di Enrico Campana
VIAREGGIO. Da Viareggio a Bari. Ha vinto quest’anno il romanzo della rabbia adolescenziale italiana, una rabbia non proprio dallo sguazzare ideologico-sociale de “la meglio gioventù” ma ben descritta, animata, vissuta dal giovane scrittore pugliese Nicola Lagioia. La rabbia stavolta si è fermata a Bari Vecchia, non ha preferito schizzare nel dilatato e sanguinoso scenario che proponeva un Nicola ceceno, anch’esso un giovane che racconta il paese dal quale viene, e che di cognome fa Lilin. Era lui in fondo il personaggio più atteso, come storia di cronaca, della vigilia dei verdetti del famoso concorso letterario che da quando Leonida Repaci e altri letterati di casa in Versilia vollero onorare ben 80 anni fa il matrimonio fra scrittura, pensiero e realtà, spazia su orizzonti planetari. Il Viareggio mi ha sempre affascinato perché è libero prima che anticonformista, come il suo spirito leggero proprio della farfalla.
L’argomento del libro di Lilin era più crudo persino di quello di Saviano conosciuto anni fa a un premio letterario a Compiano, dove lo scrittore campano (ora anche pensatore con possibili sbocchi politici) non vinse giocando in trasferta sul campo di scrittori-votanti con quello che sarebbe diventato di lì a poco un best-seller oltre alla sceneggiatura di un film da Festival. La camorra è però un “prodotto” tipicamente italiano, e Saviano e i piemme che combattono il malaffare ci ripetono tutte le volte che si è inurbata, spunta in ogni angolo d’Italia. Non fatichiamo nel rendercene conto, ma finendo quindi per essere un problema di vicinato, cattura quindi molto di più – nell’immaginario collettivo pastasciuttaro – l’attenzione di un conflitto quale il ceceno. Un grande e tragico scenario che certamente rappresenta l’anelito di autonomia di una minoranza fiera, capace di accettare anche il sacrificio. Anche se, gratta gratta, alla fine c’è sempre l’interesse per quello che madre natura ha regalato sia sotto e sopra il suolo, il petrolio e le foreste che fanno di quella regione la maggiore produzione di carta, a base di alberi abbattuti.
Non ha vinto perciò il tanto atteso Nicola inviso al Cremlino (arrivato a Cuneo 7 anni fa, e al quale ha dato la stura “laddove il dolce sì suona” tanto da indurlo a scrivere direttamente in italiano) giunto a Viareggio col suo romanzo-denuncia sul conflitto civile nel quale questo giovane ex cecchino dell’armata di liberazione di professione, un “artista del tatuaggio”, si è trovato a combattere i russi.
Per quanto riguarda il romanzo, il derbissimo giocato quest’anno dentro le pareti della prestigiosa Einaudi fra tre suoi autori, che – tutto sommato – hanno proposto in salsa diversa lo stesso argomento duro che tocca l’animo, la sensibilità e anche la ragione, e ti pone una domanda triste (“ma questo è il mondo d’oggi che ci ha dato la tecnologia e il progresso?”), è stato vinto dal giovane rappresentante di quel fortunato filone pugliese che coinvolge letterati, rampanti della penna, magistrati, tutti morsi dalla famosa taranta per la letteratura e la narrazione.
