di Enrico Campana
SIENA. Siccome ama uno sport penitenziale, il ciclismo d’antan, quello epico, senza iniezioni al plasma e le sulfuree pratiche, la butto scherzando sulla rivalità: “Allora, maestro possiamo parlare di Lippi vs. Ceronetti?. Quante speranze ha lei di battere nella Grand Boucle della poesia una figura tanto grande e affascinante quanto quella di Armstrong sta al ciclismo?”
Con la sua giuria, Rosanna Bettarini presidente del Premio Viareggio ha scelto quest’anno fra i moltissimi i 7 lavori dedicati alla poesia anche “Exilium” di Massimo Lippi uscito per i tipi della Cantagalli di Siena, una casa editoriale di nicchia nata nel 1925 e la cui araldica è rappresentata da una piccola fiamma e un motto eloquente: “Il fuoco ha da ardere”.
Alla proposta di questa sfida titanica per l’attuale sommo maestro della poesia italiana, all’Heidegger piemontese, il poeta-filosofo che spiega il tempo, lo spazio, l’uomo trasformando la poesia in una battaglia civile contro il brutto, e primi fra tutti “gli operai dell’anima” come definisce i suoi colleghi, non è spaventato Massimo Lippi. Le sue angosce sono ben altre. Sorride, si scuote per un momento da quell’ascultazione costante, quasi commovente, e faticosa quasi fosse preposto ufficialmente al controllo della condizione di “madre terra” ferita sempre con impeto selvaggio più dall’uomo. La sua è una diagnosi drammatica ma non catastrofista convinto che il peggio mai arriverà, magari grazie a un’onda universale di forza uguale e contraria provocata dalla preghiera e di un’umanità rinascente che torni dall’esilio. Tutto questo, spiega, sarebbe possibile attraverso un’invocazione collettiva di gente umile e fortemente partecipe proveniente dai quattro angoli di mondo, ciascuna con la propria convinzione religiosa e col proprio bagaglio di speranze. Il segno della riscossa, questo il suo progetto, dovrebbe partire da una collina con grandi piante fasciate di rosso, come per arrestare questa perdita di sangue vitale.
Artista versatile (“come si fa a chiedermi se sono più scultore, pittore o poeta, è come chiedere a una persona se vede prima con l’occhio destro o quello sinistro?”, obietta, ho incontrato per la prima volta Massimo Lippi, figura planetaria che ha esposto al Metroplitan Museo e ai Musei Vaticani, è stato l’anno scorso a Monte Oliveto Maggiore. Proprio il giorno in cui l’Abate dell’ordine degli olivetani diede notizia della beatificazione di Bernardo de’ Tolomei, il ricco ed erudito giovanetto senese, dottore e magistrato, che all’inizio del 300 gettò alle ortiche tutta la sua scienza per dedicarsi alla preghiera e seguire la regola di San Benedetto nella grotta di Accona dove sorge questo centro dello spirito universale.
Parlammo brevemente del sorriso della Gioconda. Un tema labirintico nel quale spesso si trovava coinvolto senza possibilità di uscita, e gli dissi che da cronista di sport la soluzione forse io l’avevo trovata cercando nelle pieghe della vita del genio di Vinci. Gli raccontai che Leonardo, vulcanico non meno che scherzoso, il giorno che fu portato dal padre nella bottega fiorentino del Verrocchio cavò dalla tracolla un’albicocca matura per donarla al severo maestro, e fu tanto il dolore per quella privazione che fermò il suo sguardo sul frutto, le cui labbra divennero quelle enigmatiche della Gioconda.
