SIENA. ‘Maestro Simone fu nobilissimo pictore et molto famoso. Tengono i pictori sanesi fosse el migliore, a me parve molto migliore Ambruogio Lorençetti et altrimenti dotto che nessuno degli altri”
Dai “Commentarii” (1452/55) di Lorenzo Ghiberti.
Quasi tre anni di restauro e una straordinaria collaborazione tra direzioni, specialisti e donatori restituiscono oggi al pubblico l’intensità di un capolavoro della pittura senese del Trecento e di un artista riconosciuto e ammirato tra i migliori dell’epoca.
L’operazione di lungo respiro è iniziata nel 2020 quando la Pinacoteca nazionale di Siena faceva parte della Direzione regionale musei della Toscana, diretta da Stefano Casciu, e nei tre anni di lavoro ha visto avvicendarsi direttrici e curatrici prima di concludersi oggi nell’Istituto autonomo, guidato da Axel Hémery.
La Croce dipinta del Carmine di Siena di Ambrogio Lorenzetti, dopo l’accurato restauro con la direzione
e il coordinamento scientifico di Stefano Casciu, curato dalla restauratrice Muriel Vervat e realizzato grazie al
generoso contributo di Friends of Florence attraverso il dono di The Giorgi Family Foundation, è stata
presentata oggi nella sala dedicata della Pinacoteca dove resterà esposta in evidenza fino all’8 gennaio 2024.
Al termine dell’esposizione temporanea la Croce del Carmine sarà poi ricollocata nella Sala 7 della
Pinacoteca, assieme ad altre opere di Ambrogio Lorenzetti, artista conosciuto soprattutto come il Pittore del Buon Governo nel Palazzo Pubblico di Siena.
La monumentale croce dipinta, proveniente dal convento di San Niccolò al Carmine, venne depositata dal Comune di Siena presso il Regio Istituto di Belle Arti di Siena nel 1862, entrando così a far parte di quel nucleo originario di opere che compongono la collezione della Pinacoteca Nazionale.
Le vicende relative alla storia del convento del Carmine consentono di supporre che la croce sia stata
realizzata intorno al 1328-1330, datazione confermata anche dallo stile: si tratterebbe di un’opera giovanile di Ambrogio ancora legata alla pittura giottesca, ma con spunti che caratterizzeranno la produzione più matura del maestro e un gusto raffinato nell’elaborata decorazione a punzoni del tabellone e dell’aureola.
Sul piano della struttura l’opera, benché ormai priva di alcune parti, si inserisce in un contesto di croci dipintea Siena fra Tre e Quattrocento, connotate dai complessi lavori di carpenteria con terminazioni a poligoni stellati e modanatura delle cornici, rispetto alle quali Ambrogio affina il canone gotico della tipologia.
Il suo interesse per l’osservazione della realtà emerge già nella scelta di raffigurare le venature del legno
della croce, preferendo questo dettaglio realistico alla più consueta campitura blu. Ma la suprema abilità del pittore nella resa degli elementi naturalistici si esprime con evidenza nella figura del Cristo. L’anatomia del
corpo è studiata nel volume, un chiaroscuro dolcemente sfumato descrive con delicatezza le fasce
muscolari, sottolineando con efficacia alcuni punti d’ombra (nell’addome e nell’incavo delle braccia) in contrasto con la colorazione chiara della carnagione su cui spicca con forza il rosso brillante del sangue.
Con una pittura composta da sottili pennellate morbide, Ambrogio, descrive la barba e i capelli castani che ricadono incorniciando il volto, dalla cui espressione si percepisce l’ultimo momento di dolore prima di
rassegnarsi alla morte. La testa è reclinata in avanti, con un effetto drammatico accentuato dall’aureola a
rilievo, e dal basso si osservano le labbra carnose, ma già velate da un riflesso cianotico, e le palpebre
socchiuse che donano alla figura uno sguardo di commovente umanità.
