Il film di Diez è la storia di tre adolescenti
SIENA. Da novembre nelle sale una pellicola di Diego Quemada Diez, presentata a Cannes ed Festival per ragazzi di Giffoni, intrisa di realismo e malinconia con immagini di struggente bellezza. Il regista, già pluripremiato per il suo corto documentario dedicato ad un ragazzo affetto da AIDS, I Want to’ Be a Pilot, si cimenta con il suo primo lungometraggio e riceve subito un premio a Cannes nella sezione Un Certain Regard e il premio Gillo Pontecorvo e i ragazzi del Festival di Giffoni lo hanno scelto come miglior Film.
La pellicola ci racconta la storia di tre adolescenti, due guatemaltechi e un indio del Chiapas che parla solo nell’antica lingua tzotzil – in fuga da una realtà di estrema miseria, alla volta degli Stati Uniti. Durante il viaggio, affrontato con l’incoscienza dell’età, i ragazzi dovranno scontrarsi con avvenimenti più grandi di loro e con le miserie della società che fanno da contrasto alla purezza delle immagini e dei paesaggi. Girato con veri migranti e tre straordinari attori esordienti, il Film mette in luce la bellezza di un’amicizia che nasce e cresce in mezzo ai fotogrammi e che dona alla crudezza degli accadimenti momenti di intensa tenerezza.
Il regista stesso ci dice: “Quando mi chiedevano cosa avrei fatto dopo I Want To Be A Pilot e parlavo di questo progetto tutti mi chiedevano quali attori avevo intenzione di metterci e quando dicevo che avrei voluto realizzarlo con veri migranti e tre giovani sconosciuti, qualcuno mi ha anche detto di prendere almeno Salma Hayek come voce narrante! Ho cercato i soldi in Messico, dove, a differenza della Spagna e degli Stati Uniti, esistono ancora aiuti alla cultura e mi sono messo in cerca di produttori. Ne ho cambiati 5: giravamo in luoghi molto violenti e pericolosi, avremmo attraversato zone molto complesse, con emigranti veri sui treni, in oltre 120 location con una logistica molto complicata e tutti erano terrorizzati. La maggior parte aveva paura delle bande di criminalità organizzata, ma io avevo fatto ricerca prima e sapevo a quali leader locali avremmo dovuto rivolgerci per avere il permesso di girare e la protezione. Quando ho spiegato loro che il film cercava di creare una coscienza sociale sul fenomeno dell’emigrazione e ho raccontato la storia, si sono commossi, mi hanno detto che ci avrebbero aiutato e alcuni sono anche nel film. Tutto quello che vedete nel film, anche se non è un documentario, è vero. I migranti sui treni sono tutti in viaggio verso gli Stati Uniti, e anche la fabbrica di lavorazione della carne che si vede alla fine è un posto vero, dove lavorano solo emigrati. In ogni luogo, a partire dalla famigerata zona 3 di Città del Guatemala da dove provengono due dei protagonisti, abbiamo dovuto parlare coi boss locali. La scena di Vitamina nel film nasce da una mia esperienza diretta, accadutami a Sinaloa mentre giravo un documentario. Ero lì con una persona che evidentemente non era quella giusta e un tipo mi puntò la pistola alla tempia e minacciò di ammazzarmi, graziandomi dopo 15 minuti e dicendomi che la volta successiva avrei dovuto parlare con lui”.
Nell’intervista il cineasta mette in evidenza la componente realistica: “Tutto quello che è nel film c’è perché l’ho visto o vissuto o saputo. Ho conosciuto una ragazzina, come Sara, di 17 anni, che ha iniziato il viaggio a 12 anni con la madre che prima di partire le tagliò i capelli, le fasciò il seno e la vestì da uomo. A un certo punto del viaggio la madre è scomparsa. Sono storie molto forti. Ho incontrato una donna che prendeva la pillola perché sapeva che sarebbe stata violentata, era scontato per lei, ho preso dettagli da persone vere per costruire questi personaggi che sono un insieme di più cose. La maglietta di Rambo era quella del ragazzo indio, così come l’idea di salire sull’albero per ritrovare se stesso. Ognuno aveva la sua verità da raccontare. Ho cercato di fare ascoltare le voci di tutti perché diventassero memoria collettiva”.
Una bella pellicola, che lascia a noi, spettatori-attori il compito di riflettere, trarre le conclusioni, osservare le ingiustizie del mondo senza sconti e osservare con umanità una storia semplice dove i sogni sono soltanto quelli di un piatto caldo ed una vita decorosa.