di Viola Caon
ROMA. Oltre ai film, in concorso o fuori concorso, la Festa Internazionale del Cinema di Roma ospita, per la sua IV edizione, 3 mostre: due in omaggio a grandi artisti italiani, come quelle su Sergio Leone e su Antonio Ligabue, e una pensata per rivolgere uno sguardo direttamente sul mondo esterno, come quella intitolata “Cape Farewell: Art and Climate Change”, per la prima volta esposta in Italia. In un periodo in cui l’emergenza climatica si impone all’attenzione di tutti come una delle principali sfide future per il nostro pianeta, molte sono le iniziative a sostegno di una sensibilizzazione collettiva rispetto a queste tematiche.
Cape Farewell è un’associazione nata nel 2001 per opera di David Buckland, un artista che ha pensato di riformulare la propria sensibilità rispetto alla natura in un’azione concreta, coniugando la propria sensibilità artistica con il lavoro degli scienziati impegnati nello studio sul campo di fenomeni di cambiamento climatico, come ad esempio lo scioglimento dei ghiacciai nel circolo polare artico. Risultato principale di questa fusione sono le avventurose spedizioni, grazie alle quali Cape Farewell invia i propri iscritti in osservazione nelle basi dove lavorano gli scienziati.
Sfruttare la creatività per dare vita a progetti attraverso i quali promuovere l’opera di sensibilizzazione sottostante agli studi degli esperti, per dimostrare che i cambiamenti ai quali il nostro pianeta va incontro a causa di più ampi sconvolgimenti ai quali la società attuale è sottoposta, vanno monitorati e devono essere gestiti adeguatamente. È questo lo spirito fondante dell’associazione Cape Farewell, ed è questo il motivo per cui il presidente della Fondazione Cinema per Roma, organizzatrice del Festival, Gian Luigi Rondi, ha deciso di dedicargli uno spazio significativo, insieme, peraltro, all’intera sezione “Occhi sul mondo”, comprendente 7 film sul tema dell’ambiente e, appunto, in particolare sul cambiamento climatico.
È così che la sala AuditoriumArt è stata completamente adibita all’esposizione di alcuni lavori legati a Cape Farewell. Oltre a diverse installazioni fotografiche provenienti dalle spedizioni polari di cui sopra, spiccano particolarmente per originalità le opere di Lenn Sissay, video-artista londinese e quella di una pittrice statunitense in viaggio verso Capo Nord. L’opera di Sissay consiste in un monologo appassionato, a tratti violento, atto a denunciare la troppo frequente disattenzione e la presunzione degli uomini nei confronti del tema climatico. “Let me get it right – Lasciate che mi spieghi”, ripete ossessivamente Sissay, “What if we got it wrong – E se ci fossimo sbagliati?”. Se ci fossimo sbagliati, cioè, a ritenere che la bellezza dell’essere umano consistesse soltanto nel progresso scientifico e nell’innovazione tecnologica? Se ci fossimo sbagliati a ritenerci indiscutibilmente padroni di questo pianeta anziché suoi ospiti?. Sono questi i quesiti principali che l’artista pone al suo spettatore, intimandogli la calma e il rispetto per la natura che mostra la propria bellezza nei dettagli più semplici.
Interessante anche l’esperimento della pittrice statunitense che, sulla nave diretta a Capo Nord, ha voluto riprodurne il movimento ondulatorio attraverso il colore sulla tela. Tenendo sospeso in aria un pennello intriso di tempera, l’artista ha lasciato che fosse il movimento stesso della nave in viaggio a distribuire il colore sulla tela. Macchie prevalentemente concentrate con rare punte di colore sparse per il resto della tela mostrano che il movimento c’è, ma è impercettibile.
Una mostra che sembra voler dire ai suoi spettatori che il cambiamento climatico non deve interessare soltanto gli specialisti, ma, al contrario, la più ampia fascia possibile di popolazione, la quale può a tutti i livelli portare il proprio contributo.
Una serie di incontri con viaggiatori, artisti e specialisti avrà luogo fino alla fine del Festival per portare avanti il dibattito sull’ambiente e sul cambiamento climatico. Accorrete numerosi.