Grazie alla figlia, descritta uno dei suoi quattro angeli custodi e dedicatasi al recupero e le riflessioni e le estasi innocenti del padre sparse sui foglietti nella bottega fra le crete senesi, nel dicembre del 2008 è uscito a Milano Exilium (ma mi verrebbe voglia di chiamarlo Auxilium…). Ed è entrato, primo grande riconoscimento, nella rosa del “Viareggio poesia “con Libro Grosso (Ennio Cavalli), Stravagante è il tempo (Arnaldo Ederle), La Paura (Riccardo Held), Paesaggi inospiti (Giampiero Neri), Le lacrime delle cose (Gabriella Sica) e appunto la raccolta del favorito Le ballate dell’angelo ferito (Guido Ceronetti). Già finalista al Viareggio nel 1999, il poeta senese spera di essere prescelto il 19 giugno fra le tre opere che il 26 agosto a Viareggio si contenderanno la vittoria nell’80.a edizione del Premio intitolato a Leonida Repaci.
La sua poesia intimidisce per la profondità, ma al tempo stesso rassicura. E’ un viaggio senza tempo in un mondo dove gli spazi celesti sono occupati dalla natura, le persone, gli esempi e hanno un’importanza anche le piccole cose. E la memoria non è un rimpianto, un’invocazione ma offre un valore inestimabile delle capacità umane che una volt nel “faidate” della cultura contadina erano un’arte spontanea saggia e spesso sublime nascendo dall’esperienza individuale che si tramandava di generazione in generazione.
Nato il 14 gennaio 1951 a Ponte a Tressa, Lippi si è laureato col massimo dei voti alla Facoltà di Lettere e Filosfia dell’Università di Siena. Una sua collega che ha letto il libro ha osservato: “Premesso che non posso sdottorare sulla poesia, in queste pagine ho trovato ambientazioni uniche, da Spoon River al mondo contadino. L’autore non è un intellettuale palloso, e a volte mi sono fatto qualche risatina sincera. Intellettuale sì, ma per forza d’istinto. Ma si rapporta anche con la visione concreta della vita, e con una bella famiglia al quale è grato. Ed è anche un credente, ma non un bigotto”.
Lippi definisce Exilium “un diario dell’anima nel senso laico, con paesaggi, sensazioni e un concentrarsi sulla malinconia che serve a riportare in auge la memoria dei contadini che parlavano benissimo, come mia madre la prima a leggere le mie poesie e a cogliere in reale significato di ogni sfumature della parola”.
Perché quel titolo che significa una cacciata, un’interdizione, una spoliazione, un taglio delle proprie radici?. “E’ un esilio volontario e spero temporaneo che ci dà il mondo d’oggi dove tutti sono dirigenti e presidenti, e nessuno si sente in transito. Un patema di cui non soffrivano i nostri vecchi perché erano già autosufficienti, erano artisi”.
Poesia intimistica o poesia universale?. “C’è tanto bisogno di poesia, oggi si vive un soggettivismo sfrenato che manca di genio, quell’arte tipica del contadino protagonista di una civiltà autarchica nel quale bisognava fare per non venire spazzati via”.
Lippi che ha dipinto il Palio di Siena del ’93 e nella sua città è amato e si è meritato il rispetto e l’ammirazione per la sua opera dovunque ha portato il suo messaggio poesia (come è stato per Luzi, Caproni, Raboni e Patrizia Valduga) cerca una metafora per questo suo passo artistico, e afferma che “se l’arte è un dono di Dio la musica è la visita di un angelo. La poesia è un grande dono che il Sessantotto ha tentato di trasformare in un lavoro come un altro, mentre c’è bisogno di un linguaggio interno e di rubare al caos un principio d’ordine”. La poesia è dappertutto, nei ricordi della casa contadina (“Per me vorrei/ le trottole/ il ciaccino/le castagne secche/un fischio/e un coltellino”), in un pettirosso (“…vedo interrotti giochi/andare in tutto il sole di maggio…” negli incontri importanti e fatali della sua vita, fra i quali spicca quello di un abbraccio solenne da parte di Giovanni Paolo II servus servo rum Dei in una visita in Vaticano assieme alla famiglia. “Mi guardò severo – ricorda in Santità – come il Cristo in Santa Sofia a Costantinopoli. Indimenticabile”.
