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L’ombra della giovinezza: Federigo Tozzi e le arti figurative

Dal 10 aprile al 20 luglio al Santa Maria della Scala la mostra promossa da Comune di Siena e SMS e curata da Riccardo Castellana, Michelina Simona Eremita e Luca Quattrocchi

SIENA. L’ombra della giovinezza: Federigo Tozzi e le arti figurative”. Una mostra inedita svela e racconta l’interesse dello scrittore del Novecento per la pittura, la scultura e l’illustrazione.

La mostra, oltre a esporre una selezione dell’opera degli artisti che Tozzi conosceva e apprezzava, e in molti casi le specifiche opere commentate nelle sue pagine di critica, propone un percorso documentario che, tra foto, manoscritti, lettere, libri e riviste, illustra da una prospettiva inedita le tappe principali della sua narrativa. 

Un Federigo Tozzi inedito, attento a quanto avveniva nel mondo della pittura, della scultura e dell’illustrazione del suo tempo. Un interesse per l’arte, il suo, nato nelle aule dell’Istituto d’Arte di Siena e poi nutrito, negli anni, da rapporti di sincera amicizia con lo scultore Patrizio Fracassi e, sempre nel periodo senese, con gli incisori Ferruccio Pasqui e, soprattutto, con Gino Barbieri, allievo cesenate di Adolfo de Carolis, gran maestro della nuova xilografia italiana e illustratore di d’Annunzio. Negli anni senesi, poi, conosce anche Lorenzo Viani, che ritroverà anni dopo a Roma. Ed è proprio nella capitale, dove si trasferisce nel 1914, che la cultura figurativa di Tozzi si apre ai linguaggi “secessionisti” ed espressionisti, per giungere a ipotizzare, negli ultimi anni, un precoce “ritorno all’ordine”. 

Siena celebra lo scrittore nato nella città del Palio nel 1883 e morto a Roma nel 1920 e oggi riconosciuto come uno dei massimi narratori italiani del primo Novecento con la mostra “L’ombra della giovinezza. Federigo Tozzi e le arti figurative”, in programma a Siena nel Complesso Museale del Santa Maria della Scala dal 10 aprile al 20 luglio 2022. La mostra, promossa da Comune di Siena e Santa Maria della Scala e curata da Riccardo Castellana, Michelina Simona Eremita e Luca Quattrocchi, oltre a esporre una selezione dell’opera degli artisti che Tozzi conosceva e apprezzava – e in molti casi le specifiche opere acutamente commentate nelle sue pagine di critica -, propone un percorso documentario che, tra foto, manoscritti, lettere, libri e riviste, illustra da una prospettiva inedita le tappe principali della sua narrativa. 

“La mostra che abbiamo deciso di fare è una scelta non banale, non di un lacrimevole e benevolo ricordo, ma di un doveroso omaggio ad una scrittura e ad uno scrittore fortemente divisivo e innovativo e quindi di difficile comprensione dai suoi contemporanei – spiega il sindaco di Siena Luigi De Mossi – forte il legame con Siena anche se la sua evoluzione letteraria è riuscita ad avvenire in maniera completa distaccandosi dalle sue radici”. “Abbiamo voluto indagare nella cultura artistica di Tozzi e nei suoi rapporti con alcuni contemporanei – ha detto per i curatori Riccardo Castellana – Per la prima volta abbiamo ricostruito i due ambienti, quello senese e quello romano ai quali Tozzi partecipò da protagonista come esperto di arte e visitatore di mostre”. “Questa mostra – ha aggiunto Roberto Barzanti, presidente del Comitato Tozzi 100 – apre uno spaccato piuttosto nuovo su Tozzi che fino ad ora non era stato indagato approfonditamente attraverso il suo rapporto con le arti figurative e che per lui, non fu incidentale. Questa mostra è un’altra tappa, la più scientificamente ricca, che approfondisce questo rapporto”. 

