Aitason: le installazioni di Paolo William Tamburella
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di Giulia Tacchetti
SIENA. I viaggi sono alla base delle esperienze dell’artista Paolo William Tamburella, in quanto solo così scopre gli elementi che connettono la vita degli uomini, il passato con il presente. L’installazione scultorea a Palazzo Chigi Zondadari di Siena (uno dei palazzi storici della Piazza del Campo) è un assemblaggio di tralci di vite estratte dai vigneti per far posto alle piante nuove nei terreni coltivati sia ai piedi della montagna Sainte Victoire in Provenza che fuori Siena. L’artista, viaggiando per la Francia e la Toscana, trova il collegamento tra la tradizione millenaria della viticultura in queste diverse zone del Mediterraneo ed il contesto del Palazzo Chigi Zondadari.
Non a caso l’installazione di Tamburella è indicata con la parola etrusca Àitason, che indica la coltivazione della vite sugli alberi, tecnica conosciuta come “vite maritata”.
L’opera cite-specific, concepita per la seconda edizione di Cortemporanea, ideata da Flavio Misciattelli, presidente della Fondazione Palazzo Chigi Zondadari, interpreta liberamente lo spazio espositivo nella corte e nei saloni del piano nobile del palazzo, promuovendo il confronto fra linguaggi artistici antichi e contemporanei, che dialogano tra loro, cogliendo la continuità espressiva tra il passato ed il presente. La vite supera la barriera del tempo e rimanda al futuro. Potrebbe essere pensata come “seme della vita”. Ecco come l’artista supera la barriera del tempo. La moltitudine di rami (si parla di circa 50 metri e centinaia di elementi), uniti in un intreccio continuo, la incontriamo subito, nella corte del palazzo, per poi salire ed insinuarsi dentro il primo piano. Si arrampica e si estende sui muri, intorno alle finestre, dialogando con ciò che si vede fuori, architetture dal medioevo al XVIII secolo; promuove riflessioni, quindi si presenta come occasione di stimolo e conoscenza. La prima suggestione ci ha rimandati alle ville ottocentesche di Palermo, completamente abbandonate, decadenti, con i muri ricoperti da rami e rampicanti. Chissà da chi erano abitate, per quale motivo sono state abbandonate. Una decadenza romantica.
La seconda suggestione ci porta in Cambogia, Angkor Watt: il tempio emerso dalla foresta pluviale. Quindi possiamo affermare che spazio e tempo nella installazione di Tamburella sono del tutto superati. Oltre a questi elementi l’opera si arricchisce, secondo la curatrice della mostra Valentina Bruschi, di una dimensione epica del racconto, maturata grazie alle esperienze di viaggi in paesi lontani. La vite, che invade senza controllo il palazzo, dimenticata dall’uomo, si lega fortemente alle architetture degli interni, in un legame tra natura e cultura.
Nel salone da ballo tralci di vite raccolti dall’artista in Francia si rivestono di una preziosa armatura dorata, una seconda pelle, per indicare non solo protezione, ma rinascita.
Chiudiamo con una breve riflessione. In questi ultimi dieci anni gli eventi ospitati nei Magazzini del Sale, all’interno del Palazzo Comunale, nei locali del Santa Maria della Scala, ultima la mostra “Start” di Mondino; nelle strade della città, le sculture di Giannelli e Roggi; nei territori delle contrade (“Impronte urbane” nella contrada di Valdimontone del 2017), dimostrano che nella città qualche cosa si sta muovendo dal punto di vista artistico, dopo la chiusura delle “Papesse”, unico museo della città che ospitava mostre di arte contemporanea.