SIENA. Siccome ama uno sport penitenziale, il ciclismo d’antan, quello epico, senza iniezioni al plasma e le sulfuree pratiche, la butto scherzando sulla rivalità: “Allora, maestro possiamo parlare di Lippi vs. Ceronetti?. Quante speranze ha lei di battere nella Grand Boucle della poesia una figura tanto grande e affascinante quanto quella di Armstrong sta al ciclismo?”
Con la sua giuria, Rosanna Bettarini presidente del Premio Viareggio ha scelto quest’anno fra i moltissimi i 7 lavori dedicati alla poesia anche “Exilium” di Massimo Lippi uscito per i tipi della Cantagalli di Siena, una casa editoriale di nicchia nata nel 1925 e la cui araldica è rappresentata da una piccola fiamma e un motto eloquente: “Il fuoco ha da ardere”.
Alla proposta di questa sfida titanica per l’attuale sommo maestro della poesia italiana, all’Heidegger piemontese, il poeta-filosofo che spiega il tempo, lo spazio, l’uomo trasformando la poesia in una battaglia civile contro il brutto, e primi fra tutti “gli operai dell’anima” come definisce i suoi colleghi, non è spaventato Massimo Lippi. Le sue angosce sono ben altre. Sorride, si scuote per un momento da quell’ascultazione costante, quasi commovente, e faticosa quasi fosse preposto ufficialmente al controllo della condizione di “madre terra” ferita sempre con impeto selvaggio più dall’uomo. La sua è una diagnosi drammatica ma non catastrofista convinto che il peggio mai arriverà, magari grazie a un’onda universale di forza uguale e contraria provocata dalla preghiera e di un’umanità rinascente che torni dall’esilio. Tutto questo, spiega, sarebbe possibile attraverso un’invocazione collettiva di gente umile e fortemente partecipe proveniente dai quattro angoli di mondo, ciascuna con la propria convinzione religiosa e col proprio bagaglio di speranze. Il segno della riscossa, questo il suo progetto, dovrebbe partire da una collina con grandi piante fasciate di rosso, come per arrestare questa perdita di sangue vitale.
Artista versatile (“come si fa a chiedermi se sono più scultore, pittore o poeta, è come chiedere a una persona se vede prima con l’occhio destro o quello sinistro?”, obietta, ho incontrato per la prima volta Massimo Lippi, figura planetaria che ha esposto al Metroplitan Museo e ai Musei Vaticani, è stato l’anno scorso a Monte Oliveto Maggiore. Proprio il giorno in cui l’Abate dell’ordine degli olivetani diede notizia della beatificazione di Bernardo de’ Tolomei, il ricco ed erudito giovanetto senese, dottore e magistrato, che all’inizio del 300 gettò alle ortiche tutta la sua scienza per dedicarsi alla preghiera e seguire la regola di San Benedetto nella grotta di Accona dove sorge questo centro dello spirito universale.
Parlammo brevemente del sorriso della Gioconda. Un tema labirintico nel quale spesso si trovava coinvolto senza possibilità di uscita, e gli dissi che da cronista di sport la soluzione forse io l’avevo trovata cercando nelle pieghe della vita del genio di Vinci. Gli raccontai che Leonardo, vulcanico non meno che scherzoso, il giorno che fu portato dal padre nella bottega fiorentino del Verrocchio cavò dalla tracolla un’albicocca matura per donarla al severo maestro, e fu tanto il dolore per quella privazione che fermò il suo sguardo sul frutto, le cui labbra divennero quelle enigmatiche della Gioconda.
