di Gianni Basi
SIENA. L’agosto chigiano si apre con due eventi in Sant’Agostino, entrambi alle ore 21,15, che rispettivamente prevedono nella serata di lunedì 3 il concerto di Joaquìn Achucarro in compagnia dell’Orchestra Regionale della Toscana e, in quella di martedì 4, Juri Bashmet coi Solisti di Mosca.
L’Estate Musicale Chigiana entra dunque nel vivo di questa sua 78^ stagione, appena coronata dai successi riportati da Giuliano Carmignola e Salvatore Accardo nelle piazze di San Gimignano e Sovicille nei seguitissimi concerti dei “Maestri Chigiani in Terra di Siena”. Una manifestazione, questa, che vedrà la serata in Sant’Agostino di Achucarro subito riproposta nel parco degli Horti Leonini di San Quirico, martedì 4 alle 21,15, per la gioia degli appassionati e dei tanti turisti della Val d’Orcia.
Un elegante assaggio di Mozart in apertura, e poi il grande pianista basco passerà ad atmosfere molto mediterranee coi brani di Antòn Garcia Abril, Joaquìn Turina e Manuel De Falla regalandoci un formidabile “toque de España”. Il Mozart del “Concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte e archi” definisce non solo un periodo di piena maturità ma anche, attorno al 1784, l’inizio dei suoi anni viennesi con la composizione de “Le Nozze di Figaro” e soprattutto con la felicità per la nascita del suo secondogenito, Carl Thomas, unico sopravvissuto col fratello Franz Xavier dei sei figli avuti da Costanza Weber. Erano anni gioiosi, stimolanti, densi di quella forte vena ispiratrice che ci verrà trasmessa dal piano di Achucarro e dagli archi dell’ORT da lui stesso guidata. Poi, solo Spagna. Con un altro tipo di brillantezza, quella dei paesaggi delle isole Canarie e della loro brezza marina, quella dei “Cantos de Pleamar” di Garcia Abril ovvero “i canti della marea”. A varie tinte saranno poi le impressioni-espressioni melodiche suscitate dalla “Rapsodia sinfonica op. 66” di Joaquìn Turina, sulla scia di una ventata ritmica da classico spagnolo di primo ‘900 che fa della partitura una delle migliori e decantate “su obra para piano”. Infine, i sapori andalusi e zingari del celebre “El amor brujo” di Manuel De Falla, composto in un momento di debolezza per la bella danzatrice Pastora Imperio e ricco di un tale stregamento d’amore da impennarsi presto in quell’aria, cadenzata e trascinante, che divenne universalmente la più nota: un assolo di clarinetto insinuante, e poi il furore orchestrale e gitano della celebre “Danza rituale del fuoco”. Joaquìn Achucarro, a suo completo agio in così tanta Spagna, sin dalla gioventù fu assai apprezzato dal conte Guido Chigi, talmente estasiato dalla sua abilità in tastiera da elargirgli il titolo di Accademico ad Honorem. Allievo e poi docente in Chigiana, la sua carriera è contrassegnata da successi in ogni parte del mondo. Fra gli attestati più recenti eccelle l’Artist for Peace 2004, nonché la Gran Croce del Merito Civile assegnatagli dal re Juan Carlos e la nomina di “Figlio Prediletto” da parte della sua città, Bilbao (sconfessando alla buon’ora il “nemo propheta in patria” che affligge così tanti artisti). Ma, forse, soddisfazione ancora più grande, la “Fondazione Musicale Joaquìn Achucarro”, creata in suo onore negli Stati Uniti nello scorso anno, allo scopo di aiutare i giovani pianisti d’oltre oceano. Un gesto che tocca particolarmente le corde di “un uomo che suona”, prima ancora che di uno straordinario pianista.
