di Giulia Tacchetti
SIENA. Quando fu pubblicato negli anni ’70, il romanzo “Porci con le ali”, scritto da Marco Lombardo Radice-Lidia Ravera , suscitò un grande scandalo per il linguaggio triviale e per il contenuto, trattandosi di un diario sessuo-politico di due adolescenti, in cui si mescolavano ideali ad una realtà fortemente carnale. Carmelo Bene durante i suoi monologhi cadeva in performance deliranti rivolte al pubblico. Penso alle reazioni irritate degli spettatori quando per la prima volta ho visto “Aspettando Godot” di Beckett. Nessun critico letterario o teatrale ha mai messo in dubbio la valenza artistica sia del romanzo sopra citato che di Carmelo Bene che del teatro dell’assurdo.
Tutto questo per chiarire che la rappresentazione di ieri sera, terza ed ultima, al Teatro dei Rinnovati, “Hybris” di Flavia Mastrella e Antonio Rezza presenta gli stessi elementi di allora: la stessa brutalità provocatoria, la stessa centralità di un individuo-attore, il ritmo incalzante della parola urlata che disorienta lo spettatore, il non- sense dell’eloquio. Quindi, come è accaduto nel passato, i consensi si alternano alle critiche, perchè tutta la pièce si presenta come una frattura con il teatro tradizionale: Rezza-attore si mostra sul palco sdraiato in una bara, emettendo suoni privi di significato. Brillante e provocatorio sfinisce lo spettatore, ma si sfinisce anche, attraverso una crudeltà dissacrante che attacca il nucleo familiare: relazioni imposte da una vicinanza indesiderata, incestuosi con la madre, presentazioni impazzite di parenti, assurde con la fidanzata – “Mi ti dimenticavo mentre stiamo insieme”. Gli altri attori intervengono raramente, sono soprattutto presenze, che sottolineano il vuoto che circonda l’uomo (“La vita è l’eutanasia dei poveri”), sottolineato dalla presenza di una porta, continuamente spostata, che divide spazi inesistenti, denominati ora con il termine “dentro”, ora con il termine “fuori”. Il varco per entrare ed uscire nega l’accoglienza. Il ritmo impazzisce sempre più fino a Rezza che si spoglia completamente sulla scena, o alla sua discesa dal palco verso una spettatrice su cui mima un rapporto sessuale.
Lo spettacolo richiede un pubblico capace di riconoscersi in questo attacco alle convenzioni, che manipolano i rapporti umani, dall’arroganza dell’uomo-divinità che si è ribellato a Dio, da qui il titolo “Hybris”, che per i Greci significava rendersi colpevoli di aver infranto le regole. Rezza decide chi sta dentro e fuori, diventa quindi arbitro del destino degli altri, prevarica la libertà degli altri. Rezza si avvale del meccanismo dell’assurdo, del delirio umoristico, dei suoni ossessivi del fischietto , che sono bestemmie rivolte a Dio. A questi suoni si alternano espressioni di senso, per la verità non molte, come l’antiamericanismo, lo stupro del paesaggio. Penso che il pubblico si sia sentito un po’ fantoccio al termine della rappresentazione, con un anatema lanciato da Rezza ad uno spettatore uscito da teatro un po’ prima del dovuto.