di Gianni Basi
SIENA. Pieno ‘700, nella serata di venerdi (primo agosto) in Palazzo Chigi Saracini. Un tuffo nel passato fra dame imparruccate e damerini in pizzi e merletti, sfarzo pomposo, e il suono scintillante di un clavicembalo.
Ore 21,15, e l’Estate Chigiana ci farà entrare nel bel mezzo di una festa di corte, una corte francese o tedesca, a seconda di quello che suonerà l’illustre cembalista e docente chigiano Christophe Rousset.
Due francesi, Jean Philippe Rameau e Nicolas Pancrace Royer, e i due tedeschi Bach, il padre Johann Sebastian e il figlio Carl Philipp Emanuel, offriranno uno spaccato quanto mai fedele di cosa si suonasse in quell’epoca d’oro. Ma solo nei palazzi reali. Nei bassifondi, corti sì, ma dei miracoli (nel mondo non è che sia mai cambiato nulla…).
Royer, torinese di nascita ma francese in ogni tirante del suo clavicembalo, insegnava musica ai figli di Luigi XVI°. Di lui ascolteremo la “Suite in re minore” e vi troveremo tracce fascinose dei Couperin e dei Rameau ma al contempo lo stile elegantemente armonizzato di Scarlatti. Anche di Rameau una suite, ma in accordo di mi minore, elegantissima alla maniera di Couperin e tratta dalla “Pièces de clavecin” fra i cui rondò, allemande e gigue Christophe Rousset vinse il Grammophone Award con una straordinaria (e sinora insuperata) incisione del ‘92. Poi i Bach, grandissimi come sempre. Di Johann Sebastian apprezzeremo la “Partita in do minore BWV 826”, la seconda del suo formidabile ciclo di sei Partite, tipiche nel rappresentare quanto fosse capace, e unico, nel trasformare il recitativo in musica, e viceversa, impreziosendo di tessiture acrobatiche i suoni del calvicembalo. Del suo secondogenito Carl Philipp Emanuel, primo cembalista di Federico il Grande, ascolteremo un pezzo di alta classe risalente al 1744, la “Sonata Württemburghese n. 6 in si minore”, ultima e tra le più inventive della serie dedicata al granduca di Württemberg. L’estro talentuoso di Rousset, la sua anima barocca, la brillantezza di esecuzione, l’esperienza accumulata negli anni con il suo gruppo dei Les Talens Lyriques vincendo il Diapason d’Or, il Deutsche Schallprattenpreis, l’Award “Barocco non Vocal” e componendo altresì la colonna sonora del film “Farinelli”, lo eleggono fra i musicisti che più esprimono non solo virtuosismo ma soprattutto una formazione musicale rigorosa, assunta sin dall’età di tredici anni alla Schola Cantorum di Parigi.
Dal clavicembalo al pianoforte, e siamo già al giorno successivo, sabato (2 agosto), ore 18,30, nella suggestione immacolata dell’Abbazia di S.Antimo. Un improvviso tocco di rugiada in una vallata tutta verde su cui aleggeranno le note avvolgenti, dense di atmosfere particolarissime, che sa rendere Joaquin Achucarro.
“Per me l’emissione del suono è la cosa più importante – afferma -Dal pianoforte voglio farne uscire la voce, perchè in lui c’è un’anima, per me è come un essere vivente”. Nato a Bilbao, ardimento basco, il grande pianista conosce il suo esordio nel ‘59 con la London Symphony Orchestra e gli è assegnata la “Medaglia Harriet Cohen” per il miglior debutto dell’anno. Re Juan Carlos, nel ‘96, gli conferisce l’ “Onorificenza delle Belle Arti” e successivamente la “Gran Croce per Meriti Civili”. Nel ‘99 l’Unesco lo titola “Artist for Peace” del nuovo millennio per il suo forte impegno contro le assurde guerre del mondo. Diviso fra l’insegnamento alla Southern Methodist University in Texas e la titolarità della cattedra di pianoforte in Chigiana, Achucarro presenterà in Sant’Antimo la “Fantasie impromptu in do diesis minore op.66” e la “Sonata n.3 in si minore op.58” di Chopin, e, nel finale, i “Dodici preludi” dal II° Libro di Debussy. Il primo brano, scritto da Chopin nel 1834 e tutt’oggi utilizzato come tema di fondo in molti film, è un assolo appassionato che non soddisfece del tutto l’autore polacco perchè egli vi sentì sempre qualcosa del “Chiaro di luna” di Beethoven. Vero, ma non è che in fondo questo piccolo vezzo non gli doni… La Sonata in si minore, si dipana in un breve fluido melodico che avvince, languendo in quella malinconia dolce e crepuscolare che prende a volte quando si è soli. Compagna fedele della notte, quasi un “notturno”. Con Debussy e i suoi “Dodici preludi”, datati 1913, il fervore creativo produce, come anche nei precedenti dodici del Libro I°, una serie di veloci quadri in musica, siparietti ed istantanee dal sapore a volte esotico. Ad esempio nel quarto preludio, col movimento “rapide et léger”, dal titolo fiabesco de “Le fate sono danzatrici squisite”. Momenti quindi anche magici, nel crepuscolo di Sant’Antimo. Poche battute, insomma, per ogni preludio. Ma intense ed essenziali, come nella tecnica compositiva tanto di Debussy che di Chopin. Quest’ultimo, maestro di questa sorta di aforismi musicali, una volta se ne uscì fra un preludio e l’altro con una battuta vera e propria, davvero insolita per un tipo di assai buone maniere come lui. Ebbe a dire, piuttosto adirato: “buffone è chi non ride mai!”. Chissà con chi ce l’aveva. Forse bisognerebbe chiederlo ad un suo estimatore come Achucarro, e ancor più, a giorni (l’11 agosto ai Rozzi), a Maurizio Pollini. Il più chopiniano di tutti.
