di Gianni Basi
SIENA. In Ungheria, patria di Franz Liszt, Michele Campanella è considerato una star. Nel mondo, è uno dei maggiori interpreti lisztiani. Ma la sua eccezionale versatilità lo porta a suonare le arie di tutti i compositori del classico, in particolare Beethoven e Schumann. Proprio con questi due autori Campanella si presenterà sabato sera alle 21,15 al Teatro dei Rozzi per uno degli ultimi concerti della 78^ Estate Musicale Chigiana, dando seguito alla traccia romantica avviata – e in gran parte a loro dedicata – da Pollini martedì scorso.
Si comincia con due sonate da camera di Beethoven, esempio palpabile dell’evoluzione del vecchio modello a tre movimenti (allegro, largo, presto) tradotto con Haydn nella più completa struttura a quattro tempi con di norma un allegro, un adagio, uno scherzo e un finale veloce. Composte attorno al 1795, queste amabili sonate per pianoforte appartengono all’opera 2 e sono la n.1 e la n.3, entrambe tra l’altro scritte in omaggio allo stesso Haydn che, in quegli anni, era maestro e mentore di Beethoven. Estremamente danzabili e ben congegnate negli sviluppi melodici, nel finale della n.3 si nota in particolare una suggestiva varietà di accordi che tendono ad aprire al piano solista orizzonti persino sinfonici (cosa che poi gratificherà lo strumento nelle forme orchestrali). Nell’adagio, invece, ai tradizionali momenti soavi beethoveniani si uniranno a tratti note forti e solenni, come nell’uso che da Beethoven (pensiamo al Fidelio) passò ai più sanguigni compositori successivi, il Verdi delle sinfonie e del melodramma ad esempio, stupendamente dolci e stupendamente rabbiosi.
Dei “Phantasiestüke op. 12” o altrimenti “Pezzi fantastici”di Robert Schumann, che seguiranno, v’è da citare la storia sulla quale, questi dodici momenti, vennero imbastiti. Schumann si rifece al dramma di Ero e Leandro, vicenda popolarissima non solo in età romantica ma anche prima con citazioni di Ovidio e Dante, e poi con l’infatuazione di Lord Byron, Liszt che ne fece una ballata, Boito e Bottesini che ne scrissero un’opera. Tutti costoro a esser presi da due amanti divisi da una striscia di mare, puniti da Dei invidiosi, e resi costretti a vedersi solo al calar della notte. Lei, Ero, che segnalava da una sponda con un lume, e lui, Leandro, che si tuffava dall’altra sponda e si faceva a nuoto fra andata e ritorno come minimo tre chilometri (siamo nei Dardanelli, all’epoca il mitico Ellesponto). Ma una notte buia il lume si spense e Leandro, senza più riferimento, si perse tra i flutti. Ed Ero lo volle seguire nella tragedia. Questo amore così grande, questo amore così è reso in musica da Schumann in otto quadri definiti “traboccanti di lirismo allo stato puro”, specialmente nel quinto, “In der Nacht”, in cui palpitano i momenti degli incontri amorosi notturni, prima del disastro. Tutta la musica è comunque pari alla colonna sonora di una notte fiabesca, qua piena di slanci appassionati, là di suoni innamorati, o grotteschi quando la morte ancora non si capisce, o drammatici nell’”Ende vom Lied”, un “fine del canto” quasi consolante proprio perché sembra che voglia sancire che tutto era stato solo una canzone, al massimo un sogno. In ogni loro parte conclusiva, notatelo, i Phantasiestüke sembrano lievemente tingersi di (sospette?) ventate di Notturni o di Studi chopiniani.
La “Toccata in do maggiore op.7”, l’unica scritta da Schumann per pianoforte solista, è una delle poche in voga nel periodo romantico. Le altre degne di nota, più tarde, furono soprattutto ad opera di Ravel, Widor, e di Prokofiev. Quella di Schumann è piuttosto complessa, ha l’aria di una virtuosa e ancor più travolgente esercitazione pianistica ma conferma la propensione dell’autore, e dello stesso Campanella, all’armonia al ritmo ed alla forma sebbene espressi tutti d’un fiato (senza mai alzare le mani dalla tastiera) per oltre 7 minuti. Certo, per “toccate” si intendono soprattutto quelle di Bach, vorticose, fra ripetizioni di scale e accordi e con l’intrusione di movimenti avulsi, le famose “fughe”. Ma nè il turbinio di note nella toccata di Schumann, né la brillantezza esecutiva, saranno da meno delle più celebri “regine del barocco”. Anzi, in certi momenti, sia i Phantasiestüke che la Toccata in do maggiore danno la strana impressione di essere attraversati da un velo jazzistico, un che di Gershwyn, cose da anticipo di futuro o giù di lì.
