Una commedia col ritmo da set cinematografico
di Giulia Tacchetti
SIENA. Il 14 dicembre al Teatro dei Rinnovati è andata in scena la commedia scritta e diretta da V. Salemme “Il diavolo custode”, produzione Chi è di Scena, importante sottolineare senza contributi pubblici. “Immaginiamo che un giorno il nostro diavolo custode salga sulla terra e venga a dirci: – Vuoi rinascere e ricominciare daccapo? La vuoi una seconda possibilità? Sei sicuro che ne valga la pena?”. Con queste parole il regista presenta il suo spettacolo alla stampa, chiarendo il suo intento che è quello di far dialogare l’uomo con se stesso, spingendolo a riflettere. Lo spettacolo parte con un forte ritmo di musica, movimenti, dialoghi. Salemme chiede: – Popolo di Siena mi farai compagnia nel lungo viaggio dell’anima?-. Piace molto questo coinvolgimento del pubblico. Il dialetto napoletano, l’agilità scenica e linguistica di Salemme, le sue battute hanno un’immediata presa sugli spettatori. Anche il diavoletto (Nicola Acunzo), dal dialetto reso volutamente poco comprensibile, rimane subito simpatico e concorre a rendere frizzante la rappresentazione. Gli argomenti affrontati sono forti e drammatici: la solitudine dell’uomo nella società, indifeso, che scappa alla vita, la rinuncia agli affetti. Il diavolo tenta Gustavo Gambardella (Domenico Aria), l’uomo medio e fallito, giocando sulle paure del futuro, l’incapacità di andare avanti, l’imu, le banche, i mutui, la globalizzazione, che producono la fine della speranza, il suicidio. Alcune domande del diavolo sono inquietanti: – Sei onesto per paura o per scelta?- Il clima che potrebbe diventare tragico viene alleggerito dai toni della commedia e dall’uso del linguaggio della tradizione, che richiama immediatamente il teatro di Edoardo e Peppino nel trattare temi universali. Il testo della commedia, tuttavia, non sempre ha un andamento lineare e a momenti sembra impantanarsi in sketch che poco hanno a che vedere con la trama principale, come l’arrivo al bar di Gustavo del diavolo travestito da avventore che presenta una moglie a dir poco assurda. Sono momenti in cui i dialoghi diventano battute da set cinematografico, si perde il bandolo della vicenda con divagazioni che poco hanno a che vedere con la trama principale. Certe esibizioni linguistiche di Salemme, l’incrocio di proverbi che danno luogo ad un divertente non sense, distolgono l’attenzione dal tema principale, creando pause nello svolgimento della storia. Anche la conclusione, un po’ lunga, sembra allontanarsi dall’intreccio con una apoteosi delle donne, molto gradita dal pubblico femminile, ma poco coerente con la trama.
Cast tecnico Scenografia: Alessandro Chiti; Costumi: Mariano Tufano; Disegno Luci: Umile Vainieri.