Il titolo della mostra, L’ombra della giovinezza, riprende quello di una delle molte novelle che Tozzi dedica al tema della gioventù come malattia e come paralisi della volontà. Tozzi, in una recensione all’importante Mostra d’arte giovanile alla Casina del Pincio del 1918, dimostra straordinarie capacità critiche e una precisa conoscenza della situazione artistica della capitale nel commentare le opere di Armando Spadini, Pasquarosa, Ferruccio Ferrazzi, Attilio Selva, Cipriano Efisio Oppo, Carlo Socrate, Deiva De Angelis, Leonetta Cecchi Pieraccini e Alfredo Biagini. Altri articoli invece hanno carattere monografico, e testimoniano un’evidente consonanza, per tematiche e linguaggi, con gli artisti trattati, da Fracassi a Barbieri, da Viani a Ercole Drei. Un capitolo a sé, di grande interesse e del tutto sconosciuto anche agli specialisti, è poi quello che lega Tozzi a una pratica editoriale oggi quasi dimenticata: quella dell’illustrazione libraria e periodica. Già nell’Ottocento, grandi scrittori come Manzoni e Verga avevano dato alle stampe edizioni illustrate delle loro opere realizzate in stretta collaborazione con artisti di rilievo, e nei primi anni del Novecento questa consuetudine non solo prosegue ma si estende anche all’editoria periodica. Così, se nel 1913, dopo aver partecipato all’esperienza della rivista “L’Eroica”, Tozzi pubblica il poema La città della Vergine con le incisioni di Barbieri e di Pasqui, negli anni romani saranno invece Tommaso Cascella, Cipriano Efisio Oppo, Attilio Selva e Bepi Fabiano, tra gli altri, a illustrare le prose brevi e le novelle che lo scrittore andava pubblicando sulle più importanti riviste dell’epoca.  Sabato 9 aprile alle ore 10 Anteprima con i prestatori d’opere alla presenza del sindaco di Siena Luigi De Mossi. Dalle ore 16 opening su invito. Domenica 10 aprile apertura mostra. 

Info e orari di apertura: Tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 19 (ultimo ingresso ore 18.15). Prenotazioni Dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 13.30 tel. 0577 292615 – 0577 292614. ticket@coune.siena.it infoscala@comune.siena.it www.santamariadellascala.com 

Albo dei prestatori: Archivio Tozzi Castagneto, Siena; Galleria Comunale d’Arte Moderna, Roma; Museo di Roma in Trastevere, Roma; Museo della Scuola Romana, Roma; GAMC, Galleria Comunale di Arte Moderna e Contemporanea, Viareggio; Pinacoteca Comunale, Cesena; Pinacoteca Comunale, Faenza; Musei Civici del Comune di Forlì; Museo Civico, Taverna, Catanzaro; Museo Civico, Siena; Museo Civico di Palazzo Te, Mantova; Collezione Società di Esecutori delle Pie Disposizioni, Siena; Collezione Chigi Saracini proprietà FAC., Siena; Gabinetto Vieusseux, Firenze; Biblioteca Comunale degli Intronati, Siena; Biblioteca Area Umanistica, Università di Siena; Fondazione Marco Besso, Roma; Biblioteca Filosofia Università La Sapienza, Roma; Biblioteca Cineteca Renzo Renzi, Bologna; Archivio Leonetta Cecchi Pieraccini, Roma; Archivio Nino e Pasquarosa Bertoletti; Collezione Fondazione Archivio Oppo, Roma; Collezione Fondazione Ovidio Jacorossi, Roma; Collezione Fondazione Chianti Banca, Monteriggioni; Collezioni d’arte Crédit Agricole Italia; Collezione Banca d’Italia, Roma; Collezione Banca Monte dei Paschi, Siena; Collezione Roberto Bianchi, Siena; Collezione Laura Bonelli, Siena; Collezione Marco Selva, Roma; Galleria Francesca Antonacci, Roma; Galleria d’Arte Bentivegna, Montecatini Terme.

