"Non ci sono 'omini' nel popolo. Molti in quelli che comandano"
di Paola Dei
SIENA. Dopo averci regalato: Il villaggio di cartone, un film ieratico, sommesso e grandioso, senza giudizi come è nello stile del grande maestro, Ermanno Olmi torna nelle sale cinematografiche per regalarci “torneranno i prati”, in prima assoluta da mercoledì 5 novembre al Cinema Pendola, preceduto da una presentazione registrata.
Mentre il regista è ricoverato al San Raffaele e fisicamente non è potuto essere con noi, lo è stato con la sua presenza via etere, con la quale ci ha accompagnato alla visione: “Mi spiace, ma come vedete sono costretto a fare una serie di esami molto importanti. Mi avete sempre chiesto, ‘ perché ha fatto questo film?’. Stavolta non l’ho fatto per un innamoramento, bensì su proposta di Cecilia Valmarana, produttrice Rai Cinema, ma il mio pensiero è andato subito a mio padre, che mi raccontava la sua vita da soldato“. Alle sue parole che rispondono alle domande di Mereghetti, si accompagnano quelle degli attori intervistati in un’altro studio. Un grande narratore con il grande dono dell’umiltà ci accompagna dentro a pagine di storia dolorose e lo fa con la pietas e la compassione necessarie e far digerire allo spettatore momenti di grande impatto emotivo. “Ci sono milioni di ragazzi morti per quella guerra – continua Olmi – …non è che tutti i giorni dovremo suonare le fanfare ma almeno pensarli ….utilizzando la memoria come elemento critico per il nostro presente”. Alla domanda su come sia stato lavorare con il proprio figlio, Fabio Olmi, che si è occupato della meravigliosa fotografia, il regista risponde: “Motivi di conflitto con i figli ci sono sempre e guai se non ci fossero, ma durante le riprese mi rendevo conto che Fabio aveva non solo una preparazione tecnica ma aveva anche un suo progetto di luce e allora ho capito che dovevo dargli solo indicazioni di sostanza per le quali poi lui ha trovato la chiave. Lui ha girato tutto a colori in modo da portare a livello di realtà ogni scena per poi arrivare ad una lettura dove il bianco e nero nasce da tutti i colori, è rimasta la presenza di piccoli dettagli con colore… La sensazione è del bianco e nero ma non c’è solo un bianco e nero, per esempio i volti e l’incarnato hanno un colore, le mani..” Il regista continua: “Credo che il presidente Napolitano che teneva molto a questa celebrazione alludesse proprio al fatto che dobbiamo ritrovare quei volti e quei nomi, i numeri che dovrebbero essere la cosa più oggettiva e concreata non contano più nulla di fronte a un volto che pronuncia il proprio nome. Quei nomi ci dicono che hanno una identità che spesso non prendiamo in considerazione neppure nella quotidianità… spesso sentiamo dire: l’omino della posteggio… non ci sono omini nel popolo, molti in quelli che comandano”.
Il film di cui Ermanno Olmi confessa di essersi innamorato dopo la proiezione, è dedicato ai milioni di giovani morti durante la grande guerra senza neppure sapere perché, con l’intento di spingere, chiunque abbia la possibilità di farlo, a chiedere loro scusa proprio nel Centenario della Prima Guerra Mondiale. Ambasciate, consolati, Istituti Italiani di Cultura lo proietteranno in tutto il mondo, ed a Roma la prima del 4 novembre ha visto la partecipazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Nella sua opera Olmi cita Camus: “se vuoi che un pensiero cambi il mondo, prima devi cambiare te stesso”, una frase mai tanto appropriata come quando sulla scena vediamo che vengono dati ordini che segnano l’inizio di un massacro sul quale il cineasta intende narrarci la verità umana, fatta di soldati abbandonati al freddo, di giovani immersi nei loro sogni che, come la Piccola fiammiferaia, evocata dalle scene e dalle sequenze del film, si scaldano al fuoco delle bombe e delle armi. “Quando sentono l’odore del sangue le bestie cagano e pisciano prima di andare al macello!”, dice uno dei dei protagonisti mentre piovono bombe ed un’altro aggiunge:” Dio non ha ascoltato Sio Figlio nella Croce, vuoi che ascolti noi?”. Fra luci che squarciano il cielo, i silenzi pesano come mille parole, gli oggetti trasudano umanità e la febbre che arriva dai Balcani si unisce al freddo ed alle bombe decimando l’esercito, chi resiste va avanti con la febbre… “Co ‘sto chiaro de luna, un freddo becco!”
Le bombe sembrano stelle cadenti… mentre la malinconia segna i volti di soldati… e gli occhi illuminano volti anneriti dalla fuliggine, mentre i campanelli sul filo spinato indicano l’avvicinarsi del nemico e poi ancora fragore, scoppi, morti sotto le macerie. “La prima licenza l’ho avuta dopo sei mesi – dice un soldato – sono andato a casa e l’ho trovata a letto con un’altro!”. Ed un’altro recita: “Finita anche questa guerra tutti torneranno da dove sono venuti, crescerà l’erba nuova e di tutto quello che abbiamo patito nessuno saprà più nulla e non sembrerà più vero..”
