di Gianni Basi
SIENA. Questo venerdi (23 gennaio), in Palazzo Chigi Saracini alle ore 21, il “Micat in Vertice” dell’Accademia Chigiana porta per la prima volta a Siena l’ensemble vocale dei King’s Singers.
Sulla cresta dell’onda da quarant’anni a questa parte, referenze di spicco per le collaborazioni con Berio, Ligeti, Penderecki e finanche con Gorge Martin (quello dei Beatles), i sei “menestrelli del re”, benché clonatisi nel tempo in sempre nuove formazioni, hanno lasciate intatte le doti di qualità e simpatia ereditate dal nucleo iniziale e sono considerati a tutt’oggi la massima espressione del canto “a cappella”. Compunti nelle esecuzioni sacre e scanzonati in quelle frivole, abbracciano un repertorio che va dal medioevo ai giorni nostri e cantano indifferentemente tanto i madrigali che Bowie o McCartney. Nel loro carnet i riconoscimenti più ambiti e una media di cento concerti a stagione in tutto il mondo, passando dalle cattedrali ai teatri, alle sale cameristiche e persino a quelle da ballo ed ai pubs fumosi di Londra. Bob Chilcott, ex membro del gruppo, uno di quelli che mossero i primi passi dopo la fondazione del ’68 concepita in seno alla corale del King’s College di Cambridge, si chiede stupito come facciano, oggi, i giovani colleghi, a sostenere così tante tappe, tanti tour, e dove prendano il tempo per provare e la voce stessa per cantare.
“Forse – sostiene Chilcott – è perché cantano divertendosi un mondo, e con questo spirito riescono a sfruttare tutto il tempo possibile, anche se solo loro sanno come”. Per esempio, i due controtenori David Hurley e Robin Tyson alternano al loro falsetto le gite in vela e le comparsate nei cori di Canterbury e nella mitica Winchester Cathedral. Prendiamo poi il tenore Paul Phoenix. Appena può si dà alla vita in campagna e alle corse d’auto, mentre i baritoni Philip Lawson e Christopher Gabbitas dedicano parecchio tempo alla famiglia e il basso Stephen Connolly, che stravede per gli spuntini di pizza e birra (fra una prova e l’altra), in bagno canta Tom Jones e Freddy Mercury mischiandoli a Mozart anche se di lì a poco dovrà sgolarsi coi gorgheggi di Monteverdi. Ciò che gli spettatori invece vedranno dal vivo, di questi portentosi vocalists, sarà una veste professionale impeccabile, fatta di gestualità e mimica che accompagneranno, straordinariamente, i veri e propri strumenti racchiusi nelle loro ugole. I brani in programma a Palazzo Chigi appartengono, in larga parte, ad autori quattrocenteschi, eccezion fatta per per quelli di Sir Maxwell Davies e di Camille Saint-Saëns. Si comincia col fiammingo Giaches De Wert e la sua “Or si rallegri il cielo”, un’aria tra il sacro e il gioioso di delicata polifonia. Quindi un altro fiammingo, Jacques Arcadelt, con una ballata lenta e traboccante di pathos dal titolo “Il bianco e dolce cigno”. Col mantovano Alessandro Striglio, madrigalista eccelso alla corte dei Medici e suonatore di lira da gamba (poi divenuta “viola”), ascolteremo “Eran ninfe e pastori”, tema bucolico che si rifà alle allegorie di quell’Arcadia, intrisa di grecità e mito, che sarà poi musicalmente ripresa da Haendel e Scarlatti. Carlo Gesualdo, nativo di Venosa, offre a questo punto del concerto un momento di amoroso raccoglimento, velato, però, di note dolenti e manciate di rassegnazione: “Languisce al fin – canteranno mestamente i “King’s”- chi dalla vita parte”. Qualche lacrimone e poi, a ruota, scavando ancora nei sentimenti, ecco il “Sì ch’io vorrei morire”, di Claudio Monteverdi. Ma, qui, i toni si fanno birboni: …vorrei