GLI AUTORI DELLE OPERE IN MOSTRA

GINO BARBIERI Gino (Luigi Giovanni) Barbieri nasce a Cesena nel 1885. Nel 1904 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove è allievo di Adolfo de Carolis. Sotto la guida e l’incitamento del suo maestro, oltre alla pittura si dedica all’illustrazione e, in particolar modo, alla xilografia. 

ALFREDO BIAGINI Alfredo Biagini nasce da una famiglia di orafi nel 1886 a Roma, dove muore nel 1952. All’Accademia di Belle Arti studia scultura e architettura, e nel 1908 si trasferisce a Parigi, dove perfeziona i suoi studi in anatomia comparata e scultura applicata all’architettura. 

LEONETTA CECCHI PIERACCINI Leonetta Pieraccini nasce a Poggibonsi nel 1882 e muore a Roma nel 1977. Nel 1902 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove è allieva di Giovanni Fattori.

FULVIO CORSINI Fulvio Corsini (Siena 1874-1938) deve la sua formazione accademica a Roma e Firenze, qui perfeziona il modellato e la scultura in legno – arte intrapresa fin da giovane nella bottega del padre – e la lavorazione del marmo, terracotta e bronzo. Ispirandosi allo stile di Giovanni Pisano, realizza le sculture di San Bartolomeo e San Marco per la facciata del Duomo di Siena. 

DEIVA DE ANGELIS Deiva De Angelis nasce a Farneto, tra Gubbio e Perugia, probabilmente nel 1885. A inizio secolo si trasferisce a Roma per lavorare come modella, ma ben presto, da completa autodidatta, inizia a dipingere. 

ERCOLE DREI Nato a Faenza nel 1886, Ercole Drei si trasferisce a Firenze nel 1906 per studiare scultura all’Accademia di Belle arti. In questi anni stringe amicizia con alcuni compagni di studio quali Gino Barbieri, Ferruccio Pasqui, Armando Spadini, ed è molto probabilmente in questo contesto che conosce Tozzi. 

FERRUCCIO FERRAZZI Ferruccio Ferrazzi nasce a Roma nel 1891. Nei suoi anni di apprendistato l’artista cui guarda con maggior interesse è Segantini, sia per le tematiche simboliste che per la tecnica divisionista. Nel 1914, dopo un viaggio a Parigi e la conoscenza a Roma del futurismo, inizia una personalissima rielaborazione di spunti derivati dal futurismo, dall’espressionismo, dal primitivismo, ma anche dal Quattrocento italiano e dall’arte bizantina. 

PATRIZIO FRACASSI Patrizio Fracassi nasce a Siena nel 1875. Dopo discontinui studi presso l’Istituto d’arte in cui studia scultura, segue la sua ricerca facendo emergere un linguaggio drammaticamente espressivo e verista ben unito agli ideali socialisti del periodo e all’attenzione per la fatica e il lavoro. Viaggia per varie città in Italia e il premio Lazzeretti, conseguito a Siena nel 1902, gli dà modo di risiedere per un periodo a Roma. Nella sua breve vita (conclusasi per suicidio nel 1903, a soli 28 anni) realizza tra la fine del secolo e l’inizio del 1900 molte opere, alcune andate perdute, quasi tutte in gesso, in cui il modellato riverbera la sua sanguigna passionalità. Dotato di talento indiscutibile, riesce a creare sia grandi gruppi dalla struttura complessa, come Monumento al lavoro, o sculture dal singolo soggetto come La Fede (La fiducia nella Croce) per il monumento funebre Caselli – l’unica opera di cui esiste anche una versione in bronzo. Nel 1921 la famiglia Fracassi dona al Comune di Siena le opere dell’artista – ora in deposito presso la Gipsoteca del Museo Civico e in parte presso il Santa Maria della Scala. Federigo Tozzi, estimatore del suo talento, scrive la novella Lo scultore in cui nel protagonista si ravvisa la personalità di Fracassi e a più riprese su “La Gazzetta di Siena” con parole veementi ne perora la valorizzazione da parte, a suo avviso, di un negletto Comune di Siena. È proprio Federigo Tozzi che spinge la vedova Fracassi a donare le opere alla città. 

