
Naturalmente occorre non perdersi i biglietti ancora disponibili: li troverete giovedì 4 dicembre a Palazzo Chigi (Via di Città) dalle 16 alle 18,30; e venerdi 5 dalle ore 16 in poi al Teatro dei Rozzi.