“Quel che resta. Gyotaku Levante” mette in mostra le opere di Elena Di Capita
di Giulia Tacchetti
SIENA. Le ombre della tarda serata di febbraio sono calate su Piazza del Campo, le luci soffuse dei bar difendono l’intimità degli avventori dalla rigidità del buio invernale. Alzando gli occhi spiccano tre finestre all’ultimo piano di un palazzo aperte e illuminate, perché lì si svolge l’evento “Quel che resta. Gyotaku Levante”, che mette in mostra le opere di Elena Di Capita.
Entriamo dal Vicolo del Bargello e saliamo all’ultimo piano dove incontriamo anche il sindaco. La porta dell’appartamento nel Palazzo Giorgi è aperta ed invita ad entrare, mettendoci a nostro agio, come se fossimo stati invitati da un amico. Le pareti sono tappezzate di opere d’arte di Elena Di Capita: nei corridoi, nel salotto, nella camera. In tutto dieci opere, alcune costituite da più quadri. Di dimensioni diverse, riproducono la sagoma di vari pesci in bianco e nero. Detto così, sembrerebbe tutto abbastanza banale. Ma ecco che la tecnica usata dall’artista ripropone una cultura ed un mondo in via di estinzione: è una narrazione che assume vari significati, che va oltre l’immagine. Dal mare prende il via la mostra e la narrazione.
Tutta l’arte di Elena Di Capita è intrisa di mare (nata nel 1985 a Cavi di Lavagna – GE), quando scopre la tecnica del Gyotaku, da gyo “pesce” e taku “impressione”, “litografia”. E’ l’antica arte giapponese di realizzare stampe di pesci, una pratica che risale alla metà del XIX secolo. Questa forma di stampa naturale era in origine usata dai pescatori giapponesi per testimoniare le proprie catture, una sorta di mappatura, che presto è divenuta un tipo di arte a sè. La forma che l’animale lascia sulla carta è la testimonianza di una vita di cui si vuole lasciare traccia, come una volta si usava fare il calco dei volti degli uomini illustri, una volta morti, per lasciare una immagine della loro esistenza che sopravvivesse alla distruzione del tempo.
Ecco che le varie immagini di pesci appese alle pareti evocano il mercato ittico giapponese all’ingrosso di Tsukiji (chiuso nel 2018), anche per i riferimenti alfabetici in lingua, ma subito diventano un focus: fotografano la storia del mare e l’azione distruttrice dell’uomo, perché la pesca indiscriminata ha estinto numerose specie. “Quel che resta” , titolo della mostra, vuole significare non solo quello che rimane dell’impronta lasciata dal pesce sulla carta, ma soprattutto vuole essere una fotografia di ciò che resta dei nostri mari. L’Università di Siena, che patrocina la mostra, fornisce un dato molto significativo: oggi rimane il 10% della fauna ittica originale. Un forte stimolo a riflettere.
L’evento è stato organizzato da “OfficIna Parnaso”, associazione culturale nata nel 2019. La mostra rappresenta il secondo capitolo del Progetto Metamorfosi, dopo lo stop legato al covid, che ha provocato la chiusura dei musei. E’ stata preceduta da una mostra in una gelateria di Siena (La Vecchia Latteria) e da quella itinerante denominata “Taxi 27” (sugli sportelli di un taxi la grafica di un artista si offriva, come la pubblicità, agli occhi delle persone), giungendo oggi alla trasformazione temporanea di un appartamento in home gallery. Un luogo privato diventa uno spazio espositivo aperto al pubblico, poi, quando la mostra finisce, il luogo torna come prima. Questo è anche un invito a riflettere sullo spazio che oggi viene offerto all’arte.
Da evidenziare la presenza della xilografia “Il Fiume Dal Ponte” (1800) del famoso artista giapponese Katsushika Hokusai messa a dialogare con le opere dell’artista Di Capita.
L a mostra durerà dal 20 febbraio al 20 marzo a Palazzo Giorgi, Chiasso del Bargello, 5 Siena.