UMBERTO GIUNTI Umberto Giunti (1886-1970) studia presso l’Istituto d’arte di Siena entrando in contatto con gli artisti del periodo. Esperto pittore, diventa un abile falsario (Il Falsario del calcinaccio) sulla scia avviata da Icilio Federico Joni (1866-1846), suo maestro, inserendosi nel mercato dell’arte che privilegiava la pittura dai fondi oro. 

CIPRIANO EFISIO OPPO Cipriano Efisio Oppo nasce nel 1890 a Roma, dove dal 1906 al 1910 studia pittura all’Accademia di Belle arti. Partecipa alle quattro edizioni delle mostre della Secessione romana (1913-16), nelle quali espone opere che, per l’irruenza cromatica e il senso costruttivo del colore risentono dell’esempio dei fauves, analogamente a quelle della sua compagna di questi anni Deiva De Angelis. 

PASQUAROSA Nata nel 1896 ad Anticoli Corrado, Pasquarosa Marcelli, pittrice, come molte sue compaesane si trasferisce a Roma per lavorare come modella. Nel 1912 conosce il pittore Nino Bertoletti, con il quale inizia una relazione sentimentale destinata a durare tutta la vita e che sposa nel 1915. 

FERRUCCIO PASQUI Ferruccio Pasqui, nato a Rapolano Terme (Siena) nel 1886, si forma presso l’Istituto d’arte di Siena, mostrando molta versatilità nel disegno, incisione e decoro oltre che nella ceramica. Allievo di Adolfo de Carolis sviluppa il suo stile secondo i dettami del Liberty. 

ANITA RENIERI Anita Renieri (1892), scultrice triestina si trasferisce a Siena dove segue il suo interesse per la letteratura già avviato nella città natale collaborando e scrivendo per il quotidiano “La Patria del Friuli”. È proprio quell’interesse che la porta ad intrattenere un epistolario documentato con Federigo Tozzi, a cui chiede consigli per i propri componimenti. 

PIERO SADUN Piero Sadun (Siena, 1919-1979) è stato un allievo del pittore Umberto Giunti presso l’Istituto d’arte. A causa delle persecuzioni razziali si firma, a partire dagli anni ’40 , T. Duna. Alla fine della guerra si trasferisce a Roma e inizia un’intensa vita professionale ricca di mostre in Italia e all’estero. 

ATTILIO SELVA Nato a Trieste nel 1888, Attilio Selva compie la sua formazione di scultore dapprima nella città natale e in seguito nello studio di Leonardo Bistolfi, a Torino. Nel 1909 si trasferisce a Roma, dove si sistema in uno degli atelier di Villa Strohl-Fern, fervida comunità internazionale di giovani artisti di tendenze antiaccademiche. 

CARLO SOCRATE Carlo Socrate nasce nel 1889 a Mezzana Bigli (Pavia), figlio di attori girovaghi. All’età di nove anni si trasferisce con la famiglia in Argentina, da cui rientra nel 1911 per studiare pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze.  

ARMANDO SPADINI Nato a Firenze nel 1883, Armando Spadini si forma all’Accademia della sua città con Fattori e de Carolis, con il quale stringe rapporti di amicizia e collaborazione. Altri importanti legami degli anni fiorentini sono quelli con Soffici, Drei, Papini, Cecchi; risale molto probabilmente alla fine del primo decennio anche la conoscenza di Tozzi, con il quale l’amicizia si rinsalderà negli anni romani. 

LORENZO VIANI Lorenzo Viani nasce a Viareggio nel 1882. Scrittore e pittore, oltre che disegnatore ed incisore, dedica la sua attenzione alla gente fiaccata dal lavoro e dal vivere. Dopo la formazione, svolta all’Accademia di Lucca, sceglie di vivere per un periodo a Parigi dove si confronta con le nuove tendenze e con i tanti artisti della capitale francese. 

