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Carlo Barlozzo, cantautore di Chianciano, presenta il suo primo cd,

di Enrico Campana

CHIANCIANO TERME. Oltre all’Avvocato ufficiale della musica italiana (l’irraggiungibile icona Paolo Conte “con quella faccia un po’ così, con quell’espressione un po’ così”), con l’uscita del suo primo cd “La Meta” sarà utile e interessante ascoltare anche a quel che si propone di dire e dare l’Avvocatino del Rock. Senza volerlo sminuire, questa l’impressione che mi offre un’intervista con Carlo Barlozzo con la sua figura stilizzata, nevrile, l’abito rigorosamente nero contrastante con la pelle lattea, e la bombetta. Insomma, avrete capito… anche lui è un tipo un po’ così.

Avvocato giovane (28 anni), in mezzo al guado fra la professione forense (presso uno studio di Firenze) e la prospettiva (agrodolce) di un futuro da cantautore, cullata nella sua soffitta incantata, possiede buon talento, anima “stirata” dai molti sogni e i tanti dubbi, e potrebbe godere dei favori delle stelle e degli angeli

Un ariete strano, perché questo “intro-compositore” fluttua leggero fra Paolo Conte, come già detto, Francesco De Gregori per timbro vocale e foggia e Gino Paoli, al quale ha dedicato l’unica cover del suo album d’esordio. Carlo, che in certi ragionamenti sembra avere l’invidiabile complicanza di Linus, si potrebbe definire un cacciatore di amori. Lo vedi sospeso per aria nel tentativo di acchiapparli con la mano o con la retina, come fossero farfalle per la sua collezione. Amori d’ogni genere, da quelli legati alle profonde radici familiari, soprattutto quel nonno che si chiamava “Idolo” e tale è rimane, a quelli che si propone di acchiappare (o riacchiappare…), a volte fantasmi invisibili e impossibili.

Alla Darsena di Castiglion del Lago, angolo di culto del Trasimeno che ha visto sfilare mostri sacri della musica, l’8 giugno l’avvocatino di Chianciano lancerà il fatidico dado, ufficializzando in un concerto speciale il primo passo di (si spera) un’importante carriera. Quando scoccherà l’altrettanto fatidica mezzanotte – perché le tenebre non guastano quando c’è aria di magia – il suo album, composto di 12 brani, sarà scaricabile su I-Tunes. E dunque sarà la Rete una specie di esame di massa, per tentare di capire se questo – possiamo definirlo così? – “amorista” (artista cantore dell’amore..) potrebbe davvero avere un futuro nel mondo della canzone o il suo destino è invece quello di aprire un proprio studio legale e districarsi fra i codici.

Sostenuta da un gruppo di orchestrali del primo livello che hanno collaborato – fra gli altri – con Mina, Cremonini, Pelù, la sua musica è un vero mix: lampi di poesia, spruzzate di riflessioni, un cocktail alcolico (cioè rock) di note e contrappunti musicali, che hanno dato vita, dopo un anno di lavoro, al sospirato e atteso cd, la cui copertina offre l’effigie “essere-nonessere” dell’autore. In pratica un “taglio” verticale del volto e del look, barba e baffi stile carboneria risorgimentale e l’immancabile bombetta a metà. quella di Chaplin e De Gregori, ovvero per darsi un’aria che fa un po’ tenerezza e un po’ snob.

“La valutazione l’ho potuta fare solo alla fine – tenta di spiegare – poiché credo di aver fatto un disco autobiografico. Molta famiglia, amore, amicizia, un guardarsi dentro più che fuori, magari anche quelle che chiamo seghe mentali”

Uno pensa a un giovane (schizzato o flesciato, come dice lui) nichilista-anarchico, invece Carlo si tiene lontano dalla politica da basso impero: “Da ragazzino mi colpì l’immaginazione quando mi portarono con la scuola in Parlamento a Roma, poi è subentrata la disillusione, non c’è più la politica di Giolitti o del Rinascimento, sarebbe dare perle ai porci e inquinare la musica scrivere una canzone politica. Forse è un mio pregiudizio, ma è così”.

Oggi avverte di dover realizzare una missione fintamente “leggera”, quella di far risaltare quel patrimonio perduto dei sentimenti e il suo credo esce rafforzato confrontato col manifesto di un grande toscano della musica, Jovanotti. “Ho assistito al suo ultimo concerto, Lorenzo ha detto chiaro e tondo: il mio mestiere è fare festa. Da parte mia, cerco in un panorama di cose positive di approfondire valori, umani, come quando ci si guarda negli occhi, con una convinzione: dentro una persona c’è sempre parecchio, bisogna saper trovare i lati positivi. A volte le persone di oggi non dicono niente, ma per paura, non per cattiveria”.

A questo punto indispensabile un approfondimento dei 12 brani proposti. Gli chiedo di descriverli telegraficamente. “Intro” è la meta, il ritornello – spiega introducendo la trama del primo pezzo – perché partire è come morire per lentamente rinascere, una speranza, un aereo che decolla!”.

Il secondo pezzo è “Sei con me” “una ricerca – questa la sua convinzione – di quello che non avevo ancora trovato, e quando la musa è arrivata e me la sono lasciata scappare ma c’è ancor…”. Non c’è amore senza bacio e il suo “Baciami” è una ventata di fuoco “il mio pezzo erotico – ammette –e metaforica fusione fisica e dei sensi…”. Il quarto brano, “Prima di parlare” è l’elogio della grande saggezza del silenzio, in generale “e nelle grandi questioni di cuore”. “Il video – anticipa – prenderà spunto proprio da questa canzone, il rapporto come fatto di comunicazione fra individui lo vedo come scendere su una pista di ghiaccio,anche se io non so pattinare… E’ un’idea quella di ambientarlo in una pista di ghiaccio”.

