SIENA. Appuntamento significativo e denso di spunti quello di Lunedilibri – Parole dal Mediterraneo, svoltosi ieri pomeriggio (16 novembre) nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena. Incontrare Helene Paraskeva, autrice de Il tragediometro e altri racconti e Nell’uovo cosmico, intervistata da Francesco Andreini, presidente del Centro “Gabrio Avanzati”, è stato un po’ come entrare nel suo mondo, tradurre semplici storie in qualcosa di concreto, vero.
Quello che rimane dopo la lettura degli otto racconti è un forte senso di spaesamento, di vertigine; usciamo dal vortice degli episodi ubriacati dal loro ritmo incalzante, sedotti dall’eleganza musicale del loro stile, avidi di una risposta che viene appena suggerita, ma destinata a rimanere inesorabilmente frustrata nei finali.
Respiriamo un’atmosfera quasi onirica, ai limiti dell’evanescenza, in cui i rimandi al mito e alle radici profonde dell’origine si fondono con la realtà, che subito ci ripiomba addosso, senza mediazioni.
La memoria e il ricordo scavano nella storia fino a ripercorrere la frenesia degli agitati anni Sessanta e Settanta, quelli del boom economico che però stentava ad attecchire nelle periferie delle grandi città e dei piccoli villaggi; quelli nella speranza di un mondo futuribile, ancora pesantemente frenato dall’arretratezza e conservatorismo di certe realtà del sud del paese. In questo caso la memoria è quella dei difficili anni della “rivoluzione greca”, e, sollecitata da Andreini, è proprio su ciò che rappresentò la “dittatura dei colonnelli”, che si sofferma l’autrice.
Il ricordare diviene un atto naturale, incondizionato: “non è per farsi male che bisogna ricordare, ma per vivere il presente con una consapevolezza nuova, più matura”, queste le parole di Helene, che si apre a noi in tutta la sua spontaneità, piena di una cultura e di un vissuto che si ritrovano, oltre che nei suoi libri, nelle sue parole pacate, ma piene di amarezza.
“Purtroppo questo racconto non dimostra la sua età, non è inattuale, come dovrebbe. Le cose non sono certo migliorate, anzi, sono più aspre”, così, riferendosi all’ultimo degli episodi del suo libro, in cui i pregiudizi per lo straniero sono parte stessa di coloro che guardano dal di fuori.
Il tragediometro è un libro ironico, amaro, fortemente autobiografico, per cui, come è stato da poco recensito, “il coinvolgimento di chi scrive è totale: i ricordi sono gioie e ferite che lasciano ancora il segno”.
I personaggi dei racconti sono molto simili a quelli che si ritrovano Nell’uovo cosmico: complessi, mai monocorde, ma fortemente contraddittori, incessantemente combattuti tra l’aspirazione a raggiungere un qualcosa e l’impossibilità di superare il proprio essere.
Due libri vivaci ed espressivi, specchio di una società scomoda e selettiva in cui non sembra esserci spazio per chi resta indietro.
L’autrice dimostra una straordinaria abilità nel far propri generi diversi, riuscendo a colpire il lettore, a spiazzarlo, ad ipnotizzarlo fino a costringerlo nella sua scrittura magnetica, di altri tempi.
Helene Paraskeva, nata ad Atene ed appartenuta al retroterra culturale di una Grecia ancora aliena alla modernità europea, ha studiato nel Regno Unito e risiede ormai da alcuni anni in Italia, dove esercita l’insegnamento e promuove diversi progetti interculturali. La formazione poliedrica ed eclettica dell’autrice è parte integrante della sua opera, emerge in ogni singola pagina rendendole
uniche e frizzanti, piene di vita: i suoi libri dal sapore mitico ricordano il vorticoso stile di un Calvino, dai complessi intrecci alle più argute simmetrie; alludono, nell’attenzione a certi particolari, all’approccio semiotico di Eco; restituiscono, nel loro continuo gioco con la memoria e negli esiti che se ne generano, un fluire di immagini alla Joyce.
Helene è una donna greca, “sembro italiana, ma non lo sono”, ci tiene a precisare, ma è prima di tutto una donna che ha vissuto le speranze e i drammi dell’essere immigrata, e che nonostante tutto conserva una fiducia enorme verso il prossimo, a cui bisogna aprirsi in un continuo confronto e in un reciproco scambio delle proprie origini: “la cultura non va mistificata, ma condivisa, e solo così è possibile raggiungere un patrimonio in cui ognuno conserva la sua identità, mettendola però a disposizione dell’altro”.