IL RESTAURO DI QUATTRO MODELLI IN GESSO E L’AUTORITRATTO IN MARMO DI PATRIZIO FRACASSI

Cinque opere di Patrizio Fracassi, quattro modelli e l’autoritratto in marmo, su committenza del Comune di Siena sono state restaurate e, in occasione della mostra L’ombra della giovinezza. Federigo Tozzi e le arti figurative, saranno esposte per la prima volta nel Complesso museale del Santa Maria della Scala. Un restauro affidato al laboratorio di Maura Masini di San Casciano in val di Pesa (Firenze). 

“La bravura di questo artista sconfina dal risultato meramente estetico e mostra una grande maestria anche nell’utilizzo delle tecniche con cui sono eseguite queste opere. I modelli del campionario diremmo oggi – spiega Maura Masini – Sono le opere che Fracassi mostrava alla committenza e che realizzava in un primo momento modellando argilla cruda, calcandola e realizzandone una copia in gesso identica all’originale. Su questi modelli di campionario apportava piccole correzioni e prove di finiture per il cliente per arrivare infine a realizzare la scultura vera e propria che poteva essere in bronzo o in marmo. Le tracce delle congiunzioni dei tasselli del calco si vedono bene nella testa della Fede e nel Cinquant’ anni in miniera mentre sono state accuratamente limate e fatte scomparire sia nella Crocifissione e che in Compagni di sventura. A guidare questo restauro sono state le informazioni sulle opere ma anche e soprattutto l’attenta prudenza nel campionare prove che facessero da guida. Senza oltrepassare mai i confini del lecito e di una filologia assolutamente corretta, ci siamo dovuti muovere alla scoperta del rapporto tra materiali incompatibili come il gesso che costituisce l’identità plastica delle opere e le sue dipinture quasi mai originali e ogni volta eseguite con vernici diverse. 

Abbiamo dovuto rafforzare il gesso resosi fragile nelle azzardate posture e gli esili spessori che l’artista ha modellato per la realizzazione di queste opere profondamente narrative. Un esempio è dato dalla caviglia sinistra del minatore, come la pericolosa sporgenza delle braccia estremamente fragili, oppure la postura di certe figure della Crocifissione necessaria allo sviluppo drammatico della narrazione, ma appunto estremamente deboli e a rischio di frattura. Sulle opere Cinquant’anni in miniera e Compagni di sventura era stata applicata una patinatura a finto bronzo eseguita con tempere pigmentate documentatamente non originali. In entrambi i casi la dipintura era legata tenacemente alla superficie di gesso e assorbita in modo disuniforme anche in profondità. Le tecniche di restauro usate sono state svariate iniziando dall’uso di pellicole adesive per realizzare una sorta di peeling per strappare lo strato più esterno della dipintura e impiegando anche il laser coadiuvato da puliture chimiche. Sull’opera Cinquant’anni in miniera è stato eseguito anche qualche impacco localizzato con gel caricati con enzimi di ultima generazione. Quindi il ritmo generale della pulitura è stato sorretto da alternanze di metodi che davano i loro diversi risultati ma tutti compensativi e necessari per arrivare a riportare l’opera al bianco del gesso originale senza tuttavia alterare la delicata superficie. In passato il minatore era stato diviso in due parti all’altezza dei fianchi e in seguito rimontato con staffe in ottone coperte da stuccature in gesso. Dopo un accurato controllo statico e data l’irreversibilità dell’intervento pregresso si è deciso di mantenerlo correggendone solo le stuccature. L’opera Compagni di sventura oltre che con una dipintura non originale, ci è giunta fratturata in più parti ed è stata ricomposta e ancorata per mezzo di viti a bussola ad un piano anti deformante di fibre di vetro e alveoli in alluminio tenuto nascosto da una stuccatura. Ben visibile è la firma dell’artista nell’angolo a destra. Diverso il metodo di restauro applicato sulla Fede che non aveva dipinture ed era interessata oltre che da depositi di polveri grasse anche da percolazioni di acqua e formazione di muffe. Questa è stata pulita con acqua in soluzione con biocida. 

