Una testimonianza
di Silvana Biasutti
SIENA. “Parece un gangster …” L’ultima volta che ho incontrato il Gabo è stato a Venezia, c’era il sole e pranzavamo alla Giudecca da Cipriani. Lì sotto imperversava Chiambretti, che a bordo di un motoscafo, imbracciando un megafono lanciava stentoree domande per mettere in imbarazzo Berlusconi che era ospite – si fa per dire – al tradizionale pranzo Mondadori per il premio Campiello.
Gabriel Garcia Marquez l’avevo incontrato per la prima volta a Barcellona dalla Carmen Balcells nell’ufficio della sua agenzia letteraria sulla Diagonal, quando stava uscendo l’edizione italiana de “L’amor a los tiempos del colera”. Anni prima gli avevo fatto fare una affichette, da un amico carissimo e molto bravo, in occasione del Nobel che gli era stato conferito nel 1982; una grafica molto particolare, con il volto dell’autore che scivolava fuori dalle pagine variopinte dei suoi libri: gli era talmente piaciuta (si era riconosciuto, mi disse quando poi lo incontrai) che volle parlarmi di persona della copertina de “l’amor”, per un ultimo aggiustamento da lui richiesto: l’inserimento di un battello con la bandiera gialla che segnalava i malati di colera a bordo, che cercammo e trovammo insieme su un libro della Carmen.
Ero andata a Barcellona dopo che una mattina Leonardo Mondadori si era precipitato nel mio ufficio strillando in un modo piuttosto inconsueto per lui che il Gabo voleva conoscermi e chiedeva che andassi a incontrarlo a Barcellona.
In occasione dell’incontro catalano gli avevo fatto firmare dediche per i figli, per i colleghi, e persino per Leonardo che non aveva mai incontrato l’autore, nonostante la Mondadori ne avesse acquisito i diritti. Poi eravamo rimasti in contatto, soprattutto telefonico e quando si pubblicò la raccolta di racconti “Dodici racconti raminghi” di cui dovevano scrivere Stella Pende e Irene Bignardi, chiese che andassi a Città del Messico per accompagnarle e per scattare delle foto.
Quando andai in Messico per quell’incontro era l’anniversario della scoperta dell’America e ricordo un tristissimo corteo di gente che manifestava ‘contro’ la scoperta, allo Zocalo, davanti alla cattedrale. Nei dintorni delle interviste che Irene Bignardi e Stella Pende gli fecero in quei giorni, Gabo mi portò un po’ in giro, facendo da autista, con Mercedes – la moglie – che interloquiva preoccupandosi soprattutto degli aspetti pratici che a Marquez sembravano superflui…
Al ritorno in Italia alle sue parole si mischiarono inevitabilmente le immagini della sua casa al Pedregal, piena di verzura e fiori e mosaici e azulejos che riecheggiavano nella mia memoria come il visual della sua poetica.
Non pensavo che avrei incontrato di nuovo il Gabo – non avevo occasioni di viaggio in Messico, né in Colombia o a Cuba; continuavo però a incontrare sempre più di frequente scrittori, giornalisti e poeti latino americani, in un crescendo – mi pareva – innescato proprio da lui e a lui tutti si riferivano, come alla bandiera di una poetica che si andava affermando.
Ma l’anno successivo al mio viaggio, in prossimità del Campiello, Mondadori sapendo che Marquez sarebbe stato a Venezia per il Festival, mi chiese di chiamare la Carmen Balcells e di arrangiare un incontro con l’autore per il pranzo veneziano della casa editrice.
C’era il sole, dunque. e c’erano la solita marea di eleganti invitati – autori, signore, giornalisti e alcuni manager editoriali. La Mondadori era, come si suol dire, sulla bocca di tutti, il lodo, Berlusconi, l’incongruenza – vera o appariscente che fosse – tra un mondo dei libri piuttosto rarefatto e certo chiuso e l’uomo delle tv, che però non perdeva occasione di dichiarare il suo amore sviscerato per la carta stampata. E poi – ovviamente – i giornalisti, un altro mondo ancora (oggi diremmo “una casta”).
Mi sentivo a disagio perché la presenza del “dottore”, come lo chiamavano tutti e anche noi in casa editrice, faceva a cazzotti con l’uomo semplice ma assoluto che avevo conosciuto negli incontri precedenti. Di Berlusconi non avevo minimamente accennato alla Carmen – era solo un sospetto che avevo, ma non potevo permettermi di porre condizioni (nonostante le ritenessi imprescindibili) al mio editore – e avevo la sensazione di avere collaborato a un trabocchetto veneziano di cui Gabo sarebbe stato vittima. Inoltre Berlusconi era troppo in tiro, con uno di quei suoi vestitoni blu che avevano il compito di farlo sentire chic e a posto (e forse snellirlo), in ogni circostanza: solo che in quel frangente mi sembrava un po’ fuori luogo (non ho mai capito perché), poi c’era Leonardo agitatissimo, orgoglioso e felice come un bimbo e poi Franco Tatò che si era preparato un discorsetto in spagnolo e se lo provava tra sé e sé … ma quando Gabriel Garcia Marquez sbarcò e fece il suo ingresso in quel giardino apparecchiato sontuosamente, con i fiori e le signore e il sole che occhieggiava tra le frasche che lo bordavano, seguito dalla Mercedes (“por supuesto”) , il gruppetto di uomini frementi di curiosità e ambizione di cui ero ostaggio, stritolata e angosciata, fece qualche passo verso l’augusto autore e Berlusconi sopravanzava cordialissimo, la mano tesa. Gabo storse un po’ la testa e protestò che ‘non aveva fame’ e poi, con un’occhiata rapida in tralice: “parece un gangster” e voltò i tacchi verso un naviglio in attesa, e sparì dalla vista dei suoi editori, in uno svavillio di acque e fronde lucenti.