Leone d'Oro alla Mostra di Venezia
di Paola Dei
SIENA. Nelle sale in questi giorni il Faust di Alexander Nicolaevic Sokurov, la pellicola che ha vinto il Leone d’oro alla 68a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e che ha finalmente decretato la vittoria dell’Arte. Occorre subito dire che Sokurov si legge Sakùrov perché in russo la “o” protonica diviene “a”.
Il grande regista russo delle Elegie e delle immagini artistiche termina con questa pellicola la tetralogia del potere iniziata con Moloch, dedicato Hitler, Taurus, dedicato agli ultimi giorni di Lenin e Il sole che rievoca la capitolazione nipponica attraverso la figura di Hirohito. Per Sokurov, è evidente, il potere è una deformità e, soprattutto, una questione di hybris. L’uomo che si erge al di sopra dei suoi simili per imporre una legge che è e sarà sempre e solo una oscena parodia di quella divina.
Nell’opera così come nelle opere precedenti il cineasta, come ama definirsi il grande regista, è presente una atmosfera elegiaca e struggente con una vena di malinconia che non può non condurci a due suoi altrettanto grandi conterranei: Dostoevskij e Tolstoj.In questa pellicola tutto comincia nella ricerca di quelle inaccessibili altezze alle quali il Dottor Faust anela. Si inizia dal cielo che fa comprendere fin dalle prime sequenze del Film che il destino umano è sospeso ad un potere che lo domina. Sarà Dio o sarà Satana?Dal cielo la macchina da presa ci conduce ad un villaggio e poi sulla figura del Dottor Faust che sta studiando il membro dissanguato di un feretro.
Faust cerca qualcosa, cerca l’assoluto, la sostanza comune a tutte le cose. Ed è proprio questa ricerca che conduce l’antieroe a percorrere le strade sudice della sua città, attraverso uomini vili, ubriachi e puttane. Sokurov senza pietà eppure denso di pietàs ci mostra la lacerazione interiore che diviene l’esistenza stessa del suo protagonista, che non ha certezze assolute ma neppure ignoranza assoluta. Faust incontra molto presto il suo nemico-amico ma il loro patto avverrà soltanto verso la fine del Film quando Faust stesso incontra Margherita e sarà vinto dalla sua stessa sorte. Sokurov è molto capace di inserire nel corso della storia metafore e allegorie che anticipano la vicenda e il mito; il diavolo si presenta come usuraio che pesa le merci come le anime, lo scienziato ha il primo contatto con Margherita durante la celebrazione della fine di un uomo, l’usuraio fa firmare a Faust una ricevuta proprio al principio della storia.
Nel suo omaggio all’Europa Sokurov ha scelto un’opera scritta da un Europeo: Goethe, ambientata in Europa: Islanda e in lingua europea: tedesco. Un’impresa coraggiosa che di certo non ha aiutato il regista ad entrare nelle grazie del grande pubblico che spesso lo hanno definito noioso e troppo ampolloso. Tutto ciò non corrisponde affatto a realtà perché Sokurov ha composto un’opera nella quale ogni sequenza sembra un quadro fiammingo e dove la figura di Faust è analizzata a tutto tondo per coglierne i suoi aspetti devianti e quelli drammatici ma al tempo stesso anche ironici se li si guardano con un certo disincanto.
Il regista attraverso simboli, metafore e allegorie è capace di inquadrare i fatti in maniera profonda e denunciare la tirannide attraverso la figura di un personaggio che tanta parte ha avuto nella storia della letteratura di tutti i tempi a partire da Marlowe fino a Mann, da Goethe fino a Bulgakov, da Murnau a Burton. La simbolica vicenda del patto infernale che il dottor Faust stipula con Mefistofele viene narrata dal cineasta con immagini dal sapore allusivo e onirico dove egli preferisce il fascino stancante dell’attesa allo sviluppo schematico della storia per condurre lo spettatore alla fine inevitabile di un uomo che sfugge al patto ma che smarrisce se stesso, un epilogo che egli stesso non aveva immaginato.