 

Anche qui una stuccatura nascondeva un taglio passante che doveva averla divisa in due parti all’altezza dell’inguine e che è stata necessariamente corretta sia nella forma che nel colore. Soluzioni ancora diverse ha preteso il restauro dell’altorilievo della Crocifissione che mostra una patinatura a finto bronzo originale, voluta dall’artista e documentata da una fotografia scattata nel suo studio e che quindi è stata mantenuta. Interessante è la tecnica di esecuzione dell’opera che essendo un altorilievo è molto difficile da calcare. Si può supporre che Fracassi abbia realizzato i calchi dal bozzetto in argilla in due tempi, calcando prima il fondo con gli stiacciati donatelliani e separatamente le figure che spesso sono quasi a tuttotondo e abbia poi riposizionato queste, ricostruendo il rilievo così come lo vediamo oggi. In alcuni punti si nota una stesura di gommalacca utilizzata per lisciare e rendere meno porosa la superficie di gesso e farla assomigliare al metallo. I colori usati per raggiungere l’effetto bronzo sono sostanzialmente pigmento nero Roma, terra d’ombra bruciata e terra d’ombra naturale e non abbiamo trovato tracce di polveri metalliche che spesso venivano usate. Più volte restaurato, ridipinto e integrato ma senza documentazione, l’altorilievo ha creato diversi problemi nella pulitura che è stata eseguita per lo più con solventi aromatici coadiuvati dall’impiego di microspazzolini capaci di entrare nei molti sottosquadra delle tante figure realizzate quasi a tutto tondo e nei sottopiani dei modellati eseguiti con una sorprendente padronanza. Improbabile è il filo di ferro intrecciato cosparso di gommalacca e gesso a simulazione delle corde che tendono la croce. Si suppone infatti che potrebbe essere la sostituzione dell’originale in corda di cui si nota un pezzetto rimasto al di sotto della mano del soldato che la sta tirando. Molti particolari sono di integrazione e molte erano le parti anatomiche da riposizionare e incollare. Purtroppo, le fratture passanti sono tre e per questo motivo abbiamo dovuto costruire un supporto in fibre di vetro e fibre di carbonio che contengono l’altorilievo da dietro, creando una specie di guscio capace di sostenerlo. Una grande gioia ha invaso il laboratorio quando è stata ritrovata a tergo, sotto un cospicuo strato di polvere, la data di esecuzione: 14 Marzo 1899. Più semplice è stata la pulitura dell’Autoritratto in marmo che mostrava solfatazioni e ingiallimento della patinatura cerosa che è stata eseguita per lo più meccanicamente a bisturi. La padronanza dell’artista anche nello scolpire il marmo è assolutamente stupefacente”.

FEDERIGO TOZZI E LA SUA VITA

Federigo Tozzi nasce a Siena il 1° gennaio 1883, nella casa di via dei Rossi soprastante la trattoria gestita dal padre, anch’egli di nome Federigo (“Ghigo del Sasso”). Gli affari vanno bene e nel giro di alcuni anni Ghigo acquista due poderi alle porte della città (Pecorile e Castagneto, dove saranno ambientati rispettivamente i romanzi Il podere e Con gli occhi chiusi). La madre, Annunziata Automi, subisce i tradimenti e il carattere dispotico del marito fino al 1895, quando muore. Cinque anni dopo, Ghigo sposerà Carlotta Granai, alla quale Federigo rimarrà sempre affezionato. La sua adolescenza trascorre inquieta e insofferente della disciplina; violento è soprattutto il dissidio col padre. Frequenta, con scarso profitto, le locali scuole tecniche e poi l’Istituto d’Arte, ma i suoi interessi si rivolgono precocemente alla letteratura: a partire dal 1897 diventa un assiduo frequentatore della Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Dal 1902 si interesserà, in modo costante, anche agli studi di psicologia, in particolare agli scritti di William James (allora diffusi da Papini e dal gruppo dei pragmatisti fiorentini del «Leonardo»), e dal 1903 seguirà il dibattito intorno alla nuova psicologia sulle pagine della «Revue Philosophique» di Ribot. 

