di Andrea Pagliantini
GAIOLE IN CHIANTI. Appena inaugurata presso le ex Cantine Ricasoli di Gaiole in Chianti, la mostra “Cetamura 50, materiali, persone, ricordi”, dedicata ai ritrovamenti avvenuti in questo mezzo secolo nel sito archeologico di Cetamura, grazie agli scavi dell’Università della Florida, capitanati dalla indomabile professoressa Nancy De Grummond.
In un territorio nel quale si produce vino da sempre e dove Bettino Ricasoli focalizzò la “Formula del Chianti sublime” con una miscela di uve (tra le quali spicca il sangiovese, coadiuvato in percentuali diverse dal canaiolo e dalle bianche malvasia e trebbiano), la scoperta – nei due pozzi di Cetamura – di ben 4500 vinaccioli (perfettamente conervati grazie alla presenza dell’acqua) risalenti al 300 a.C. in epoche sia etrusca che romana, è una di quelle notizie che dovrebbe far metttere in processione produttori e consumatori di vino di qualità per andare a vedere la mostra e per vedere la mitica ampolla che li contiene.
Non è ancora dato sapere di quale varietà di uva si tratta: le ricerche di Nathan Wales (dell’Università di New York) ma è un dato che l’84% dei vinaccioli rinvenuti appartengono a varietà domestiche e che per almeno 600 anni, queste viti sono state coltivate in questo territorio.
Manufatti ritrovati nel pozzo numero 1 evidenziano che recipienti, colini, secchielli di bronzo, erano utilizzati per la conservazione e la lavorazione del vino da parte degli Etruschi, utensili databili fra la fine del IV Secolo a.C e l’inizio del III a.C.
Se dopo gli studi dell’Università di New York, si dovesse appurare che i vinaccioli rinvenuti a Cetamura non siano del “Sangue di Giove” (sangiovese) o di locali uve a bacca bianca, ma bensì marmellatosi esemplari di merlot, nel Chianti Storico, ci sarebbe da bere un amaro calice di fiele.