Il rock in “Guarda (Il colore del mondo)” è quasi sottinteso, in realtà – ammette Carlo – “questa è una vera e propria canzone d’amore, una delle più personali, e racconta come l’amore riesca a spandersi, quando sei innamorato, su tutto il mondo che ti circonda e gli occhi non siano che lo strumento della mente”.

Come un fiume carsico, il rock esplode invece in “Spara a zero”, che – nonostante il titolo bellicoso – è un brano che inneggia all’amore della propria famiglia, “dedicato ai nonni come concetto delle proprie radici”. Viaggiando per amore è facile ritrovarsi “A mezz’aria, canzone che Barlozzo considera un’altra confessione: “Avverti il distacco del mondo, ti fa sentire distrutto, una mia caratteristica…”. Il n.8, un numero esoterico, quello dell’infinito, è anche la data del suo debutto e quello del titolo scelto per la copertina che segna il suo ingresso della Minosse-Babele musicale, “La Meta”.

“Il traguardo è già secondario rispetto al viaggio”, filosofeggia tirando fuori dall’album dei ricordi quel giorno terribile che si portò via Idolo, l’amato nonno, in un incidente d’auto. “Non sono una persona religiosa – si schermisce – e considero quindi la vita un segmento da vivere intensamente, ho paura spesso di spendere male il tempo e per questo mi attacco alle mie radici”.

La classica prova del 9 per lui è “Ciao Francis”, “la prima canzone che ho scritto – ricorda roteando gli occhi- e parla dell’amicizia, un tipo di sentimento enigmatico, ma forse è normale sia così”. “All’inizio – aggiunge – era un dialogo con un mio amico che avrebbe dovuto diventare un corto che tuttavia non è stato mai girato, per cui ho pensato di trasformarlo in un Meta-Viaggio. Questo Francis immaginario con quale ci si scambia delle impressioni, è un omaggio a Francis Ford Coppola. Si tratta di una cornice che definisce una storia, un ragionamento, e spesso mi porto sul palco una cornice come metafora dell’ottimizzazione di se stessi”.

Segue, al n.10, “Una lunga storia d’amore”, la cover dedicata a Gino Paoli “grande, grandissimo, più grande – azzarda Carlo attingendo ai ricordi dell’infanzia– con De Gregori di Fabrizio De Andrè. Parla del mio primo approccio inconsapevole con la musica, perché mia nonna Paola diceva sempre che quand’ero piccolo, il ciuccio in bocca, mi agitavo quando Paoli cantava in Tv. E poi il mare, il mare come fonte d’equilibrio, quello dove passavo l’estate a Principina. Con poco si stava mesate al mare… un momento che vorresti rivivere, e l’equilibrio come felicità essendo una persona ansiosa”.

Assieme ad Andrea Pinsuti, col quale condivide sentieri rock molto simili, un ermetismo… comprensibilissimo che tocca certe corde della senbilità, Carlo propone come brano di chiusura (anche se in realtà il cd sfuma cristallizzando poi emozioni e impressioni contrastanti sulle note della ripresa di “Prima di parlare”), il brano a 4 mani “Un cielo per soffitta”. Non si tratta di un’astuta manipolazione dell’immortale “Cielo in una stanza” che ha stregato intere generazioni con la voce di Mina, ma – spiega Carlo – “di una riflessione nella mia soffitta con la chitarra in mano, del diverso modo di vedere le cose di due persone che fanno musica e appunto sentono di poter toccare il cielo”.

Il primo disco è sempre un’avventura sofferta, ma non significa automaticamente (o peggio obbligatoriamente…) l’uscita del secondo. “Mica lo so se ne farò un altro, ho molte canzoni nel cassetto, però devo convincere me stesso, tendo al fatto personale e poi a quello musicale, una certezza davvero non ce l’ho. Un conto è scrivere canzoni, un conto incidere un disco. In ogni caso questo penso sia un disco sincero, un canale musicale soprattutto a livello di testi”.

“Cibì” è uno di quelli della generazione “castrata” con pochi ideali e molte finte possibilità, e anche lui è del partito del “doman non v’è certezza”, per dirla come Lorenzo De Medici. “Non ho grande esperienza di palcoscenico – confessa chiudendosi a riccio – e la stessa formazione è venuta per caso. Devo dire grazie al mio arrangiatore Alessio, grande strumentista e grande persona, legato a quei musicisti che ci mettono la loro passione. Sono loro il vero motore di questa operazione”.

Quando gli chiedo se pensa di avere successo al primo colpo, giura che si accontenterebbe del poco. E non è falsa modestia. “Sono un persona fortunata, vivo con la mia famiglia, ho una sorella artista che mi vuole un bene dell’anima. E in casa mia, ciascuno a suo modo è dolce. Se vogliamo, a volte mi sento anch’io un bamboccione. Mi piacerebbe però l’idea di riuscire a portare il pane a casa, il successo significherebbe quel minimo di libertà indispensabile per fare quello che mi piace. Vorrei essere lasciato libero di provare”.

Facendo surf sull’amore, insomma si può essere certi di una cosa: per un musicista il primo cd non si scorda mai…

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