di Giulia Tacchetti
SIENA. Un’ora e mezza di battute, racconti, ricordi, rancori e rappacificazioni, che legano i dieci commensali di una media famiglia borghese, i Gori, riuniti per il tradizionale pranzo di Natale. L’unico interprete, regista ed autore del testo insieme a Ugo Chiti, è Alessandro Benvenuti, che con un monologo dà vita a dieci personaggi iracondi e bestemmiatori con la sola forza connotativa della sua voce, ora plastica, ora tenue, capace di adattarsi alle intonazioni dei personaggi femminili e maschili, anziani e giovani.
E’ una rassegna di caratteri particolarmente tratteggiata e forte di una comune famiglia: il nonno Annibale, le due figlie Adele e Bruna, con i rispettivi mariti, Gino e Libero, e i figli, Danilo con la fidanzata Cinzia, Sandra con il marito Luciano e la piccola Samantha, che pronuncia solo la parola “otto”. La storia inizia con la vigilia di Natale in casa Gori, dove fervono i preparativi: Adele sta cucinando il tradizionale pranzo, tra una riflessione e un ricordo dell’infanzia sua e di Bruna, mentre il burbero Gino è alle prese con il puntale dell’albero di Natale, che annualmente, essendo di fabbricazione cinese, si accende per un attimo per bruciarsi subito dopo, provocando un corto circuito e le pungenti riflessioni del nonno e della moglie sulle sue reali capacità. Gino minaccia continuamente di morte il nonno Annibale, infermo dopo la grande guerra, mal sopportato per le sue continue ed esose richieste. Da qui si comprendono gli umori che circolano nella famiglia anche se le feste del S. Natale dovrebbero suscitare pensieri più buoni. Arriva il giorno della festa; si delinea così un ritratto di famiglia da un interno colpita da problemi esistenziali. Danilo si presenta sballato per tutto il pranzo, perché ha fatto uso di stupefacenti, alle prese con lo zio Libero, che continua a colpirlo in testa in maniera scherzosa, quanto mal sopportata e con l’inaspettata notizia della gravidanza di Cinzia. Dalle accuse reciproche tra Bruna ed Adele, anche per la presenza del nonno ospitato controvoglia dalla seconda, prende vita una sequela di battibecchi, che fanno intuire rancori vecchi e mai sepolti, a cui seguono false riconciliazioni, il tutto accompagnato dall’uso dell’eufemismo e delle allusioni, che non confermano niente . Tuttavia il giuoco al massacro reciproco non scende mai a livelli tragici anche per l’impiego del Fiorentino, che rende questa commedia toscana ironica, a volte lieve attraverso il sapore della divagazione propria del dialetto. Indimenticabile la scena in cui Adele comunica ai commensali che per colpa del cortocircuito provocato dal puntale di Gino ha lavato il nonno con un po’ di acqua calda presa dalla pentola del lesso e non si ricorda più se l’ha gettata o l’ha rimessa nella pentola, ma… forse no. Da qui prende il via una serie di allusioni al contenuto del brodo che solo il Fiorentino con le sue battute scoppiettanti come petardi può accendere e rendere comprensibili anche a chi non è toscano.
Magistrale l’interpretazione di Alessandro Benvenuti, che lo consacra attore di teatro, anche se la fama arriva soprattutto attraverso il cinema. Noto il film del 1990, tratto da questa commedia, che riunì il trio dei Giancattivi: Benvenuti, Cenci e Nuti come produttore.