SIENA. E’ un ritratto di famiglia in un interno, il “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini. Un interno, non molto diverso da quello che in circostanze simili potremmo vivere oggi, che vide il suo esordio al Metropolitan di New York nel dicembre del 1918. Primo conflitto mondiale appena concluso, ed anche un sentimentalone come Puccini si lascia prendere dall’euforia e scrive un atto unico, su libretto di Giovacchino Forzano, che risollevasse gli animi. E, per quanto lo riguardava, che alleviasse i toni cupi delle prime due parti – “Il Tabarro” e “Suor Angelica” – che col “Gianni Schicchi” compongono il celebre “Trittico”. Celebre, in verità, solo successivamente, sino all’affermazione conclamata negli ultimi anni in virtù delle vicende non solo buffe ma anche finemente argute delle famiglie Schicchi e Donati.
Proprio con arie da opere pucciniane, nella ricorrenza per i 150 anni dalla nascita del grande compositore, si era aperta in luglio la Settimana Musicale Senese. Ora, mercoledi 27 in Sant’Agostino, alle 21,15, si chiude una carrellata chigiana davvero travolgente. Mai come quest’anno, infatti, si erano seminate così tante note su note con una serie di eventi-monstre che hanno contribuito a diffondere l’arte del classico puro, del bel canto e delle più varie etnie musicali in ogni angolo della provincia.
La direzione della prestigiosa Orchestra di Sofia di Alipi Naydenov, affidata alla supervisione del maestro Gianluigi Gelmetti con l’assistenza di Maurizio Dones (già ammirato sul podio dell’enclave bulgara con le “Ebridi” di Mendelssohn), avrà come superbi (ed emozionati) protagonisti gli allievi del corso di direzione d’orchestra dell’Accademia Chigiana.
I personaggi dell’opera, che elenchiamo anche per rendere comodo il riconoscimento dei ruoli da parte del pubblico, vedono in “Gianni Schicchi” Pierluigi Dilengite; in “Lauretta”, la figlia, Francesca Bruni; nella vecchia e scontrosa “Zita”, cugina del defunto Buoso Donati, Annunziata Vestri; in “Rinuccio”, nipote di Zita e amoroso di Lauretta, Leonardo Caimi; in “Gherardo”, nipote di Buoso, Marco Voleri; “Nella”, sua moglie, è Susanna Cristofanelli; “Gherardino”, loro figlio (voce bianca nel testo originario) è interpretato da Silvia Gai; il furbetto (e lo vedrete, occhio ai furti…) “Betto di Signa”, da Antonio Taschini; “Simone”, cugino di Buoso, è Andrea Buratti; “Marco”, suo figlio, é Emilio Marcucci; “La Ciesca”, moglie di Marco, ha la voce della giapponesina Wakako Ono; nel doppio ruolo del “Dottor Spinelloccio” e del notaio “Ser Amantio di Nicolai” c’è Michele Pierleoni; nel calzolaio “Pinellino”, Orlando Ciampini; infine, nel ruolo del tintore “Guccio”, Giampaolo Bianchi. Un cast di tutto rispetto supportato al piano da Ryuichiro Sonoda e coordinato da Eleonora Paterniti.