Nella serata successiva, quella di martedì 4 e sempre in Sant’Agostino, tre pagine di tutt’altra natura nel concerto del violista Juri Bashmet e dei suoi Solisti di Mosca. La prima, già proposta in Chigiana negli anni scorsi, è quella sempre struggente de “Le ultime sette parole del nostro Redentore sulla Croce”, di Fran Joseph Haydn. Successivamente concepita come lavoro orchestrale, è in realtà nata per dividere in segmenti, con un intermezzo di sonata sacra, il commento di ognuno dei sette sermoni narranti lo strazio di Cristo in croce per tradizione officiato dal vescovo di Cadice. Haydn ne trasse ispirazione e tradusse quei momenti musicali in un concerto-oratorio che esprime quanto mai la solitudine smarrita del Cristo fatto uomo, e perciò fatto dolore. Soprattutto nel pregare il Padre divino, nel supplicarlo e nel chiedergli il perché dell’abbandono, sino all’ineluttabile caos dato dal terremoto finale. Immagine forte, inquietante, che riflette simbolicamente in Cristo, trattato con rigore imparziale, il segno di una fragilità umana da memorizzare e mai da sottovalutare sentendosi “padreterni”. Haydn ne fece un’opera maestosa, meditativa, disperata, e lo si avverte in particolare nella quarta sonata, quella delle parole dell’abbandono, laddove il Cristo è davvero uno di noi, uno di noi che chiede semplicemente aiuto. Passando al secondo brano del concerto di Bashmet, beh, questo “Kol Nidrei op.47“ di Max Bruch, è una tormentosa delizia. Un si minore di introduzione degli archi, archi lunghi allo spasimo, quindi la viola che fende il loro mormorio, una spada nel sussurro. E la bellezza della musica arriva dentro.
Fate caso a Bashmet. Comunione assoluta col suo strumento, rarissimo vederlo così. La pagina, tratta da fonti ebraiche eppur venate da qualcosa di gotico, è un voto, una preghiera. Lo stesso titolo, che dall’aramaico “Kol Nidrei” porta ad un “Tutti i Voti” nella nostra lingua, invita ad una sorta di donazione a Dio di se stessi, forse ancora di più ad un ringraziamento che solo questa musica così carezzevole potrebbe esprimere. Si desidera non finisca mai. Poi finisce, ma piano, sfumando, per non rompere di colpo l’incantesimo. Stupenda quanto questa o la precedente, ma solo ognuno può deciderlo appieno, la terza parte del concerto offrirà un ispirato Felix Mendelssohn Bartholdy in quel trionfo di dialoghi tra viola, violini, cello e contrabbasso che compongono la sua “Sinfonia per archi in sol minore n.12”. Sonorità tanto belle da essere anche queste incontenibili, ma stavolta gioiose e distese dopo le pagine ascoltate appena prima, quando la bellezza era perfino insopportabile. Juri Bashmet, definito dal Times “il più grande violista dei nostri giorni” (giorni in cui, da anni, insegna ai corsi estivi in Chigiana) suona una viola Testore del 1758, legno e disegno molto simili a quella posseduta da sua maestà Mozart. L’attività di Bashmet, sia solistica che sul podio, seguita al secondo posto nel ’75 al Concorso Internazionale di Monaco di Baviera, lo ha portato a primeggiare in tutto quello di cui lui e la sua viola hanno fatto parte. Docente al Conservatorio di Mosca, è stato nominato più volte “strumentista dell’anno” vincendo Grammy e Diapason d’Or per le incisioni col gruppo dei “Solisti”, da lui fondato nel 1984, e coi quali è stato voluto a tutti i costi per celebrare ad Amsterdam il centenario del “Palazzo del Concerto”, una delle migliori sale acustiche esistenti, altrimenti conosciuta come “Concertgebouw”. Da essi, più che mai compagni di ventura musicale, si stacca quasi soltanto per dirigere l’Orchestra Nuova Russia di cui dal 2003 è direttore principale. E in poche altre occasioni, ospite di altre formazioni e delle orchestre del mondo. Oppure, quando si rintana da qualche parte a suonarsi qualcosa di Hendrix e dei Beatles. Passioncelle giovanili che tutti, tranne lui, vogliono far finta di considerare segrete.
