Intervento di Mario Ascheri in vista del convegno del 29 gennaio
di Mario Ascheri
SIENA. In vista del convegno del 29-1 febbraio sull’Assistenza consentitemi un appunto che può essere di qualche interesse, quasi introduttivo.
Invitato nel 2018 nell’ex Ospedale Psichiatrico nel quadro delle iniziative per i suoi 200 anni, proposi una categoria interpretativa forse non del tutto peregrina che ho lasciato troppo in ombra nei miei lavori di storia senese.
Fino al trionfo un po’ prenditutto del Monte dei Paschi nel Dopoguerra, Siena ebbe per secoli (e in parte ancora ha, per la sanità soprattutto) la fama di città dell’assistenza, che il raggio di azione dell’Ospedale San Niccolò nel Novecento, e fino alla chiusura per la legge Basaglia, confermò egregiamente in Italia: l’istituto criminale a Volterra e civile a Siena erano un binomio inscindibile e l’occupazione che l’OP garantiva era largamente superiore a ogni altra impresa di Siena, fino al boom del MPS, naturalmente. Intere aree della città sono note per aver avuto tra i residenti molti infermieri del grande istituto, che garantiva anche molti servizi alla città tutta – a cominciare dal pane e riparazioni di ogni genere garantite dalla ergoterapia, applicata sempre quando possibile. Molte pubblicazioni lo attestano, come sono molte quelle riguardanti per il periodo precedente il Santa Maria della Scala, per più secoli centrale indiscussa dell’assistenza a Siena, dopo aver oscurato nel corso del Trecento altri ospedali pur importanti tipo Monna Agnese o confraternite importanti come la Misericordia. Il Santa Maria, ci hanno ricordato studiosi della religiosità, dell’economia e del territorio, divenne un ente polivalente, che dire solo ospedaliero sarebbe davvero riduttivo. Con le sue grance amministrate da direttori sempre revocabili erano governate da una meritocrazia che i larghissimi poteri del Rettore del SMS aveva rafforzati dalla nomina a vita. Un ospedale oggetto di ammirazione da Milano, che lo prese come modello a fine Trecento. Era un governo quasi monarchico quello del Rettore, che consentiva politiche di lungo periodo sottratte alla contingenza politica. Non è un caso che il SMS fosse una specia di holding pubblica, un rifugio sicuro per i ‘gettatelli’ e i poveri, ma anche banca per i viaggiatori grazie alla sua affidabilità e ancora tesoro a disposizione del Comune sempre bisognoso di contante.
L’imprenditorialità c’era di casa, e non a caso molti ospedaletti anche esterni allo Stato senese gli si sottoposero, come facevano i signori divenendo vassalli dei grandi feudatari o oggi le piccole aziende che possono sopravvivere alla concorrenza solo entro unità maggiori.
L’Università era direttamente comunale, ma doveva anch’essa garantire un’immagine di capacità amministrativa-gestionale, che consentiva al collegio della Sapienza di essere ambito a livello internazionale per i suoi alloggi agli studenti. Pochi numericamente, alla Sapienza e fuori, ma che davano fama alla città, come i suoi professori talora lautamente pagati e divenuti famosi ad esempio perché archiatri pontifici o imperiali. L’imprenditorialità stessa di un Agostino Chigi, il banchiere per qualche tempo forse più potente d’Europa, era venata di assistenza. Riuscì a programmare e costruire un vero e proprio paese per i suoi minatori e una forma di partecipazione alla Olivetti!
La stessa proliferazione di compagnie di laici con fini religiosi le poneva in concorrenza e ne sviluppava l’aspetto gestionale. Gli eremi stessi, da Lecceto a San Leonardo, attraevano importanti pii personaggi dall’estero che facevano affidamento sulla buona amministrazione del territorio: Siena era ‘beata civitas’. La grande triade s. Caterina, s. Bernardino, Pio II, non sono stati anche grandi ‘operatori’ nel difficile ‘mercato’ della Chiesa, dell’economia, delle istituzioni?
I conventi e monasteri, sempre più ricchi in antico regime, esprimevano fors’anche la decadenza dell’imprenditoria privata: nel Settecento si diceva che la città campava sul lavoro casalingo delle donne ai telai, mentre i maschi di dilettavano col vino e le risse. Ma nell’organizzazione religiosa non c’era anche una forma di imprenditorialità? Come avrebbero potuto altrimenti svilupparsi grandi complessi come al Santa Chiara e Santa Marta, al Refugio, al Campansi e così via?
Grandi santi e poi grandi eretici, di nuovo organizzatori: l’Ochino ad esempio non era generale dei Cappuccini? I personaggi come taluni direttori dell’OP, i professori liguri e piemontesi creatori del Pendola e dello Sclavo come erano stati attratti a Siena se non dall’affidabilità delle sue istituzioni? Si sentiva che si potevano fare cose importanti nella scienza e nell’assistenza alla comunità tutta grazie ad una cultura imprenditoriale e amministrativa antica.
La città era logorata dai dissidi politici in tempo di Repubblica, ma anche capace di studiare interventi come il Monte di pietà; poi si pretese dal granduca il Monte dei paschi. Entrambi i monti delle forme di ‘assistenza’ seppero anch’essi garantire, come del resto le contrade.
L’assistenza è stata espressione della dimensione fortemente collettiva della vita urbana senese, a livello generale e zonale. Di qui anche quell’intreccio di pubblico e di privato che è stato più forte che altrove: nel bene e nel male come ci insegna la storia recente…