ROMA. Oltre ai film, in concorso o fuori concorso, la Festa Internazionale del Cinema di Roma ospita, per la sua IV edizione, 3 mostre: due in omaggio a grandi artisti italiani, come quelle su Sergio Leone e su Antonio Ligabue, e una pensata per rivolgere uno sguardo direttamente sul mondo esterno, come quella intitolata “Cape Farewell: Art and Climate Change”, per la prima volta esposta in Italia. In un periodo in cui l’emergenza climatica si impone all’attenzione di tutti come una delle principali sfide future per il nostro pianeta, molte sono le iniziative a sostegno di una sensibilizzazione collettiva rispetto a queste tematiche.
Cape Farewell è un’associazione nata nel 2001 per opera di David Buckland, un artista che ha pensato di riformulare la propria sensibilità rispetto alla natura in un’azione concreta, coniugando la propria sensibilità artistica con il lavoro degli scienziati impegnati nello studio sul campo di fenomeni di cambiamento climatico, come ad esempio lo scioglimento dei ghiacciai nel circolo polare artico. Risultato principale di questa fusione sono le avventurose spedizioni, grazie alle quali Cape Farewell invia i propri iscritti in osservazione nelle basi dove lavorano gli scienziati.
Sfruttare la creatività per dare vita a progetti attraverso i quali promuovere l’opera di sensibilizzazione sottostante agli studi degli esperti, per dimostrare che i cambiamenti ai quali il nostro pianeta va incontro a causa di più ampi sconvolgimenti ai quali la società attuale è sottoposta, vanno monitorati e devono essere gestiti adeguatamente. È questo lo spirito fondante dell’associazione Cape Farewell, ed è questo il motivo per cui il presidente della Fondazione Cinema per Roma, organizzatrice del Festival, Gian Luigi Rondi, ha deciso di dedicargli uno spazio significativo, insieme, peraltro, all’intera sezione “Occhi sul mondo”, comprendente 7 film sul tema dell’ambiente e, appunto, in particolare sul cambiamento climatico.
È così che la sala AuditoriumArt è stata completamente adibita all’esposizione di alcuni lavori legati a Cape Farewell. Oltre a diverse installazioni fotografiche provenienti dalle spedizioni polari di cui sopra, spiccano particolarmente per originalità le opere di Lenn Sissay, video-artista londinese e quella di una pittrice statunitense in viaggio verso Capo Nord. L’opera di Sissay consiste in un monologo appassionato, a tratti violento, atto a denunciare la troppo frequente disattenzione e la presunzione degli uomini nei confronti del tema climatico. “Let me get it right – Lasciate che mi spieghi”, ripete ossessivamente Sissay, “What if we got it wrong – E se ci fossimo sbagliati?”. Se ci fossimo sbagliati, cioè, a ritenere che la bellezza dell’essere umano consistesse soltanto nel progresso scientifico e nell’innovazione tecnologica? Se ci fossimo sbagliati a ritenerci indiscutibilmente padroni di questo pianeta anziché suoi ospiti?. Sono questi i quesiti principali che l’artista pone al suo spettatore, intimandogli la calma e il rispetto per la natura che mostra la propria bellezza nei dettagli più semplici.
Interessante anche l’esperimento della pittrice statunitense che, sulla nave diretta a Capo Nord, ha voluto riprodurne il movimento ondulatorio attraverso il colore sulla tela. Tenendo sospeso in aria un pennello intriso di tempera, l’artista ha lasciato che fosse il movimento stesso della nave in viaggio a distribuire il colore sulla tela. Macchie prevalentemente concentrate con rare punte di colore sparse per il resto della tela mostrano che il movimento c’è, ma è impercettibile.
Una mostra che sembra voler dire ai suoi spettatori che il cambiamento climatico non deve interessare soltanto gli specialisti, ma, al contrario, la più ampia fascia possibile di popolazione, la quale può a tutti i livelli portare il proprio contributo.
Una serie di incontri con viaggiatori, artisti e specialisti avrà luogo fino alla fine del Festival per portare avanti il dibattito sull’ambiente e sul cambiamento climatico. Accorrete numerosi.