SIENA. L’agosto chigiano si apre con due eventi in Sant’Agostino, entrambi alle ore 21,15, che rispettivamente prevedono nella serata di lunedì 3 il concerto di Joaquìn Achucarro in compagnia dell’Orchestra Regionale della Toscana e, in quella di martedì 4, Juri Bashmet coi Solisti di Mosca.
L’Estate Musicale Chigiana entra dunque nel vivo di questa sua 78^ stagione, appena coronata dai successi riportati da Giuliano Carmignola e Salvatore Accardo nelle piazze di San Gimignano e Sovicille nei seguitissimi concerti dei “Maestri Chigiani in Terra di Siena”. Una manifestazione, questa, che vedrà la serata in Sant’Agostino di Achucarro subito riproposta nel parco degli Horti Leonini di San Quirico, martedì 4 alle 21,15, per la gioia degli appassionati e dei tanti turisti della Val d’Orcia.
Un elegante assaggio di Mozart in apertura, e poi il grande pianista basco passerà ad atmosfere molto mediterranee coi brani di Antòn Garcia Abril, Joaquìn Turina e Manuel De Falla regalandoci un formidabile “toque de España”. Il Mozart del “Concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte e archi” definisce non solo un periodo di piena maturità ma anche, attorno al 1784, l’inizio dei suoi anni viennesi con la composizione de “Le Nozze di Figaro” e soprattutto con la felicità per la nascita del suo secondogenito, Carl Thomas, unico sopravvissuto col fratello Franz Xavier dei sei figli avuti da Costanza Weber. Erano anni gioiosi, stimolanti, densi di quella forte vena ispiratrice che ci verrà trasmessa dal piano di Achucarro e dagli archi dell’ORT da lui stesso guidata. Poi, solo Spagna. Con un altro tipo di brillantezza, quella dei paesaggi delle isole Canarie e della loro brezza marina, quella dei “Cantos de Pleamar” di Garcia Abril ovvero “i canti della marea”. A varie tinte saranno poi le impressioni-espressioni melodiche suscitate dalla “Rapsodia sinfonica op. 66” di Joaquìn Turina, sulla scia di una ventata ritmica da classico spagnolo di primo ‘900 che fa della partitura una delle migliori e decantate “su obra para piano”. Infine, i sapori andalusi e zingari del celebre “El amor brujo” di Manuel De Falla, composto in un momento di debolezza per la bella danzatrice Pastora Imperio e ricco di un tale stregamento d’amore da impennarsi presto in quell’aria, cadenzata e trascinante, che divenne universalmente la più nota: un assolo di clarinetto insinuante, e poi il furore orchestrale e gitano della celebre “Danza rituale del fuoco”. Joaquìn Achucarro, a suo completo agio in così tanta Spagna, sin dalla gioventù fu assai apprezzato dal conte Guido Chigi, talmente estasiato dalla sua abilità in tastiera da elargirgli il titolo di Accademico ad Honorem. Allievo e poi docente in Chigiana, la sua carriera è contrassegnata da successi in ogni parte del mondo. Fra gli attestati più recenti eccelle l’Artist for Peace 2004, nonché la Gran Croce del Merito Civile assegnatagli dal re Juan Carlos e la nomina di “Figlio Prediletto” da parte della sua città, Bilbao (sconfessando alla buon’ora il “nemo propheta in patria” che affligge così tanti artisti). Ma, forse, soddisfazione ancora più grande, la “Fondazione Musicale Joaquìn Achucarro”, creata in suo onore negli Stati Uniti nello scorso anno, allo scopo di aiutare i giovani pianisti d’oltre oceano. Un gesto che tocca particolarmente le corde di “un uomo che suona”, prima ancora che di uno straordinario pianista.
