Sperando che l'opera torni presto a Siena...

di Giulia Tacchetti
SIENA. Il 17 Dicembre La Traviata ha aperto la stagione lirica 2017/18 al Teatro il Costone con un nuovo allestimento grazie all’Associazione Rami Musicali e Italian Opera Florence per la regia di Marcello Vanni.
Il lavoro, frutto di una collaborazione (secondo quanto ci ha riferito lo stesso regista) tra tutti gli artisti, ha puntato sulla protagonista femminile e sulle varie trasformazioni che la modificano, come la malattia, ma soprattutto le violenze psicologiche subite, rendendola una donna attuale: da seduttrice, libera di godersi tutti i piaceri, ad appassionata amante, a donna condannata a perdere se stessa e la vita. Viene rappresentata una storia senza tempo: la donna, vittima dei pregiudizi, è una prostituta d’alto livello, a cui viene vietato d’innamorarsi. La malattia cade su di lei come un destino ineluttabile, che la strappa alla vita e alla possibilità di cambiarla attraverso il sincero sentimento del giovane Alfredo.
Il bigottismo della società e l’ipocrisia vincono sempre. Quindi un allestimento lineare, pulito, che non forza i contenuti del melodramma, per far passare un messaggio che non c’è. Non si è voluto scrivere quasi un’opera completamente nuova, come è accaduto al Teatro La Fenice di Venezia nel 2009 con la regia di Robert Carsen, dove la trasposizione in chiave moderna risultava stravolgente con una Violetta vestita di soli veli ed il ballo delle zingarelle e dei toreri trasformata in una lap dance!
Altra trovata scenica è stata la presenza delle figura nera della morte (l’attrice senese Lorenza Donati) dall’inizio alla fine della rappresentazione, che aleggia intorno a Violetta a ricordarle che la sua fine è vicina e nessuno potrà liberarla dal suo tragico destino. Il regista Vanni ha voluto anche con questo espediente rendere in chiave moderna la tragedia vissuta da Violetta, quasi da rappresentare una ennesima violenza alle donne, spesso vittime del loro stesso amore.
Cristina Ferri ha interpretato Violetta (già nel suo repertorio nel 2012 in Germania) con vocalità agile e duttilità tecnica, capace di passare dal virtuosismo dell’ostentazione frivola allo slancio dell’illusione sentimentale. Vocalmente appassionata e di notevole dolcezza, ha dato prova di massimo impegno, anche perché non al meglio della sua salute, a tratteggiare le trasformazioni della protagonista. Dal II atto in poi abbiamo potuto godere delle prestazioni più intense, quando sicura nel registro acuto ha duettato con il giovane amante e nell’atto finale, quando, sentendo la vicinanza della morte, impaurita canta: – Gran Dio! Morir sì giovane…-. Dopo Violetta solo Manon nella Lyric Opera aveva dichiarato il suo doloroso smarrimento di fronte alla morte. La Ferri, dalla forte presenza scenica, è apparsa padrona del movimento e del gesto, insomma un’attrice carismatica e seducente. Alfredo, interpretato dal tenore Enrico Nenci, si è fatto apprezzare per l’intonazione precisa ed il registro acuto emesso con facilità. Ha cantato con strazio e passione, tanto da emozionare, alla fine del II atto, quando pubblicamente getta ai piedi di Violetta del denaro in segno di pagamento del periodo trascorso insieme. Romano Martinuzzi (Giorgio Germont) ha ottenuto un forte consenso da parte del pubblico per la sua voce possente, fin da quando il suo ingresso in scena ha richiamato quello della statua nel Don Giovanni.
Di buon livello la performance del resto del cast come la direzione del maestro David Boldrini, che ha dovuto superare con i 29 elementi dell’orchestra la penalizzazione dello spazio teatrale. Quest’ultimo ha imposto anche soluzioni sceniche semplici, come la mancanza del ballo mascherato del II atto, quando zingarelle e toreri invadono la scena con i loro canti festosi, sostituito brillantemente da un canto corale accompagnato dal suono del tamburello.
Alla fine dello spettacolo il pubblico esplode in applausi, dimostrando che l’opera è assente nella città di Siena e molti si augurano che questa iniziativa, di cui si fa promotrice Cristina Ferri, sia colta dalle autorità comunali in modo da offrire al melodramma un teatro non in modo occasionale, ma programmato, come lo fa con la prosa e la danza.