di Fabrizio Pinzuti
PIANCASTAGNAIO – Se passate a Piancastagnaio non perdetevi la mostra antologica, aperta fino al 30 agosto nelle sale dell’acqua della Rocca Aldobrandesca, la “Donna Nel Tempo” di Alda Casini, un nome che non ha bisogno di presentazioni, sulla quale vale comunque la pena di spendere qualche parola, non foss’altro che per suggerire al visitatore una – sicuramente non la migliore – chiave di lettura.
Altri – le guide critiche abbondano a conferma che non si tratta del dilettante del sabato e della domenica – ne hanno già messo in luce i riferimenti biografici e autobiografici: compie le sue prime esperienze come stilista, resta innamorata del mare che l’ha vista nascere e crescere, sente fortemente il fascino di una Maremma tutt’altro che carducciana e della terra di Siena a cui è approdata nella maturità. Si tratta di osservazioni giuste e indiscutibili, che questo breve profilo non può che ribadire, ma che non possono diventare un luogo comune né costituire una via obbligata alla quale subordinare tutta l’interpretazione del percorso dell’artista, che presenta, a mio giudizio, interessanti elementi di novità nel suo “continuum”. Si è detto per esempio che si tratta di una artista che cerca il riscatto della donna: E’ vero, ma non lo fa con la rabbia della femminista e il suo punto di osservazione non è quello della donna che sul piano sociale, politico, economico cerca la pari dignità con l’altro sesso. Donna, umanamente donna, mi vien detto parafrasando Ungaretti. Nessuna contrapposizione o rivendicazione, ma la più ampia disponibilità ad aprirsi agli altri in un percorso di conoscenza, a guidarli nello scoprire i segreti dell’universo femminile. Poco o niente di immediato e di esplosivo, ma un mare di filtri e di climax, frutto di meditazioni e di studi continui, in una sensibilità particolare. Nei suoi paesaggi non c’è l’uomo, ma c’è – ed è in primo piano – il frutto del suo lavoro. La stilista mantiene evidenti le sue scaturigini, a testimoniare il suo impegno, ma le supera; veste la donna per renderla più bella, non per isolarla atomisticamente; non è la sua né una donna oggetto né una donna oggetto dei desideri ma una donna che, pur non rinunciando alla sua individualità e al suo fascino, diviene un simbolo delle aspirazioni, delle ansie e delle inquietudini di tante altre donne. Non c’è nelle sue opere alcuna figura materna ed è lontana dal modello della “Mater Matuta” e ancor più da quello di una madonna. Si può pensare tuttavia che se per puro accidente dovesse affrontare tale tema, le sue madri – forse ragazze madri – stringerebbero a sé le proprie creature in senso di protezione, sempre con quegli stessi occhi grandi e spalancati che costituiscono una costante nella sua produzione, come per vedere sempre più in là e sempre più in là del possibile.
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