Grazie alla figlia, descritta uno dei suoi quattro angeli custodi e dedicatasi al recupero e le riflessioni e le estasi innocenti del padre sparse sui foglietti nella bottega fra le crete senesi, nel dicembre del 2008 è uscito a Milano Exilium (ma mi verrebbe voglia di chiamarlo Auxilium…). Ed è entrato, primo grande riconoscimento, nella rosa del “Viareggio poesia “con Libro Grosso (Ennio Cavalli), Stravagante è il tempo (Arnaldo Ederle), La Paura (Riccardo Held), Paesaggi inospiti (Giampiero Neri), Le lacrime delle cose (Gabriella Sica) e appunto la raccolta del favorito Le ballate dell’angelo ferito (Guido Ceronetti). Già finalista al Viareggio nel 1999, il poeta senese spera di essere prescelto il 19 giugno fra le tre opere che il 26 agosto a Viareggio si contenderanno la vittoria nell’80.a edizione del Premio intitolato a Leonida Repaci.
La sua poesia intimidisce per la profondità, ma al tempo stesso rassicura. E’ un viaggio senza tempo in un mondo dove gli spazi celesti sono occupati dalla natura, le persone, gli esempi e hanno un’importanza anche le piccole cose. E la memoria non è un rimpianto, un’invocazione ma offre un valore inestimabile delle capacità umane che una volt nel “faidate” della cultura contadina erano un’arte spontanea saggia e spesso sublime nascendo dall’esperienza individuale che si tramandava di generazione in generazione.
Nato il 14 gennaio 1951 a Ponte a Tressa, Lippi si è laureato col massimo dei voti alla Facoltà di Lettere e Filosfia dell’Università di Siena. Una sua collega che ha letto il libro ha osservato: “Premesso che non posso sdottorare sulla poesia, in queste pagine ho trovato ambientazioni uniche, da Spoon River al mondo contadino. L’autore non è un intellettuale palloso, e a volte mi sono fatto qualche risatina sincera. Intellettuale sì, ma per forza d’istinto. Ma si rapporta anche con la visione concreta della vita, e con una bella famiglia al quale è grato. Ed è anche un credente, ma non un bigotto”.
Lippi definisce Exilium “un diario dell’anima nel senso laico, con paesaggi, sensazioni e un concentrarsi sulla malinconia che serve a riportare in auge la memoria dei contadini che parlavano benissimo, come mia madre la prima a leggere le mie poesie e a cogliere in reale significato di ogni sfumature della parola”.
Perché quel titolo che significa una cacciata, un’interdizione, una spoliazione, un taglio delle proprie radici?. “E’ un esilio volontario e spero temporaneo che ci dà il mondo d’oggi dove tutti sono dirigenti e presidenti, e nessuno si sente in transito. Un patema di cui non soffrivano i nostri vecchi perché erano già autosufficienti, erano artisi”.
Poesia intimistica o poesia universale?. “C’è tanto bisogno di poesia, oggi si vive un soggettivismo sfrenato che manca di genio, quell’arte tipica del contadino protagonista di una civiltà autarchica nel quale bisognava fare per non venire spazzati via”.
Lippi che ha dipinto il Palio di Siena del ’93 e nella sua città è amato e si è meritato il rispetto e l’ammirazione per la sua opera dovunque ha portato il suo messaggio poesia (come è stato per Luzi, Caproni, Raboni e Patrizia Valduga) cerca una metafora per questo suo passo artistico, e afferma che “se l’arte è un dono di Dio la musica è la visita di un angelo. La poesia è un grande dono che il Sessantotto ha tentato di trasformare in un lavoro come un altro, mentre c’è bisogno di un linguaggio interno e di rubare al caos un principio d’ordine”. La poesia è dappertutto, nei ricordi della casa contadina (“Per me vorrei/ le trottole/ il ciaccino/le castagne secche/un fischio/e un coltellino”), in un pettirosso (“…vedo interrotti giochi/andare in tutto il sole di maggio…” negli incontri importanti e fatali della sua vita, fra i quali spicca quello di un abbraccio solenne da parte di Giovanni Paolo II servus servo rum Dei in una visita in Vaticano assieme alla famiglia. “Mi guardò severo – ricorda in Santità – come il Cristo in Santa Sofia a Costantinopoli. Indimenticabile”.