Michele Campanella, soprattutto in quei sette minuti della toccata, darà prova della stupefacente abilità pianistica con cui, in oltre quarant’anni di attività, ha affrontato le principali pagine del classico sia in veste di solista che di direttore. Vincitore del Gran Prix du Disque conferitogli per ben tre volte a Budapest, ha ottenuto nell’86 la “Medaglia ai meriti lisztiani” dal Ministero della Cultura ungherese e successivamente dall’American Liszt Society. Negli anni ’90, con Accardo e Filippini, ha portato in tournée ed ha inciso i più grandi capolavori della musica da camera. Interprete superbo di tutti i concerti per pianoforte di Brahms, Beethoven e Mozart, ha suonato e suona coi direttori più noti oltre che nei formidabili duetti in tastiera con Monica Leone, regolarmente ospitato nelle tappe italiane dalle due orchestre ritenute ormai le nostre migliori per qualità e repertorio: quella di Santa Cecilia e la Regionale della Toscana. Presidente inoltre della Società Italiana Liszt, Campanella può vantare la fondazione dei corsi invernali di perfezionamento di Villa Rufolo a Ravello, dove è impegnato in alternanza alle docenze chigiane. Può anche vantare, di recente, il record dell’esecuzione in una sola serata di quattro capolavori di Liszt per piano e orchestra avendo già in programma, per l’anno a venire, la realizzazione di un progetto che vedrà impegnati 60 pianisti in una Woodstock lisztiana che avrà luogo nel grande auditorium di Roma.
Con Pollini e Campanella, i nostri due massimi pianisti, l’Accademia Chigiana ha portato dunque a Siena nel giro di una settimana il top di quanto di romantico si possa ascoltare su pianoforte solo.
Facciamo la chiusura col botto e avvertiamo quanti non avessero modo di ascoltare Campanella al Teatro dei Rozzi che il medesimo concerto verrà ripetuto la sera dopo, domenica 23 agosto alle ore 21,15, nella Piazza Orsini della bella Pitigliano per l’ultima tappa de “I Maestri Chigiani in Terra di Siena”. Alta Maremma, case che nascono da speroni di tufo, l’etrusca Sovana affacciata di fronte e un delizioso “cialdino dei tufi” da gustare al suono di Beethoven e Schumann. Io finisce che vado anche là.
SIENA. In Ungheria, patria di Franz Liszt, Michele Campanella è considerato una star. Nel mondo, è uno dei maggiori interpreti lisztiani. Ma la sua eccezionale versatilità lo porta a suonare le arie di tutti i compositori del classico, in particolare Beethoven e Schumann. Proprio con questi due autori Campanella si presenterà sabato sera alle 21,15 al Teatro dei Rozzi per uno degli ultimi concerti della 78^ Estate Musicale Chigiana, dando seguito alla traccia romantica avviata – e in gran parte a loro dedicata – da Pollini martedì scorso.
Si comincia con due sonate da camera di Beethoven, esempio palpabile dell’evoluzione del vecchio modello a tre movimenti (allegro, largo, presto) tradotto con Haydn nella più completa struttura a quattro tempi con di norma un allegro, un adagio, uno scherzo e un finale veloce. Composte attorno al 1795, queste amabili sonate per pianoforte appartengono all’opera 2 e sono la n.1 e la n.3, entrambe tra l’altro scritte in omaggio allo stesso Haydn che, in quegli anni, era maestro e mentore di Beethoven. Estremamente danzabili e ben congegnate negli sviluppi melodici, nel finale della n.3 si nota in particolare una suggestiva varietà di accordi che tendono ad aprire al piano solista orizzonti persino sinfonici (cosa che poi gratificherà lo strumento nelle forme orchestrali). Nell’adagio, invece, ai tradizionali momenti soavi beethoveniani si uniranno a tratti note forti e solenni, come nell’uso che da Beethoven (pensiamo al Fidelio) passò ai più sanguigni compositori successivi, il Verdi delle sinfonie e del melodramma ad esempio, stupendamente dolci e stupendamente rabbiosi.
