di Giulia Tacchetti
SIENA. Alla fine dello spettacolo (ci riferiamo alla terza replica), tra lo scrosciare degli applausi, il direttore Bocciarelli consegna ad una splendida Nancy Brilli un grosso foglio con scritto “sold out”. C’è poco da aggiungere quando il pubblico decreta in maniera così decisa l’esito di uno spettacolo.
Per vari motivi questa rappresentazione suscita interesse: il testo di Gianni Clementi coniuga in maniera compiuta il tema storico, la drammaticità della vicenda ed il linguaggio teatrale; la regia di Pierluigi Iorio punta con lucidità su vari registri dal comico al tragico, al noir. Quest’ultimo viene sottolineato da una voce demoniaca, che interviene fuori campo – per noi senza una particolare necessità – a rimarcare gli aspetti più cupi della storia. Mentre si dipana la vicenda, si impone la complessità psicologica dei personaggi attraverso il taglio comico dato al testo, ma anche quello drammatico, che arriva al culmine della storia con gli omicidi (ecco il lato noir), compiuti dalla coppia Immacolata e Marcello Consalvi, il ragioniere a cui il padrone ebreo ha intestato, con un finto lascito, tutti i suoi beni per timore degli espropri dopo le leggi razziali del 1938. Immacolata è una figura femminile complessa, avida e violenta, soprattutto nei confronti del marito, che ama il lusso raggiunto attraverso il lascito del padrone, che le consente il riscatto di anni di servitù ed umiliazioni. Nancy Brilli si cala nel personaggio, grazie anche all’aiuto del dialetto romanesco, che dichiara le sue origini di donna umile non disposta a rinunciare al suo status symbol, perché dopo 13 anni il padrone, sopravvissuto alla deportazione, ritorna reclamando i suoi beni.
Inizialmente fa ridere come etichetta e bacchetta gli altri, dai vicini di casa agli abitanti del ghetto romano, dall’alto di una sicurezza economica conquistata all’improvviso e gustata fino in fondo, come un calice di vino pregiato. Siamo nel 1956, l’Italia sta rinascendo e ricostruendo grazie al boom economico a cui va incontro, il cui simbolo è la televisione con Mike Bongiorno e la sua trasmissione “Lascia o raddoppia”, seguita appassionatamente da Marcello, come da tutti gli Italiani. Sembra una donna superficiale ed egoista, che mira “al sodo”, per questo soddisfatta. Ma all’improvviso cambia il tono di voce, specialmente quando il marito non vuole capire il suo punto di vista e diventa dura e cattiva. Il suo cinismo la porterà a coinvolgere l’amico nell’omicidio – ormai deciso -del padrone, vincendo le sue reticenze con l’offerta sfrontata di sè. Terribile. Eppure non ci sentiamo di condannarla completamente, è peggiore la miseria o la fame? Gli anni dell’antisemitismo incredibilmente sono tornati con l’urlo nelle piazze contro gli ebrei. Immacolata non può assolutamente pensare di tornare alla vita di miseria precedente, alle brutalità a cui era esposta. Il pubblico la capisce, ma non la giustifica. Rimaniamo attoniti quando decide assieme al marito di uccidere tutti quelli che entrano in casa nell’attesa che sia l’ebreo quello che muore. Sono impazziti. Questo provoca il potere dei soldi, con cui si pensa di comprare tutto, anche la vita.
Lo spettacolo in un’ora e quaranta corre rapidamente senza insistere troppo su certe situazioni che potrebbero rallentare la narrazione. Nessuno degli attori cede a facili battute, abusando del dialetto. Notevole la performance di Nancy Brilli, sicura nella scena e veloce nello scambio delle battute; di altrettanto livello Claudio Mazzenga e Fabio Bussotti. Artisti capaci di tenere il ritmo e, usando le parole di Bussotti durante l’incontro con il pubblico: “Tra il nero ed il bianco ci sono tante sfumature. Ogni sera è una ricerca di nuove sfumature del personaggio”. Questo denota il grande impegno degli attori.
L’ebreo, che dà il titolo alla commedia, è il padrone che non compare mai, ma aleggia continuamente nella storia, nei dialoghi dei personaggi, creando in loro l’attesa di ciò che deve accadere. Inevitabile il richiamo a Becket in “Aspettando Godot”, sebbene in questa venga dato un significato diverso all’attesa nell’assenza delle azioni.