Parallela alla formazione culturale è la militanza nel Partito Socialista, al quale Federigo è iscritto sin dal 1901, sebbene le sue simpatie vadano piuttosto all’anarco-sindacalismo. Conosce tra gli altri il pittore Federigo Joni, lo scultore Patrizio Fracassi e soprattutto Domenico Giuliotti, con cui intreccerà dal 1909 un fitto e turbolento rapporto epistolare. Il suo primo articolo (Socialismo e cristianesimo) viene pubblicato il 1° giugno 1901 su «La riscossa», una rivistina operaia di Siena. Nel frattempo, è iniziata la storia d’amore con Isola, una giovane contadina del podere di Castagneto: è questa la materia autobiografica di un romanzo che Tozzi scriverà qualche anno dopo e che intitolerà Con gli occhi chiusi. Nel 1902 inizia il rapporto epistolare con Emma Palagi, che nel 1925 sarà parzialmente pubblicato con il titolo di Novale. Dopo la rottura con Isola (primavera 1903) e una malattia agli occhi, che nel 1904-1905 lo porterà ad un volontario isolamento, Federigo riprende i contatti con Emma e si avvicina alla religione. Nel 1908, mentre Federigo è impiegato alla stazione ferroviaria di Pontedera, muore il padre; pochi mesi dopo si celebra il matrimonio con la fidanzata Emma e, dopo la vendita della trattoria e della casa di via dei Rossi, si trasferirà con Emma e Carlotta a Castagneto, dedicandosi da quel momento in poi in modo esclusivo all’attività letteraria. Nel 1910 collabora, con articoli di critica, al settimanale socialista «Siena Nuova» e, con poesie e la novella In campagna, alle «Pagine libere» dirette dal sindacalista rivoluzionario Paolo Orano, professore liceale di filosofia conosciuto a Siena. 

La guerra di Libia vede Tozzi, come molti giovani intellettuali della sua generazione (e come i sindacalisti anarchici soreliani), schierato sul fronte interventista. Sulla dannunziana e bellicista «L’Eroica» di Ettore Cozzani compaiono nel 1911 la prosa di guerra Marzo, la novella Tregua e alcuni aforismi delle Barche capovolte. Nello stesso anno compare il volume di liriche La zampogna verde e si conclude la stesura degli Specchi d’acqua, che rimarranno però inediti. Il 1912 è quasi interamente dedicato agli studi preparatori e alla scrittura del poema La città della Vergine, pubblicato l’anno successivo da Formiggini, l’editore de «L’Eroica». Risale a quest’anno anche l’incontro con il marchese Piero Misciattelli, studioso dei mistici senesi, e, per suo tramite, quello con altri esponenti della cultura senese (Guido Chigi Saracini, futuro fondatore dell’Accademia Musicale Chigiana, e Fabio Bargagli Petrucci, cultore di storia locale). Nel 1913, dopo sporadiche collaborazioni al cattolico «San Giorgio» (dove pubblica l’articolo La mia conversione) e al «Faro», Giuliotti lo chiama a partecipare insieme a Ferdinando Paolieri all’esperienza de «La Torre», “organo della reazione spirituale italiana”. 

Tra marzo e aprile è di nuovo al lavoro sui manoscritti della Biblioteca Comunale per preparare l’edizione di Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena (che uscirà però solo nel 1915, da Giuntini). Tramite Misciattelli, nell’estate, conosce personalmente Giuseppe Antonio Borgese, con cui era già in contatto epistolare; sono proprio Borgese, Misciattelli ed altri amici come il drammaturgo Angelo Maria Tirabassi a prospettargli la possibilità di una carriera letteraria meno provinciale e più redditizia a Roma. Sul finire del 1913 lavora al romanzo Con gli occhi chiusi

