Il documentario di Ferrario arriva in sala da Venezia
di Paola Dei
Proiettato alla 71 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dopo un film del grande regista centenario Manoel De Oliveira, il documentario di Davide Ferrario arriva nelle sale cinematografiche con il titolo insolito dato da Dino Buzzati al commento di un documentario industriale del 1964: Il pianeta acciaio, per descrivere le lavorazioni degli altiforni.L’industria e lo sviluppo tecnologico hanno caratterizzato l’intero XX secolo con l’idea positiva di progresso, crescita e sviluppo. Con i materiali messi a disposizione dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa del Centro Sperimentale di Cinematografia d’Ivrea, il documentario mostra come questa idea si sia concretizzata attraverso i decenni.
Davide Ferrario, capace di realizzare film di finzione, mostra di essere anche un acuto documentarista che riesce a far parlare immagini del passato senza mai snaturare e, per condurci ad osservare l’opera dal suo punto di vista, stimolato dall’archivista e cinefilo Sergio Toffetti. Sulla scena passano i volti degli operai di un tempo non troppo remoto a testimoniare il bisogno di riscatto sociale ma anche con il desiderio di dare un contributo alla crescita collettiva che oggi sembra essersi smarrito in solitudini in eterna lotta fra di loro. Ferrario comprende molto bene che quell’utopia mostra proprio nei nostri tempi il suo misero e non indolore fallimento. Sa che l’osservatore di oggi rabbrividisce quando vede abbattere uliveti per fare spazio a quell’ILVA che a Taranto ha portato lavoro ma anche morte. Ha la certezza però che quello sia stato un periodo pieno di sogni, speranze ed energie spesso incoscienti ma meravigliosamente proiettate verso il futuro, cosa di cui sentiamo grande mancanza adesso. Nel racconto affianca le immagini con citazioni di uomini di cultura che vanno da Marinetti a Gadda, da Primo Levi a Pasolini fino a Buzzati. Tra tutte ne va ricordata una che marca con dolente sensibilità il film. È di Pier Paolo Pasolini: “Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta”. Parole scritte nel 1975.