Tra la commedia dell’arte e le miserie umane, tra le avidità misantrope di Molière e l’ironia triste di Eduardo, questi personaggi e le loro vicende (vere peraltro) furono relegati da Dante con severità nella bolgia dei falsificatori (XXX° canto dell’Inferno), e riassunti nella figura di Gianni Schicchi in pochissimi versi, tra cui: “…quel folletto è Gianni Schicchi, sen va rabbioso altrui così conciando…”. Ma vennero poi ripresi in una seriosa ed eloquente rappresentazione inglese (Il Volpone) del 1600, fino alla versione operistica di Puccini e Forzano che finalmente ha potuto presentarceli nelle loro fattezze più esilaranti. La storia, stimolata da una incontenibile “voglia di buffeggiare” di Puccini e da una musica allegra, è lo spaccato di un’antica Toscana dalla battuta pronta e genuina, litigiosa, ruspante e senza fronzoli. In due parole, alla lettura del testamento lasciato dal facoltoso Buoso Donati, viene appreso con sgomento che l’eredità sarà tutta devoluta ai frati di Santa Reparata di Signa. I parenti, distrutti, scelgono loro malgrado di rivolgersi ad un noto ma malmesso faccendiere, Schicchi, cui sono comunque legati per l’amore fra Lauretta, figlia di Gianni, e Rinuccio Donati che è nipote della vecchia Zita. Dopo varie esitazioni, viene deciso che Schicchi si sostituisca a Buoso (di cui in giro nessuno conosce il trapasso) e finga, prima davanti al medico, di star male, poi, in presenza del notaio, detti le sue ultime volontà che, egli, non potrà scrivere a causa di una improvvisa “paralisia” delle mani. Tutto, in attesa del notaio, pare fili liscio come l’olio. Fin troppo, tra richieste di terre, mule, mulini, poderi, cascinali, e soprattutto della ambitissima casa fiorentina di Buoso. Invece, lo scaltro Schicchi, sciorinerà all’allampanato Ser Amantio di Nicolai un elenco minore di lasciti per i parenti (interdetti), e il grosso lo destinerà ai due innamorati Lauretta e Rinuccio. Scompiglio finale coi Donati in fibrillazione che imprecano e arraffano quel che più possono di quella grande casa, Lauretta e Rinuccio che se ne stanno sognanti tre metri sopra il cielo, e Gianni Schicchi che avanza sul proscenio, guarda con tenerezza i piccioncini e, inchinandosi al pubblico, chiede venia e comprensione per quel suo gran bel tiro mancino esclamando “ditemi voi, signori, se i quattrini di Buoso potevan finire meglio di così!”. Beh, Dante permettendo, chi può dargli torto? Specie pensando, oggi come allora, ai costi delle case e a quelli degli affitti… L’opera è perciò divertentissima. Sin dalle prime battute, con quell’irresistibile refrein “…lo dicono a Signa!…”, che ricalca la voce trapelata dell’eredità ai frati; poi nelle citazioni dell’epoca (Giotto, Arnolfo di Cambio) che esaltano Firenze; nelle arie romantiche, in quelle caustiche, in quelle comiche (“spogliati bambolino, che ti mettiamo al letto”, canta la redenta Zita che ora palpita per Schicchi, ma non sa…). E, su tutte, la melodia dolce dolce di Lauretta in cui il “babbino caro” è rivolto tanto ad un padre che viene denigrato perchè non ricco, quanto al suo comunicargli chiara e tonda non solo la gioia di essere innamorata ma anche la gioia di essere sua figlia. Gianluigi Gelmetti, Cavaliere di Gran Croce e storico collaboratore in Chigiana nonchè docente dal ‘97, è avvezzo alle opere ed alle partiture scintillanti. Rossini, Mascagni, Respighi, Ravel, Mozart fra i suoi autori preferiti. Accademico di Santa Cecilia, direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma e della Sydney Symphony, ha ricevuto numerosi premi internazionali sia in campo concertistico che operistico fra i quali un Albo d’Oro a Bonn, il premio della critica per le interpretazioni beethoveniane e il Diapason d’Or per Berg. Del “Gianni Schicchi”, di cui, come si diceva in apertura, pare abbiano tutti riscoperto l’illuminante ironia, si sta ora interessando Woody Allen per il suo prossimo film comico. In onore di Puccini, inoltre, sarà proiettato sabato prossimo alla Mostra di Venezia un film (“Puccini e la fanciulla”) di inediti ritrovati su pagine de “La Fanciulla del West”. L’Accademia Chigiana offre quindi, mercoledi in Sant’Agostino (posto unico 10 euro, info 0577-22091), un ennesimo tributo alle arie pucciniane e, col brio del “Gianni Schicchi”, conclude questa sua stagione estiva più che mai bella ed entusiasmante. Wim Wenders è solito dire “Penso che ogni immagine cominci ad esistere non appena qualcuno la sta guardando”. Basta sostituire “immagine” con “musica” e l’opera “Gianni Schicchi” sarà anche felicemente da guardare. Adatta a tutti, su misura per le famiglie (tranne quella di Buoso).