Il restauro
A inizio lavori l’opera presentava diversi problemi conservativi. Durante l’Ottocento le infiltrazioni di acque piovane all’interno del Convento del Carmine a Siena provocarono al dipinto notevoli ed estese cadute di colore, risparmiando però il volto del Cristo, che rimase protetto dall’aureola aggettante rispetto al livello della croce. Prima di questo intervento l’opera era stata già sottoposta a un restauro, realizzato fra il 1953 e il 1956 a cura dell’ICR di Roma sotto la direzione di Cesare Brandi. Tale restauro mise in evidenza le parti originali, grazie alla rimozione delle ridipinture successive, che furono sostituite da campiture neutre in sottolivello. Quel restauro, allineato alle teorie conservative del tempo, in gran parte valide ancora oggi, ha reso tuttavia la lettura dell’opera molto frammentaria. La mostra monografica su Ambrogio Lorenzetti,
svoltasi a Siena tra il 2017 e il 2018, ha fatto emergere la necessità di recuperare una lettura migliore della
Croce e Cristina Gnoni, allora direttrice della Pinacoteca Nazionale, propose quindi a Friends of Florence di finanziare il nuovo intervento, progettato da Muriel Vervat.
L’obiettivo del restauro attuale è stato il recupero della materia originale, seguito però dalla reintegrazione cromatica delle lacune, per una lettura unitaria e più godibile dell’opera.
L’intervento è stato preceduto da un articolato programma di indagini scientifiche, a cura dell’IFAC-CNR e
ISPC–CNR di Firenze che oltre ad essere stato un prezioso sostegno per il progetto di restauro, ha permesso di approfondire la sofisticata tecnica pittorica di Ambrogio Lorenzetti.
L’analisi stratigrafica ha evidenziato, tra i vari aspetti, la modalità di stesura del sangue che scorre dalle ferite di Cristo, eseguito con due tipi di rosso: uno di base, più corposo e ricavato dal cinabro, al quale si
sovrappone uno strato più scuro e brillante in lacca rossa, ottenuta col rosso kermes, un pigmento prezioso,
più costoso dell’oro, che è segnale evidente di una committenza di rilievo.
L’intervento inoltre è stato un momento importante per condurre uno studio più approfondito della tecnica esecutiva ed è stato accompagnato da riflessioni sulle scelte conservative, in particolare sul fondo oro e sulle grandi lacune che interessavano il corpo del Cristo. Il fondo dorato della croce non è solo una preziosa decorazione, ma ha rivelato, attraverso il restauro, uno studio sofisticato da parte di Ambrogio Lorenzetti sulla diffusione della luce.
All’epoca di Lorenzetti, quando la Croce era esposta in chiesa, l’illuminazione era data solo dalla luce naturale che filtrava dalle finestre, modificandosi nell’intensità e nella direzione a seconda delle ore del giorno, e dalle fiammelle delle candele. Queste fonti di luce davano alla materia pittorica una luminosità viva e mutevole, che metteva in valore la plasticità dell’anatomia dipinta del corpo di Cristo, dove i punti di maggiore rilievo sono le spalle e le ginocchia.
E proprio questo fondo dorato, realizzato dal pittore come un tessuto riccamente decorato quasi come fosse
cuoio lavorato a bulino con figure geometriche probabilmente realizzate a compasso, appariva molto
danneggiato. Lo studio accurato dei moduli simmetrici ai lati del Cristo ha permesso di congiungere le linee
perdute dei cerchi, senza applicare forzature e invenzioni che avrebbero condizionato la leggibilità dell’opera. Con la pulitura inoltre è emerso il legno dipinto della croce sulla quale è inchiodato il Cristo: la tonalità rosea e le venature verosimili, ora creano un forte contrasto con il tessuto geometrico del fondo.
Infine il trattamento delle numerose lacune ha rappresentato un momento fondamentale del restauro utile a ridare voce all’intenzione poetica e artistica di Ambrogio Lorenzetti e a restituire valore narrativo alla materia pittorica originale.
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