Pellicola coraggiosa per l'esordio in regia di Valeria Golino
di Paola Dei
SIENA. Nelle sale italiane dl 1o maggio, Miele, opera prima come lungometraggio di Valeria Golino, che già aveva esordito alla regia con un cortometraggio dal titolo Armandino e Il madre, in partenza per il Festival di Cannes, dove sarà sulla Croisette il 17 maggio. Prodotto da Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri, con Jasmine Trinca e Carlo Cecchi, il film è liberamente tratto dal racconto di Mauro Covavich: A nome tuo edito da Einudi.
Una pellicola coraggiosa che affronta il tema della morte, del senso della vita e del suicidio assistito, alla luce di una storia in un continuo dialogo maieutico con lo spettatore. Tema già affrontato al Festival del Cinema di Roma con la pellicola Kill me please di O. Barco che vinse il Marc’Aurelio d’Oro nel 2010, da Amour, di Michael Aneke vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2012 e da La bella addormentata di Marco Bellocchio alla Zmostra d’arte cinematografica di Vendzia 2011, viene riproposto da Valeria Golino senza sconti, ma con delicatezza, intensamente ed allo stesso tempo con colori e tonalità marine che creano il senso dell’infinito.
Miele è lo pseudonimo dietro al quale si nasconde Irene, una studentessa che per guadagnarsi da vivere sceglie di seguire le persone affette da malattie incurabili nel percorso del suicidio assistito.
La ragazza ha perduto la madre e nella scelta che fa entrano certamente in gioco dinamiche intra psichiche che la portano ogni volta a rivivere il delicato momento del passaggio da questa vita all’altra. Si procura il farmaco adatto in Messico, una medicina per cani che non è in vendita in Italia e ogni volta chiede con insistenza alle persone se il percorso che intendono seguire sia veramente quello.
In mezzo ad una storia d’amore travagliata perché Irene non ha il coraggio di confessare al fidanzato la sua seconda vita, viene contattata dall’ingegner Grimaldi, un uomo rimasto vedovo che ha perso ogni interesse per la vita. Miele scopre che l’uomo non ha malattie terminali o incurabili e sente si tradita prima e intenerita poi, cerca in ogni modo di salvare l’ingegnere che però non ce la fa a sconfiggere il cosiddetto mal di vivere, riesce però a liberare Irene da un peso di responsabilità che la ragazza fragile internamente si porta dietro da tempo ed a condurla verso il suo sofferto cammino verso la vita.
La Golino, convincente nel suo primo vero esordio, ha affermato in numerose interviste di non a re interpretato il ruolo della protagonista sia perché voleva osservare dal di fuori il personaggio, sia perché voleva che ad interpretarlo fosse una attrice più giovane.
Il corpo, i movimenti bruschi e privi di orpelli, accanto al modo di esprimersi della protagonista affascina e commuove al tempo stesso, come a voler eliminare tutti gli orpelli e le sovrastrutture per una tematica tanto pregnante.
Capace di stimolare ricerche e discussioni dalle mille variabili il film è senz’altro da vedere non foss’altro per la sua funzione maieutica.