Il vincitore del Premio Viareggio per la narrativa Nicola Lagioia, nato 37 anni fa in questa straordinaria terra che fu costola della Magna Grecia, col suo “Riportando tutto a casa”, rappresenta gli abbacinanti Anni Ottanta del Belpaese, quando davanti agli occhi dei giovani di ogni censo e confessione si apre un mondo pieno di opportunità e successi: “Il denaro – sintetizza infatti la scheda del libro- corre veloce per le vene del Paese. I tre adolescenti che si aggirano per le strade di questo libro hanno in corpo una sana rabbia, avvelenata dal benessere e dalla nuova smania dei padri. Si azzuffano e si attraggono come gatti selvatici, facendo di ogni cosa – la musica, le ragazze, le giornate – un contorto esercizio di combattimento. Ma negli angoli dei quartieri periferici li aspetta il lato in ombra di quel tempo che luccica: qualcosa che li costringerà a mettere in discussione le loro famiglie, i loro sentimenti, e perfino se stessi. Ci metteranno vent'anni per venirne a capo”. Se non sbaglio, questo è il terzo romanzo importante di Lagioia del quale lessi qualcosa da emergente, ai primi del Duemila, col dissacrante e divertente “Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj”, a proposito della pesantezza di certa rande cultura.
Per l’81a edizione del Premio Viareggio-Rèpaci, con la regia energica e al tempo stesso lieve della “presidentissima” Rosanna Bettarini, la Giuria dopo una lunga selezione avviata mesi prima e dopo aver discusso le tre terne candidate ha premiato anche Michele Emmer, Bolle di sapone. Tra arte e matematica, Bollati Boringhieri per la saggistica , Pierluigi Cappello, Mandate a dire all’imperatore, Crocetti per la poesia.
Infine il Premio del Presidente è stato vinto dal vicentino Fernando Bandini, Quattordici poesie, L’Obliquo, ultimo prezioso cadeau di un poeta, critico e docente di stilistica e metrica che ha varcato senza sgomento la soglia degli 80.
Cosa c’è di più innocente e fiabesco di un viaggio in una bolla di sapone, la metafora del viaggio troppo breve mutuata da un gioco dell’infanzia?. “Ma il tema "bolle di sapone" ha una ampiezza impensabile. Le bolle di sapone hanno una lunga storia nella letteratura, nella scienza, nell'architettura, persino nello spettacolo, soprattutto nell'arte. E nella musica”, così viene proposto il saggio di un saggio matematico-pensatore quale Michele Emmer, professore di matematica all’Università «La Sapienza» di Roma. Molto seguito è il suo corso su «Spazio e forma» e il convegno “Matematica e Cultura” che si replica da 14 anni a Venezia, oltre ai 18 film su “Arte e matematica” Bolle di sapone, spiega, sono le immagini dell'arte ma anche quelle dell'architettura contemporanea, della scienza, della matematica, della natura “per una storia affascinante che parte dal Seicento, attraversa la grande arte dell'Ottocento, si inabissa negli oceani e arriva alla grande architettura contemporanea. Con immagini spettacolari e inattese”. Questo il credit dell’opera che ci esorta a capire che la matematica libera, non imprigiona..
Pierluigi Cappello nel suo “Mandate a dire all’imperatore”, Crocetti suggerisce come ci si senta oggi in “uno stare senza dimora/che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita”. Ecco un poeta giovane, poco più che quarantenne, che compiuto gli studi a Udine e Trieste e scrive in italiano e in friulano, una specie di terra santa della poesia espressiva che nasce fra i borghi e la cui umiltà diventa vera letteratura.
Le terne candidate erano per la narrativa erano quest’anno Nicola Lilin (Caduta libera, Einaudi), la lombarda Laura Pariani (Milano è una selva oscura, Einaudi) e Nicola Lagioia (“Riportando tutto a casa” , Einaudi), per la saggistica Michele Emmer (“Bolle di Sapone. Tra Arte e Matematica”,Bollati Boringhieri) , Amedeo Quondam. (“Forma del vivere. L’Etica del gentiluomo e i moralisti moderni”, Il Mulino) e Melania Mazzucco (“Jacopo Tintoretto.Storia di una famiglia veneziana”,Rizzoli). .
Per la Poesia, infine, il vicentino Fernando Bandini (Quattordici Poesie, Obliquo), il friulano Pierluigi Cappello (“Mandate a dire all’imperatore, Crocetti) e il napoletano Michele Sovente (Superstiti, San Marco dei Giustiniani).
