
Ventinove anni dopo, la figlia, Benedetta Tobagi gli dedica un libro Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre (Einaudi, editore).
E con lei, ieri pomeriggio nella Cappella del Manto del complesso museale del S. Maria della Scala, è iniziata la prima parte della rassegna Lunedìlibri, realizzata in collaborazione con il Centro Gabrio Avanzati. Una serie di incontri con autori letterari che, fino al 15 marzo, intratterranno il pubblico per approfondire argomenti di attualità come democrazia, terrorismo, legalità.
“Voglio ringraziarti perché mi hai dato la vita, due volte. Quando mi hai generata, e quando mi hai dato la forza di scegliere di lottare per essere viva, invece di lasciarmi sopravvivere, senza essere”. Questa è Benedetta Tobagi, forte e carica di una grande eredità. L’eredità di un uomo che scriveva articoli sui movimenti di destra e di sinistra, che si interrogava, o meglio, che innescava quello che il giornalismo vero dovrebbe fare: aprire un dibattito fra i suoi lettori. Un’analisi di quei famosi anni ’70 che hanno segnato l’Italia.
Del terrorismo, Tobagi, era un avversario rigoroso. Per formazione politica. Era socialista. E per formazione personale: un convinto cristiano.
Benedetta all’epoca dell’attentato aveva solo tre anni, conserva pochissimi ricordi della figura paterna, ma rischia che “l’immagine pubblica di Walter Tobagi”, anziché aiutarla a conoscerlo, lo allontani da lei, “come quando insegui un pallone tra le onde”.
L’esigenza di “scoprire chi fosse quell’uomo sconosciuto che aveva occhi così simili ai miei”, e capire il perché della sua uccisione la spinge a scavare negli articoli, nei diari, nelle pagine di appunti, nei libri, negli atti processuali. A intromettersi, turbata, come “aprendo sbadatamente una porta”, nelle sue carte personali.
Benedetta, con amore ed obiettività, ne traccia un ritratto, ispirata da quelle stesse parole che avevano guidato l’attività del padre e tratte dall’Etica di Spinoza: humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere – non bisogna deridere le azioni umane, né piangerle, né disprezzarle, ma comprenderle.
E Walter Tobagi questo aveva cercato di fare nella sua attività di giornalista. Coraggiosamente. Secondo coscienza. Non arrendendosi alle minacce e assumendo anche posizioni impopolari per l’epoca: l’Italia degli anni di piombo, dove anche l’aria “puzza di chiuso e di troppa morte” e forse, proprio per questo, ha pagato con la vita.
La scrittrice oggi si dedica a studi storici, svolge collaborazioni editoriali e giornalistiche, lavora con numerose associazioni che operano per documentare il terrorismo.
Come mi batte forte il tuo cuore è un libro dolce ed emozionante, scritto dalla mano di una donna che si è immersa nel passato per non rimanerne schiacciata, e ne è uscita vincente. Finalmente la bambina di ieri e la donna di oggi si sono prese per mano per andare incontro alla vita.
Benedetta Tobagi non ha ricostruito “un’immagine santino di suo padre”. Ha fatto pura ricerca storica. Ha usato il punto di vista del ricercatore. E’ una ricercatrice, come ha detto. Analizza i fatti, cerca nelle carte e delinea una verità. “Lo stile e la forma devono essere organicamente collegate al contenuto”. “La mia storia è scritta nel mio cognome – dice -, questo libro è il mio dialogo con mio padre: un’esperienza straordinaria”.
Benedetta Tobagi ha letto i quaderni personali di suo padre, le registrazioni, anche quelle fatte in famiglia, ha scartabellato i documenti del tribunale e ha visto, ha toccato con mano, che Walter Tobagi “non aveva scheletri nell’armadio”; per lui, “la violenza di destra e di sinistra erano sempre violenza”. E, forse, allora, la sua unica colpa era la libertà intellettuale. Quella che gli permetteva di guardare dentro e fuori. Andando oltre.
“Nel libro racconto fatti, faccio ipotesi – dice Benedetta Tobagi – non c’è stata comunicazione corretta sul terrorismo della sinistra degli anni ‘70”.
E alla domanda: cosa ha voluto dare, con queste pagine, a suo padre, Benedetta Tobagi ha risposto: “ “Ho seguito la verità, ovunque mi guidasse”.