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MICAT IN VERTICE – Quartetto Hagen – Palazzo Chigi, ven. 29 gennaio ore 21
di Gianni Basi
SIENA. Il “Quartetto Hagen”, che in chiusura dei concerti di gennaio di Micat in Vertice si esibirà venerdi (29 gennaio) alle ore 21 in Palazzo Chigi, non è solo la più famosa formazione d’archi di lingua tedesca assieme al “Quartetto Berg”, ma anche un esempio unico di organizzazione musicale.
Prendete una famiglia di musicisti che ricalca e perpetua la vocazione dei propri antenati decidendo di suonare ad alto livello. Per molti un sogno. Per gli Hagen una scommessa da vincere. Si impegnano da matti in quel tempio di note vaganti che è il Mozarteum di Salisburgo e, in un batter d’occhio, vengono scovati dalla Deutsche Grammophon che li mette sotto contratto per una serie di incisioni che li fanno conoscere ed apprezzare nei più importanti consessi cameristici austriaci.
Il passo alle tournée in Europa e nel mondo è breve: il talento puro, frutto di dedizione costante volta a sempre migliorarsi, non può mai essere ignorato.
Gli Hagen iniziano la carriera ufficiale negli anni ‘80 e all’esordio il gruppo è composto da quattro fratelli. I violini li imbracciano Lukas e Angelika, Veronika è alla viola e Clemens al violoncello. Dopo qualche anno, mistero dei misteri, Angelika lascia e il suo violino va a Rainer Schmidt, amico degli Hagen, che diventa un nuovo portentoso tassello del quartetto.
Stile ed eleganza li distinguono particolarmente e vengono subito considerati un ensemble d’élite in campo internazionale, provvedendo essi stessi agli aspetti manageriali e facendo del “Quartetto Hagen” una sorta di griffe aziendale. I successi, dal repertorio classico a quello contemporaneo che mai trascurano, si maturano sempre più attraverso i perfezionamenti continui acquisiti nei conservatori di Basilea, Hannover, Cincinnati con maestri quali Nikolaus Harnoncourt, Heinrich Schiff, Gidon Kremer e Walter Levin, sino ad approdare alle collaborazioni d’alto lignaggio con Maurizio Pollini, Mitsuko Uchida e Sabine Meyer. Sugli “Hagen” piovono via via riconoscimenti eccellenti (premi al festival di Lockenaus e al concorso per quartetto d’archi di Portsmouth) che ne sottolineano la qualità d’esecuzione e un affiatamento “ad occhi chiusi” veramente raro. Nel corso delle loro tournée sono a Siena nel ‘96 e vincono il prestigioso “Internazionale Accademia Musicale Chigiana”. Ma fra i tanti premi quello che più inseguono, ed ottengono nel 2007, è la Palma d’Onore della “Critica Culturale Salisburghese”. Una sfida ancora vinta che, stavolta, consiste nell’aver tenacemente ribaltato l’ingrato detto del “nemo propheta in patria”, vero pugno in faccia per chi emerge nel proprio luogo d’origine ed ottiene la cosa peggiore al mondo per un artista: l’indifferenza. Quella che Cechov chiamava “paralisi dell’anima” e George Bernard Shaw “il più gran peccato verso i nostri simili”.
Ora gli Hagen hanno solo applausi, e ben oltre Salisburgo.
Quelli di Palazzo Chigi, li riceveranno in una serata ridondante di una musica d’archi davvero speciale. Le loro incisioni, è vero, sono da raccogliere in bacheca, ma l’ascolto dal vivo, il cogliere da dove viene un suono, la precisione riscontrabile della danza delle note, ebbene, non ha paragoni.
Tre i quartetti deliziosi che gli Hagen proporranno all’affezionato pubblico chigiano. Ad aprire, Beethoven con un quattro tempi in fa maggiore, il numero 1 dall’opera 18; poi ancora quattro movimenti, in sol minore dall’opera 10 di Debussy e, infine, Mozart con l’ultimo dei suo tre famosi “Quartetti Prussiani”, il numero 23 in fa maggiore K.590. Del tutto, diamo ora un piccolo assaggio. Con Beethoven, subito un tempo di “allegro con brio” travolgente. L’atmosfera è festosa e barocca, malgrado si sia alle soglie dell’800. Ma il sapore da gran ballo di corte è un omaggio dichiarato al principe Lobkovitz, pigmalione e appassionato di musica (manteneva un’intera orchestra in palazzo) cui Beethoven dedica un’aria dai violini sostenuti e predominanti, con viola e violoncello ad unirsi in raffinate interazioni. Il quartetto di Debussy, composto quasi un secolo dopo, fu all’inizio osteggiato per il suo “velleitario gusto innovativo” dalla critica francese. Oggi invece quest’aria, ricca di mutazioni armoniche che i quattro strumenti sembrano passarsi e ripassarsi a vicenda in un gioco avvincente, non solo è ampiamente rivalutato ma è giudicato “di bellezza assoluta” per i suoi timbri accattivanti e, soprattutto, per gli slanci lirici che si librano nel terzo movimento, lo struggente “andantino dolcemente espressivo”. Un brano dunque talmente luminoso da essere ormai eseguito e riprodotto in varie versioni tra cui una, singolarissima, per pianoforte a quattro mani. Nel quartetto di Mozart, che farà da epilogo ad una serata splendida, consigliamo un attento ascolto alla musicalità del violoncello nel movimento d’apertura, l’”allegro moderato”. Udrete un suono solenne e regale che Mozart pensò appositamente in ognuno dei suoi tre “Quartetti Prussiani”, fatti su misura per il re Federico Guglielmo essendo questi un provetto violoncellista. Proprio nel K.590, che ascolteremo, si avvertirà uno spiccare netto di questo meraviglioso strumento sugli altri pur rendendo comunque squisitamente “concertante” l’esecuzione dell’insieme. Come si è detto per Debussy, qui Mozart punta anch’egli a sonorità e virtuosismi nuovissimi che saranno presto attinti dai compositori successivi. Solo il Beethoven d’apertura – e parliamo di un innovatore ancor più rivoluzionario – amerà invece farci gustare una pennellata retrò di barocco gioioso, ma “alla Beethoven” appunto. Quanti in Palazzo Chigi occuperanno le prime file noteranno nei volti degli Hagen il grande piacere di cominciare a scaldare gli archi con una tale suggestiva brillantezza di note.