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VIAREGGIO. Da Viareggio a Bari. Ha vinto quest’anno il romanzo della rabbia adolescenziale italiana, una rabbia non proprio dallo sguazzare ideologico-sociale de “la meglio gioventù” ma ben descritta, animata, vissuta dal giovane scrittore pugliese Nicola Lagioia. La rabbia stavolta si è fermata a Bari Vecchia, non ha preferito schizzare nel dilatato e sanguinoso scenario che proponeva un Nicola ceceno, anch’esso un giovane che racconta il paese dal quale viene, e che di cognome fa Lilin. Era lui in fondo il personaggio più atteso, come storia di cronaca, della vigilia dei verdetti del famoso concorso letterario che da quando Leonida Repaci e altri letterati di casa in Versilia vollero onorare ben 80 anni fa il matrimonio fra scrittura, pensiero e realtà, spazia su orizzonti planetari. Il Viareggio mi ha sempre affascinato perché è libero prima che anticonformista, come il suo spirito leggero proprio della farfalla.
L’argomento del libro di Lilin era più crudo persino di quello di Saviano conosciuto anni fa a un premio letterario a Compiano, dove lo scrittore campano (ora anche pensatore con possibili sbocchi politici) non vinse giocando in trasferta sul campo di scrittori-votanti con quello che sarebbe diventato di lì a poco un best-seller oltre alla sceneggiatura di un film da Festival. La camorra è però un “prodotto” tipicamente italiano, e Saviano e i piemme che combattono il malaffare ci ripetono tutte le volte che si è inurbata, spunta in ogni angolo d’Italia. Non fatichiamo nel rendercene conto, ma finendo quindi per essere un problema di vicinato, cattura quindi molto di più – nell’immaginario collettivo pastasciuttaro – l’attenzione di un conflitto quale il ceceno. Un grande e tragico scenario che certamente rappresenta l’anelito di autonomia di una minoranza fiera, capace di accettare anche il sacrificio. Anche se, gratta gratta, alla fine c’è sempre l’interesse per quello che madre natura ha regalato sia sotto e sopra il suolo, il petrolio e le foreste che fanno di quella regione la maggiore produzione di carta, a base di alberi abbattuti.
Non ha vinto perciò il tanto atteso Nicola inviso al Cremlino (arrivato a Cuneo 7 anni fa, e al quale ha dato la stura “laddove il dolce sì suona” tanto da indurlo a scrivere direttamente in italiano) giunto a Viareggio col suo romanzo-denuncia sul conflitto civile nel quale questo giovane ex cecchino dell’armata di liberazione di professione, un “artista del tatuaggio”, si è trovato a combattere i russi.
Per quanto riguarda il romanzo, il derbissimo giocato quest’anno dentro le pareti della prestigiosa Einaudi fra tre suoi autori, che – tutto sommato – hanno proposto in salsa diversa lo stesso argomento duro che tocca l’animo, la sensibilità e anche la ragione, e ti pone una domanda triste (“ma questo è il mondo d’oggi che ci ha dato la tecnologia e il progresso?”), è stato vinto dal giovane rappresentante di quel fortunato filone pugliese che coinvolge letterati, rampanti della penna, magistrati, tutti morsi dalla famosa taranta per la letteratura e la narrazione.