Il 2 maggio del 1914 vende il podere di Pecorile per far fronte ai debiti ma soprattutto per coronare il sogno di trasferirsi nella capitale, dove in autunno lo raggiungeranno la moglie e il figlioletto Glauco, di cinque anni, e dove, tranne brevi soggiorni a Siena, dimorerà fino alla morte. Sempre in maggio lascia la redazione della «Torre» e prende gradualmente le distanze dall’amico Giuliotti e dal cattolicesimo reazionario. A Roma, tenta, senza fortuna, di trovare un impiego nel giornalismo, ma nell’agosto del 1915 è richiamato alle armi. Grazie a Borgese ottiene di non essere inviato al fronte e di prestare servizio a Roma, presso l’Ufficio stampa della Croce Rossa Italiana (l’Ufficio è frequentato da letterati e scrittori come Marino Moretti e Guido Guida), dove rimarrà fino al febbraio del 1919. Negli ultimi mesi del 1916 si conclude la turbolenta relazione, appassionata ma vissuta con forti sensi di colpa nei confronti della moglie, con Olimpia Manfredonia, una giovane conosciuta a Siena alcuni anni prima e già ispiratrice di un personaggio della novella In campagna (1910). La vicenda sentimentale lo aveva portato intanto, nella primavera del 1916, alla separazione da Emma, che tuttavia non cesserà mai di assistere il marito nella sua attività letteraria. Nel 1917, ancora grazie all’interessamento di Borgese, riesce a farsi stampare Bestie da Treves, che pubblica inoltre alcune sue novelle sulla prestigiosa «Illustrazione italiana». 

È, per Tozzi, l’inizio della notorietà e delle collaborazioni (con novelle e articoli di critica letteraria) ai maggiori periodici e quotidiani della capitale; tra il 1918 e il 1919 ci sarà per lui anche un impiego stabile alla redazione del «Messaggero della Domenica», supplemento culturale del quotidiano romano diretto (di fatto) da Luigi Pirandello. Frequenta nel frattempo i salotti letterari romani e conosce tra gli altri Grazia Deledda, Ada Negri, Alfredo Panzini e il giovane Orio Vergani. Si apre così un periodo di eccezionale vitalità creativa: tra l’agosto e il settembre del 1917 inizia Gli egoisti; nei primi mesi del 1918 Carabba gli pubblica, ancora per interessamento di Borgese, una scelta di lettere di Santa Caterina (Le cose più belle) e nel luglio riprende il manoscritto de Il Podere, iniziato tre anni prima, portandolo in pochi giorni a compimento. Tra l’ottobre e il novembre dello stesso anno scrive, di getto, il romanzo Tre croci, ispirato alla tragica vicenda dei fratelli Torrini, titolari di una libreria antiquaria a Siena. Con poche aggiunte e correzioni successive, il manoscritto verrà accettato da Treves nel dicembre dell’anno successivo. Nell’aprile del 1919, anche grazie ad un parere favorevole di Pirandello, Treves (dopo averne bloccato la stampa nell’estate del 1918 a causa di un articolo di Tozzi contro d’Annunzio, il maggiore autore della casa editrice) pubblica finalmente quello che secondo molti è il suo capolavoro, Con gli occhi chiusi, il romanzo dell’amore per Isola, scritto molti anni prima (forse nel 1913) e rifiutato nel 1914 dall’editore Mario Puccini. Scrive intanto il dramma L’Incalco, che rimarrà però incompiuto. Nei primi mesi del 1920, mentre Treves pubblica Tre croci, Tozzi rivede i Ricordi di un giovane impiegato e corregge le bozze dei primi sei capitoli de Il Podere, ma si ammala di polmonite. La morte lo coglie nella casa di via del Gesù il 21 marzo 1920. Usciranno postumi i Ricordi di un impiegato (con questo titolo, ne «La Rivista letteraria» del maggio 1920), Giovani, L’amore, Il podere (anticipato su rivista nel 1920 e edito in volume l’anno successivo). Gli egoisti e il dramma L’incalco verranno raccolti in un unico volume da Emma nel 1923 e la stessa Emma pubblicherà, due anni dopo, parte delle lettere del marito a lei dirette tra il 1902 e il 1908 con il titolo Novale.

 

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