morire sì, dice Monteverdi, ma solo di passione, perché non c’è sensazione più bella “or ch’io bacio, amore, la bella bocca del mio amato core”. E, in sala, i cuori palpiteranno. Pausa densa di buoni sentimenti, e poi via alla seconda parte della serata. Il sesto brano in scaletta, “The House of Winter” di Maxwell Davies, attraversa quattro intensi movimenti che raffigurano le suggestioni invernali delle fredde isole Orcadi (dove l’anziano autore ha scelto di vivere), in un percorso che va dalle arie scozzesi della natività al magico rumore della neve, alle tempeste fra le balene, ai lucenti riflessi e riflussi marini. Grande virtuosismo, in questo polittico acustico, con quale i King’s Singers omaggiano in un sol colpo il titolo onorifico di “Compositore Ufficiale di Sua Maestà la Regina” di cui Maxwell Davies è stato orgogliosamente insignito nel 2004, ma anche le loro frequenti ospitate al Castello di Windsor e l’amore per la loro cara terra d’Albione. Bando ai sentimentalismi, e a pensarci sarà lo spagnolo Franco Alonso con una canzone bizzarra, “La Tricotea”, nome di popolana sanguigna, cui è dedicata un’arietta tutta tarallucci e vino che i King’s Singers renderanno ancora più frizzante dell’originale. Quindi, da un altro spagnolo, un “Anonimus” piuttosto zuzzurellone, seguirà il divertente “Dindirindin” (da cui, ma assai diverso, il nostro dirindindin dìn dìn dìn dìn delle gite scolastiche sui monti e valli in fior), che appartiene al canzoniere profano del tempo di Isabella di Castiglia e canta di una giovincella che, passeggiando bel bella in un prato, dialoga con un usignolo e gli rivela, con sottile gioco di donna, la fierezza d’ essere maritata e qualche civettuolo rimpianto. E i “King’s”, in questo beato dindirindeggiare, saranno i primi a spassarsela e faranno a gara nel contagiare il pubblico con le loro buffe smorfie canore. Mateo Flecha, altro esponente della Spagna rinascimentale, rimette poi -per così dire- le cose in ordine e, con un coretto tra il comico e grottesco, ci farà vivere con “La bomba” il travaglio di una ciurma alle prese con un naufragio. I marinai invocano la Vergine e si salvano, ma il bello è che pregano o esultano con la stessa surreale allegria. Gli ultimi tre brani, “Romance du Soir”, “Calme des nuits” e “ Serenade d’Hiver”, fanno parte degli anni più maturi di Camille Saint-Saëns, spesso considerati i migliori. Tratti in prevalenza dall’imponente affresco della “Messe de Requiem”, costituiscono pagine crepuscolari che sprizzano ricchezza melodica e toni romantici. Pochi cori “a cappella”, secondo i musicofili che se ne intendono, sanno rendere le particolari atmosfere di Saint-Saëns al pari dei King’s Singers. Dunque, per tutto quanto detto, è un vero peccato non andare ad ascoltarli.
I biglietti saranno in vendita a Palazzo Chigi (Via di Città, 89) dalle ore 16 alle 18,30 di giovedì 22, e venerdi 23 fra le ore 20 e le 21 in prossimità del concerto. Ma la sorpresa sarà soprattutto nel dopo concerto: infatti i sei menestrelli si daranno alle improvvisazioni e, se volete ascoltare un piccolo grande consiglio, chiedete dalla platea alcune loro hit di maggiore presa: il “Black Bird” dei Beatles, il tradizionale celtico “Greensleeves” (una dolce culla canora, tratta dalla stupenda versione sinfonica di Sir John Barbirolli) e, imploratela proprio (ma uno alla volta per carità!), la brevissima cavatina del “Largo al factotum” dal Barbiere di Siviglia. Esilarante, fenomenale, da non lasciare andar via i King’s Singers sino a che non l’abbiano cantata.