I reperti trovati nel '62 risalgono a circa 15mila anni fa
di Augusto Mattioli
SIENA. Finalmente si conosce l’età, quindici mila anni, circa dell’uomo del Chiostraccio i cui resti erano stati ritrovati nel lontano 1962 in fondo ad un pozzo profondo una ventina di metri dall’associazione speleologica senese nel corso di ricognizioni in alcune grotte di Abbadia ad isola nel comune di Monteriggioni. E lasciati per anni in un archivio di reperti fino al novembre dello scorso anno.
Lo scheletro, peraltro ben conservato, di quello che viene ritenuto l’homo sapiens più artico della Toscana, da domani sarà esposto al Santa Maria della Scala. Quando fu trovato nella grotta situata nel comune di Monteriggioni dall’associazione spelelogicica senese venne consegnato all’allora istituto di Paleontologia umana dell’università di Siena e dopo alcuni esami venne attribuito all’età neolitica senza però dargli una particolare importanza. Di quella scoperta negli anni però si sono perse le tracce.
A riaprire la ricerca è stato Ivan Martini, dottorando del dipartimento di Scienze della Terra, che – in seguito ad alcuni ritrovamenti nel medesimo pozzo di ossa di orso – si ricordò di quello scheletro. Che è stato di nuovo studiato con tecniche più moderne del 1962 e sottoposto al laboratorio Beta analytic di Miami negli Stati uniti ad analisi Carbonio 14. Il risultato è che è stato possibile oggi indicare una data realistica che fa risalire lo scheletro a circa 15 mila anni fa e secondo gli studiosi i resti di quest’uomo, sui 25 anni di età, alto un metro e 65 morto in seguito alla caduta nel pozzo come rilevano le fratture al cranio, sono i più antichi della Toscana. In programma anche l’esame del Dna che dicono gli studiosi “ci dirà qualcosa in più sulla sua provenienza confrontandolo con il Dna di altri reperti”.
Venerdì prossimo (6 maggio) alle ore 16 in sala San Galgano si terrà una conferenza-studio pubblica cui parteciperanno i due ricercatori, Carlotta Cianferoni della Soprintendenza ai Beni Culturali della Toscana, il rettore Angelo Riccaboni e alcuni studiosi.
(Foto di Corrado De Serio)
SIENA. Finalmente si conosce l’età, quindici mila anni, circa dell’uomo del Chiostraccio i cui resti erano stati ritrovati nel lontano 1962 in fondo ad un pozzo profondo una ventina di metri dall’associazione speleologica senese nel corso di ricognizioni in alcune grotte di Abbadia ad isola nel comune di Monteriggioni. E lasciati per anni in un archivio di reperti fino al novembre dello scorso anno.
Lo scheletro, peraltro ben conservato, di quello che viene ritenuto l’homo sapiens più artico della Toscana, da domani sarà esposto al Santa Maria della Scala. Quando fu trovato nella grotta situata nel comune di Monteriggioni dall’associazione spelelogicica senese venne consegnato all’allora istituto di Paleontologia umana dell’università di Siena e dopo alcuni esami venne attribuito all’età neolitica senza però dargli una particolare importanza. Di quella scoperta negli anni però si sono perse le tracce.
A riaprire la ricerca è stato Ivan Martini, dottorando del dipartimento di Scienze della Terra, che – in seguito ad alcuni ritrovamenti nel medesimo pozzo di ossa di orso – si ricordò di quello scheletro. Che è stato di nuovo studiato con tecniche più moderne del 1962 e sottoposto al laboratorio Beta analytic di Miami negli Stati uniti ad analisi Carbonio 14. Il risultato è che è stato possibile oggi indicare una data realistica che fa risalire lo scheletro a circa 15 mila anni fa e secondo gli studiosi i resti di quest’uomo, sui 25 anni di età, alto un metro e 65 morto in seguito alla caduta nel pozzo come rilevano le fratture al cranio, sono i più antichi della Toscana. In programma anche l’esame del Dna che dicono gli studiosi “ci dirà qualcosa in più sulla sua provenienza confrontandolo con il Dna di altri reperti”.
Venerdì prossimo (6 maggio) alle ore 16 in sala San Galgano si terrà una conferenza-studio pubblica cui parteciperanno i due ricercatori, Carlotta Cianferoni della Soprintendenza ai Beni Culturali della Toscana, il rettore Angelo Riccaboni e alcuni studiosi.
(Foto di Corrado De Serio)