Il vincitore del Premio Viareggio per la narrativa Nicola Lagioia, nato 37 anni fa in questa straordinaria terra che fu costola della Magna Grecia, col suo “Riportando tutto a casa”, rappresenta gli abbacinanti Anni Ottanta del Belpaese, quando davanti agli occhi dei giovani di ogni censo e confessione si apre un mondo pieno di opportunità e successi: “Il denaro – sintetizza infatti la scheda del libro- corre veloce per le vene del Paese. I tre adolescenti che si aggirano per le strade di questo libro hanno in corpo una sana rabbia, avvelenata dal benessere e dalla nuova smania dei padri. Si azzuffano e si attraggono come gatti selvatici, facendo di ogni cosa – la musica, le ragazze, le giornate – un contorto esercizio di combattimento. Ma negli angoli dei quartieri periferici li aspetta il lato in ombra di quel tempo che luccica: qualcosa che li costringerà a mettere in discussione le loro famiglie, i loro sentimenti, e perfino se stessi. Ci metteranno vent'anni per venirne a capo”. Se non sbaglio, questo è il terzo romanzo importante di Lagioia del quale lessi qualcosa da emergente, ai primi del Duemila, col dissacrante e divertente “Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj”, a proposito della pesantezza di certa rande cultura.
Per l’81a edizione del Premio Viareggio-Rèpaci, con la regia energica e al tempo stesso lieve della “presidentissima” Rosanna Bettarini, la Giuria dopo una lunga selezione avviata mesi prima e dopo aver discusso le tre terne candidate ha premiato anche Michele Emmer, Bolle di sapone. Tra arte e matematica, Bollati Boringhieri per la saggistica , Pierluigi Cappello, Mandate a dire all’imperatore, Crocetti per la poesia.
Infine il Premio del Presidente è stato vinto dal vicentino Fernando Bandini, Quattordici poesie, L’Obliquo, ultimo prezioso cadeau di un poeta, critico e docente di stilistica e metrica che ha varcato senza sgomento la soglia degli 80.
Cosa c’è di più innocente e fiabesco di un viaggio in una bolla di sapone, la metafora del viaggio troppo breve mutuata da un gioco dell’infanzia?. “Ma il tema "bolle di sapone" ha una ampiezza impensabile. Le bolle di sapone hanno una lunga storia nella letteratura, nella scienza, nell'architettura, persino nello spettacolo, soprattutto nell'arte. E nella musica”, così viene proposto il saggio di un saggio matematico-pensatore quale Michele Emmer, professore di matematica all’Università «La Sapienza» di Roma. Molto seguito è il suo corso su «Spazio e forma» e il convegno “Matematica e Cultura” che si replica da 14 anni a Venezia, oltre ai 18 film su “Arte e matematica” Bolle di sapone, spiega, sono le immagini dell'arte ma anche quelle dell'architettura contemporanea, della scienza, della matematica, della natura “per una storia affascinante che parte dal Seicento, attraversa la grande arte dell'Ottocento, si inabissa negli oceani e arriva alla grande architettura contemporanea. Con immagini spettacolari e inattese”. Questo il credit dell’opera che ci esorta a capire che la matematica libera, non imprigiona..
Pierluigi Cappello nel suo “Mandate a dire all’imperatore”, Crocetti suggerisce come ci si senta oggi in “uno stare senza dimora/che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita”. Ecco un poeta giovane, poco più che quarantenne, che compiuto gli studi a Udine e Trieste e scrive in italiano e in friulano, una specie di terra santa della poesia espressiva che nasce fra i borghi e la cui umiltà diventa vera letteratura.
Le terne candidate erano per la narrativa erano quest’anno Nicola Lilin (Caduta libera, Einaudi), la lombarda Laura Pariani (Milano è una selva oscura, Einaudi) e Nicola Lagioia (“Riportando tutto a casa” , Einaudi), per la saggistica Michele Emmer (“Bolle di Sapone. Tra Arte e Matematica”,Bollati Boringhieri) , Amedeo Quondam. (“Forma del vivere. L’Etica del gentiluomo e i moralisti moderni”, Il Mulino) e Melania Mazzucco (“Jacopo Tintoretto.Storia di una famiglia veneziana”,Rizzoli). .
Per la Poesia, infine, il vicentino Fernando Bandini (Quattordici Poesie, Obliquo), il friulano Pierluigi Cappello (“Mandate a dire all’imperatore, Crocetti) e il napoletano Michele Sovente (Superstiti, San Marco dei Giustiniani).
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