... e un ricordo dello sguardo di Luciano De Crescenzo
di Silvana Biasutti
SIENA. Quando ho letto, l’altro ieri, del tuffo fatale di Agnes Heller nel lago Balaton non ho pensato all’età o ad acque fredde o a una situazione climatica inadatta a una vecchia nonagenaria, no. Ho pensato che avessero fatto fuori la Heller per le sue idee, o meglio per la sua capacità di rimetterle scomodamente in discussione – come ha fatto lungo tutta la sua esistenza di studiosa -. Perché essere vivi a novant’anni, e pensare, e scrivere, e dare filo da torcere a colleghi anche più giovani, non è da tutti: ma non è più una stupefacente novità. Almeno negli ultimi anni.
Poi però, in questo luglio caldo e ribollente di stupidità – non solo in rete, ma anche sulle pagine di quotidiani e alla radio (in televisione ormai la vacuità è scontata, soprattutto nei mesi estivi) – è stato difficile non collegare la morte di Heller a quella di Camilleri, proprio perché sono (stati) due novantenni notevoli, e quello che forse ci (mi) impressiona è la rottura di uno stereotipo che se siamo fortunati ci tocca o toccherà da vicino.
Riflettevo su come diversamente può succedere oggi di invecchiare di più e qualche volta mantenendo qualità (o addirittura, come nei succitati, talenti e genialità) intatte, quando ho avuto notizia della morte di Luciano De Crescenzo. E sono corsa a spolverare il Leone di Bronzo vinto a Cannes, al XXXI° Festival internazionale del film pubblicitario – nel giugno 1984, con lo spot interpretato da De Crescenzo, per la promozione della lettura, un anno prima.
Sì perché il Leone ce l’ho io e ogni tanto guardandolo mi torna in mente Luciano De Crescenzo con i suoi occhi ironici e la sua prosopagnosia; e ovviamente i libri, il talento per la divulgazione colta, la passione per la conoscenza, le dediche brillanti ad personam, il suo dinamismo pragmatico e lucente.
De Crescenzo in quegli anni era anche conosciuto come tombeur affascinante, ma credo che nessuno sapesse della sua attenzione per i giovani emarginati, nemmeno noi che per promuovere i suoi libri contavamo soprattutto sul suo fascino mediterraneo..
La Mondadori, nel 1982, aveva inaugurato una politica di promozione della lettura; come editore di libri leader del mercato intendeva farsi carico di allargare il pubblico dei lettori e quell’anno era finalmente caduta la censura Sacis che impediva di fare pubblicità ai libri nelle reti Rai, come a qualsiasi altro prodotto. (Vale forse la pena ricordare che era proibita anche la pubblicità alla biancheria intima, ai deodoranti, al cibo per cani e gatti.).
Avevamo esordito con Susanna Agnelli, nel 1982 a Natale; proseguito con Giorgio Armani nell’estate 1983; e nell’autunno avevamo chiesto a De Crescenzo se gli sarebbe piaciuto interpretare lo spot natalizio dei libri.
Sì, gli piaceva, gli sarebbe piaciuto purché anche la storia fosse una sua idea. Così fu che in una libreria del centro di Milano, in un giorno d’autunno, fecero la loro comparsa un cavallo accompagnato da Luciano De Crescenzo.
Perché lui pensava che da sempre, gli asini – così simpatici – erano stati trattati da asini, mentre il cavallo, considerato animale intelligente, messo di fronte a un libro era tal quale un asino o una capra …
In qualche archivio (forse anche in uno scaffale recondito a casa mia) c’è lo spot in cui De Crescenzo, tenendo il cavallo per la cavezza gli mette un libro sotto il muso, esortandolo a leggere “niente … non sa leggere; se non leggete anche voi resterete come il cavallo”. Difficile da rendere, scrivendone, la simpatia, l’accento, la parlata, gli occhi azzurri ammiccanti del nostro autore che era pure un attore ironico e brillante.
(La campagna natalizia ebbe successo, e il successo allora era misurabile in incrementi di fatturato, qualcosa di imprescindibile e obbligatorio, in un’impresa).
Prima di impegnarlo nelle riprese dello spot avevamo chiesto a De Crescenzo, a chi volesse destinare il compenso (un anno di libri) che la casa editrice avrebbe consegnato a nome suo, e lui indicò il carcere minorile di Napoli, dove leggere era “urgente” – ricordo proprio che usò quelle parole –.
Ah e volete sapere che cos’è la “prosopagnosia”? Me lo spiegò proprio Luciano De Crescenzo, che non mi aveva riconosciuta, al Teatro Franco Parenti, a Milano, nel 1996, durante una serata che avevo organizzato per promuovere il Brunello di Montalcino, e a cui lui aveva partecipato. Forse eravamo entrambi fuori contesto.