Mentre il regista è ricoverato al San Raffaele e fisicamente non è potuto essere con noi, lo è stato con la sua presenza via etere, con la quale ci ha accompagnato alla visione: “Mi spiace, ma come vedete sono costretto a fare una serie di esami molto importanti. Mi avete sempre chiesto, ‘ perché ha fatto questo film?’. Stavolta non l’ho fatto per un innamoramento, bensì su proposta di Cecilia Valmarana, produttrice Rai Cinema, ma il mio pensiero è andato subito a mio padre, che mi raccontava la sua vita da soldato“. Alle sue parole che rispondono alle domande di Mereghetti, si accompagnano quelle degli attori intervistati in un’altro studio. Un grande narratore con il grande dono dell’umiltà ci accompagna dentro a pagine di storia dolorose e lo fa con la pietas e la compassione necessarie e far digerire allo spettatore momenti di grande impatto emotivo. “Ci sono milioni di ragazzi morti per quella guerra – continua Olmi – …non è che tutti i giorni dovremo suonare le fanfare ma almeno pensarli ….utilizzando la memoria come elemento critico per il nostro presente”. Alla domanda su come sia stato lavorare con il proprio figlio, Fabio Olmi, che si è occupato della meravigliosa fotografia, il regista risponde: “Motivi di conflitto con i figli ci sono sempre e guai se non ci fossero, ma durante le riprese mi rendevo conto che Fabio aveva non solo una preparazione tecnica ma aveva anche un suo progetto di luce e allora ho capito che dovevo dargli solo indicazioni di sostanza per le quali poi lui ha trovato la chiave. Lui ha girato tutto a colori in modo da portare a livello di realtà ogni scena per poi arrivare ad una lettura dove il bianco e nero nasce da tutti i colori, è rimasta la presenza di piccoli dettagli con colore… La sensazione è del bianco e nero ma non c’è solo un bianco e nero, per esempio i volti e l’incarnato hanno un colore, le mani..” Il regista continua: “Credo che il presidente Napolitano che teneva molto a questa celebrazione alludesse proprio al fatto che dobbiamo ritrovare quei volti e quei nomi, i numeri che dovrebbero essere la cosa più oggettiva e concreata non contano più nulla di fronte a un volto che pronuncia il proprio nome. Quei nomi ci dicono che hanno una identità che spesso non prendiamo in considerazione neppure nella quotidianità… spesso sentiamo dire: l’omino della posteggio… non ci sono omini nel popolo, molti in quelli che comandano”.
Il film di cui Ermanno Olmi confessa di essersi innamorato dopo la proiezione, è dedicato ai milioni di giovani morti durante la grande guerra senza neppure sapere perché, con l’intento di spingere, chiunque abbia la possibilità di farlo, a chiedere loro scusa proprio nel Centenario della Prima Guerra Mondiale. Ambasciate, consolati, Istituti Italiani di Cultura lo proietteranno in tutto il mondo, ed a Roma la prima del 4 novembre ha visto la partecipazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Nella sua opera Olmi cita Camus: “se vuoi che un pensiero cambi il mondo, prima devi cambiare te stesso”, una frase mai tanto appropriata come quando sulla scena vediamo che vengono dati ordini che segnano l’inizio di un massacro sul quale il cineasta intende narrarci la verità umana, fatta di soldati abbandonati al freddo, di giovani immersi nei loro sogni che, come la Piccola fiammiferaia, evocata dalle scene e dalle sequenze del film, si scaldano al fuoco delle bombe e delle armi. “Quando sentono l’odore del sangue le bestie cagano e pisciano prima di andare al macello!”, dice uno dei dei protagonisti mentre piovono bombe ed un’altro aggiunge:” Dio non ha ascoltato Sio Figlio nella Croce, vuoi che ascolti noi?”. Fra luci che squarciano il cielo, i silenzi pesano come mille parole, gli oggetti trasudano umanità e la febbre che arriva dai Balcani si unisce al freddo ed alle bombe decimando l’esercito, chi resiste va avanti con la febbre… “Co ‘sto chiaro de luna, un freddo becco!”
Le bombe sembrano stelle cadenti… mentre la malinconia segna i volti di soldati… e gli occhi illuminano volti anneriti dalla fuliggine, mentre i campanelli sul filo spinato indicano l’avvicinarsi del nemico e poi ancora fragore, scoppi, morti sotto le macerie. “La prima licenza l’ho avuta dopo sei mesi – dice un soldato – sono andato a casa e l’ho trovata a letto con un’altro!”. Ed un’altro recita: “Finita anche questa guerra tutti torneranno da dove sono venuti, crescerà l’erba nuova e di tutto quello che abbiamo patito nessuno saprà più nulla e non sembrerà più vero..”
Olmi che ha girato il ilm in otto settimane sull’Altipiano di Asiago, non si è mai tirato indietro neppure di fronte alla neve raccontano gli attori ed è rimasto poetico come sempre, ieratico, realista ed evocativo, Santamaria ha sostenuto che lavorare con lui è come farlo con il Dalai Lama mentre Camillo Grassi ha ribadito che Olmi non cerca attori ma emozioni e anime per girare i suoi Film dove la parola solidarietà, fatica, espressività si fanno carne, mentre la figlia Elisabetta Olmi, che ha prodotto il film, ha raccontato commossa delle battaglie fra e con la neve.
Una difesa dei deboli, o meglio dei fiduciosi, di coloro che sognavano la vita ed hanno trovato la morte, ma anche un canto alle loro anime senza ipocrisie e senza inerzia, ma con il coraggio di un grande saggio che ad 83 anni ha la forza di pronunciare un No alla guerra con grande decisione ma anche con grande umiltà e rispetto, come soltanto lui sa fare non solo per denunciare ma per portare e offrire soluzioni così come già aveva fatto dietro le mura di una chiesa con l’altro capolavoro citato all’inizio: Il villaggio di cartone. Fra i titoli di coda, una dedica al padre, la scritta Roberto Dani percussioni, i ringraziamenti a tutti a cominciare dal MiBACT e la citazione al libro di Federico de Roberto intitolato “La paura”, al quale il regista si è ispirato. Non sono mancate le scritte: Realizzato grazie al credito d’imposta e quella dove il grande maestro ricorda che per girare il film nessun animale ha subito maltrattamenti.