Nella serata successiva, quella di martedì 4 e sempre in Sant’Agostino, tre pagine di tutt’altra natura nel concerto del violista Juri Bashmet e dei suoi Solisti di Mosca. La prima, già proposta in Chigiana negli anni scorsi, è quella sempre struggente de “Le ultime sette parole del nostro Redentore sulla Croce”, di Fran Joseph Haydn. Successivamente concepita come lavoro orchestrale, è in realtà nata per dividere in segmenti, con un intermezzo di sonata sacra, il commento di ognuno dei sette sermoni narranti lo strazio di Cristo in croce per tradizione officiato dal vescovo di Cadice. Haydn ne trasse ispirazione e tradusse quei momenti musicali in un concerto-oratorio che esprime quanto mai la solitudine smarrita del Cristo fatto uomo, e perciò fatto dolore. Soprattutto nel pregare il Padre divino, nel supplicarlo e nel chiedergli il perché dell’abbandono, sino all’ineluttabile caos dato dal terremoto finale. Immagine forte, inquietante, che riflette simbolicamente in Cristo, trattato con rigore imparziale, il segno di una fragilità umana da memorizzare e mai da sottovalutare sentendosi “padreterni”. Haydn ne fece un’opera maestosa, meditativa, disperata, e lo si avverte in particolare nella quarta sonata, quella delle parole dell’abbandono, laddove il Cristo è davvero uno di noi, uno di noi che chiede semplicemente aiuto. Passando al secondo brano del concerto di Bashmet, beh, questo “Kol Nidrei op.47“ di Max Bruch, è una tormentosa delizia. Un si minore di introduzione degli archi, archi lunghi allo spasimo, quindi la viola che fende il loro mormorio, una spada nel sussurro. E la bellezza della musica arriva dentro.
Fate caso a Bashmet. Comunione assoluta col suo strumento, rarissimo vederlo così. La pagina, tratta da fonti ebraiche eppur venate da qualcosa di gotico, è un voto, una preghiera. Lo stesso titolo, che dall’aramaico “Kol Nidrei” porta ad un “Tutti i Voti” nella nostra lingua, invita ad una sorta di donazione a Dio di se stessi, forse ancora di più ad un ringraziamento che solo questa musica così carezzevole potrebbe esprimere. Si desidera non finisca mai. Poi finisce, ma piano, sfumando, per non rompere di colpo l’incantesimo. Stupenda quanto questa o la precedente, ma solo ognuno può deciderlo appieno, la terza parte del concerto offrirà un ispirato Felix Mendelssohn Bartholdy in quel trionfo di dialoghi tra viola, violini, cello e contrabbasso che compongono la sua “Sinfonia per archi in sol minore n.12”. Sonorità tanto belle da essere anche queste incontenibili, ma stavolta gioiose e distese dopo le pagine ascoltate appena prima, quando la bellezza era perfino insopportabile. Juri Bashmet, definito dal Times “il più grande violista dei nostri giorni” (giorni in cui, da anni, insegna ai corsi estivi in Chigiana) suona una viola Testore del 1758, legno e disegno molto simili a quella posseduta da sua maestà Mozart. L’attività di Bashmet, sia solistica che sul podio, seguita al secondo posto nel ’75 al Concorso Internazionale di Monaco di Baviera, lo ha portato a primeggiare in tutto quello di cui lui e la sua viola hanno fatto parte. Docente al Conservatorio di Mosca, è stato nominato più volte “strumentista dell’anno” vincendo Grammy e Diapason d’Or per le incisioni col gruppo dei “Solisti”, da lui fondato nel 1984, e coi quali è stato voluto a tutti i costi per celebrare ad Amsterdam il centenario del “Palazzo del Concerto”, una delle migliori sale acustiche esistenti, altrimenti conosciuta come “Concertgebouw”. Da essi, più che mai compagni di ventura musicale, si stacca quasi soltanto per dirigere l’Orchestra Nuova Russia di cui dal 2003 è direttore principale. E in poche altre occasioni, ospite di altre formazioni e delle orchestre del mondo. Oppure, quando si rintana da qualche parte a suonarsi qualcosa di Hendrix e dei Beatles. Passioncelle giovanili che tutti, tranne lui, vogliono far finta di considerare segrete.