Dei “Phantasiestüke op. 12” o altrimenti “Pezzi fantastici”di Robert Schumann, che seguiranno, v’è da citare la storia sulla quale, questi dodici momenti, vennero imbastiti. Schumann si rifece al dramma di Ero e Leandro, vicenda popolarissima non solo in età romantica ma anche prima con citazioni di Ovidio e Dante, e poi con l’infatuazione di Lord Byron, Liszt che ne fece una ballata, Boito e Bottesini che ne scrissero un’opera. Tutti costoro a esser presi da due amanti divisi da una striscia di mare, puniti da Dei invidiosi, e resi costretti a vedersi solo al calar della notte. Lei, Ero, che segnalava da una sponda con un lume, e lui, Leandro, che si tuffava dall’altra sponda e si faceva a nuoto fra andata e ritorno come minimo tre chilometri (siamo nei Dardanelli, all’epoca il mitico Ellesponto). Ma una notte buia il lume si spense e Leandro, senza più riferimento, si perse tra i flutti. Ed Ero lo volle seguire nella tragedia. Questo amore così grande, questo amore così è reso in musica da Schumann in otto quadri definiti “traboccanti di lirismo allo stato puro”, specialmente nel quinto, “In der Nacht”, in cui palpitano i momenti degli incontri amorosi notturni, prima del disastro. Tutta la musica è comunque pari alla colonna sonora di una notte fiabesca, qua piena di slanci appassionati, là di suoni innamorati, o grotteschi quando la morte ancora non si capisce, o drammatici nell’”Ende vom Lied”, un “fine del canto” quasi consolante proprio perché sembra che voglia sancire che tutto era stato solo una canzone, al massimo un sogno. In ogni loro parte conclusiva, notatelo, i Phantasiestüke sembrano lievemente tingersi di (sospette?) ventate di Notturni o di Studi chopiniani.
La “Toccata in do maggiore op.7”, l’unica scritta da Schumann per pianoforte solista, è una delle poche in voga nel periodo romantico. Le altre degne di nota, più tarde, furono soprattutto ad opera di Ravel, Widor, e di Prokofiev. Quella di Schumann è piuttosto complessa, ha l’aria di una virtuosa e ancor più travolgente esercitazione pianistica ma conferma la propensione dell’autore, e dello stesso Campanella, all’armonia al ritmo ed alla forma sebbene espressi tutti d’un fiato (senza mai alzare le mani dalla tastiera) per oltre 7 minuti. Certo, per “toccate” si intendono soprattutto quelle di Bach, vorticose, fra ripetizioni di scale e accordi e con l’intrusione di movimenti avulsi, le famose “fughe”. Ma nè il turbinio di note nella toccata di Schumann, né la brillantezza esecutiva, saranno da meno delle più celebri “regine del barocco”. Anzi, in certi momenti, sia i Phantasiestüke che la Toccata in do maggiore danno la strana impressione di essere attraversati da un velo jazzistico, un che di Gershwyn, cose da anticipo di futuro o giù di lì.
Michele Campanella, soprattutto in quei sette minuti della toccata, darà prova della stupefacente abilità pianistica con cui, in oltre quarant’anni di attività, ha affrontato le principali pagine del classico sia in veste di solista che di direttore. Vincitore del Gran Prix du Disque conferitogli per ben tre volte a Budapest, ha ottenuto nell’86 la “Medaglia ai meriti lisztiani” dal Ministero della Cultura ungherese e successivamente dall’American Liszt Society. Negli anni ’90, con Accardo e Filippini, ha portato in tournée ed ha inciso i più grandi capolavori della musica da camera. Interprete superbo di tutti i concerti per pianoforte di Brahms, Beethoven e Mozart, ha suonato e suona coi direttori più noti oltre che nei formidabili duetti in tastiera con Monica Leone, regolarmente ospitato nelle tappe italiane dalle due orchestre ritenute ormai le nostre migliori per qualità e repertorio: quella di Santa Cecilia e la Regionale della Toscana. Presidente inoltre della Società Italiana Liszt, Campanella può vantare la fondazione dei corsi invernali di perfezionamento di Villa Rufolo a Ravello, dove è impegnato in alternanza alle docenze chigiane. Può anche vantare, di recente, il record dell’esecuzione in una sola serata di quattro capolavori di Liszt per piano e orchestra avendo già in programma, per l’anno a venire, la realizzazione di un progetto che vedrà impegnati 60 pianisti in una Woodstock lisztiana che avrà luogo nel grande auditorium di Roma.
Con Pollini e Campanella, i nostri due massimi pianisti, l’Accademia Chigiana ha portato dunque a Siena nel giro di una settimana il top di quanto di romantico si possa ascoltare su pianoforte solo.
Facciamo la chiusura col botto e avvertiamo quanti non avessero modo di ascoltare Campanella al Teatro dei Rozzi che il medesimo concerto verrà ripetuto la sera dopo, domenica 23 agosto alle ore 21,15, nella Piazza Orsini della bella Pitigliano per l’ultima tappa de “I Maestri Chigiani in Terra di Siena”. Alta Maremma, case che nascono da speroni di tufo, l’etrusca Sovana affacciata di fronte e un delizioso “cialdino dei tufi” da gustare al suono di Beethoven e Schumann. Io finisce che vado anche là.