
di Giulia Tacchetti
SSIENA. Questa riscrittura del testo goldoniano nasce dalla grande esperienza, cultura e sensibilità di un regista-attore impegnato come Valerio Binasco, ma non convince molto. Prende le distanze dalla Commedia dell’Arte, ma la evoca continuamente nell’intreccio, nella serie di gag, equivoci, che, però, non movimentano particolarmente il ritmo dell’azione. Lo spettacolo (la recensione si riferisce alla replica di sabato 18 gennaio) risulta piacevole, senza particolari intenzioni cerebrali ed astratte da parte della regia. Per questo atteggiamento antiretorico Valerio Binasco ha ottenuto la stima ed il consenso del pubblico. Nelle quasi tre ore di spettacolo si avvertono ritmi diversi, che creano dissonanze. Infatti da situazioni divertenti, si passa a momenti di stallo nell’intreccio, a situazioni drammatiche, che ci dirottano verso un’ipotetica tragedia. Florindo, ma soprattutto Beatrice, sono tragici nella loro performance.
Quello che ci colpisce di più è la trasformazione che subisce Arlecchino, un eccezionale Natalino Balasso, che perde il ruolo originale di protagonista e diventa uno dei personaggi. Perde la sua primitiva dinamicità, per diventare un povero diavolo imbroglione, poco furbo, ingenuo, ma calcolatore. La sua comicità nasce dal fatto che la vita colpisce proprio lui debole e stralunato. Non a caso gli altri personaggi si chiedono se è scemo o pazzo quando nella prima scena si presenta nella casa di Pantalone. E’ un Arlecchino che dice che questo non è il suo vero nome , in realtà si chiama Pasquale, perché “una volta aveva un padrone che lo ha picchiato così forte che la sua schiena gli è diventata a rombi”, quindi le pezze del vestito gli sono state disegnate addosso a forza di cinghiate. Non fanno certamente ridere le frustate di Pantalone per avere aperto le lettere. Ci sembra ormai evidente che Valerio Binasco abbia voluto rompere con la Commedia dell’Arte, non solo perché non usa le maschere della tradizione. Evidente è l’intenzione di proporre un testo moderno; le musiche di Arturo Annechino come i costumi di Sandra Cardini ci portano alla fine degli anni ’60. I personaggi acquistano uno spessore più reale, rimandandoci ad una società da poco passata, borghese, paesana, legata a pregiudizi. Ad intrattenere ci sono scene di pura comicità come quella dello scambio delle lettere, del pranzo dalle varie portate, del trasporto delle valigie. Volutamente si scava poco nella psicologia dei personaggi, per far nascere nello spettatore attraverso i dialoghi e le relazioni spunti di riflessione legati alla sensibilità contemporanea. Affiora il tema dell’identità e del doppio, quello della verità e della menzogna. Arlecchino con le sue bugie provoca una serie di conseguenze, non particolarmente determinanti. Infatti la vicenda parte da un omicidio e dallo scambio di persona operato da Beatrice, che assume le sembianze del fratello morto, Federico Rasponi. Emerge anche il tema della donna. Appaiono donne che cercano la libertà dal padre, dalla società, che le vuole relegare ad un ruolo di sudditanza, ostinate, ma anche leali, in contrasto con uomini violenti e dispotici:-“delle donne si parla, degli uomini non si dice niente”, “le leggi le hanno fatte gli uomini”.
Cast di grande spessore. Alcuni attori accompagnano Binasco fin dal tempo di “Filippo” di Vittorio Alfieri al Carignano di Torino nel 2010: Fabrizio Contri (il dottore) e Michele Di Mauro (Pantalone). Comunque tutti offrono uno spettacolo di grande teatro. Indovinate le scene di Guido Fiorato.
La produzione è del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale con il sostegno di Fondazione CRT.