Ore 21,15, e l’Estate Chigiana ci farà entrare nel bel mezzo di una festa di corte, una corte francese o tedesca, a seconda di quello che suonerà l’illustre cembalista e docente chigiano Christophe Rousset.
Due francesi, Jean Philippe Rameau e Nicolas Pancrace Royer, e i due tedeschi Bach, il padre Johann Sebastian e il figlio Carl Philipp Emanuel, offriranno uno spaccato quanto mai fedele di cosa si suonasse in quell’epoca d’oro. Ma solo nei palazzi reali. Nei bassifondi, corti sì, ma dei miracoli (nel mondo non è che sia mai cambiato nulla…).
Royer, torinese di nascita ma francese in ogni tirante del suo clavicembalo, insegnava musica ai figli di Luigi XVI°. Di lui ascolteremo la “Suite in re minore” e vi troveremo tracce fascinose dei Couperin e dei Rameau ma al contempo lo stile elegantemente armonizzato di Scarlatti. Anche di Rameau una suite, ma in accordo di mi minore, elegantissima alla maniera di Couperin e tratta dalla “Pièces de clavecin” fra i cui rondò, allemande e gigue Christophe Rousset vinse il Grammophone Award con una straordinaria (e sinora insuperata) incisione del ‘92. Poi i Bach, grandissimi come sempre. Di Johann Sebastian apprezzeremo la “Partita in do minore BWV 826”, la seconda del suo formidabile ciclo di sei Partite, tipiche nel rappresentare quanto fosse capace, e unico, nel trasformare il recitativo in musica, e viceversa, impreziosendo di tessiture acrobatiche i suoni del calvicembalo. Del suo secondogenito Carl Philipp Emanuel, primo cembalista di Federico il Grande, ascolteremo un pezzo di alta classe risalente al 1744, la “Sonata Württemburghese n. 6 in si minore”, ultima e tra le più inventive della serie dedicata al granduca di Württemberg. L’estro talentuoso di Rousset, la sua anima barocca, la brillantezza di esecuzione, l’esperienza accumulata negli anni con il suo gruppo dei Les Talens Lyriques vincendo il Diapason d’Or, il Deutsche Schallprattenpreis, l’Award “Barocco non Vocal” e componendo altresì la colonna sonora del film “Farinelli”, lo eleggono fra i musicisti che più esprimono non solo virtuosismo ma soprattutto una formazione musicale rigorosa, assunta sin dall’età di tredici anni alla Schola Cantorum di Parigi.
Dal clavicembalo al pianoforte, e siamo già al giorno successivo, sabato (2 agosto), ore 18,30, nella suggestione immacolata dell’Abbazia di S.Antimo. Un improvviso tocco di rugiada in una vallata tutta verde su cui aleggeranno le note avvolgenti, dense di atmosfere particolarissime, che sa rendere Joaquin Achucarro.
“Per me l’emissione del suono è la cosa più importante – afferma -Dal pianoforte voglio farne uscire la voce, perchè in lui c’è un’anima, per me è come un essere vivente”. Nato a Bilbao, ardimento basco, il grande pianista conosce il suo esordio nel ‘59 con la London Symphony Orchestra e gli è assegnata la “Medaglia Harriet Cohen” per il miglior debutto dell’anno. Re Juan Carlos, nel ‘96, gli conferisce l’ “Onorificenza delle Belle Arti” e successivamente la “Gran Croce per Meriti Civili”. Nel ‘99 l’Unesco lo titola “Artist for Peace” del nuovo millennio per il suo forte impegno contro le assurde guerre del mondo. Diviso fra l’insegnamento alla Southern Methodist University in Texas e la titolarità della cattedra di pianoforte in Chigiana, Achucarro presenterà in Sant’Antimo la “Fantasie impromptu in do diesis minore op.66” e la “Sonata n.3 in si minore op.58” di Chopin, e, nel finale, i “Dodici preludi” dal II° Libro di Debussy. Il primo brano, scritto da Chopin nel 1834 e tutt’oggi utilizzato come tema di fondo in molti film, è un assolo appassionato che non soddisfece del tutto l’autore polacco perchè egli vi sentì sempre qualcosa del “Chiaro di luna” di Beethoven. Vero, ma non è che in fondo questo piccolo vezzo non gli doni… La Sonata in si minore, si dipana in un breve fluido melodico che avvince, languendo in quella malinconia dolce e crepuscolare che prende a volte quando si è soli. Compagna fedele della notte, quasi un “notturno”. Con Debussy e i suoi “Dodici preludi”, datati 1913, il fervore creativo produce, come anche nei precedenti dodici del Libro I°, una serie di veloci quadri in musica, siparietti ed istantanee dal sapore a volte esotico. Ad esempio nel quarto preludio, col movimento “rapide et léger”, dal titolo fiabesco de “Le fate sono danzatrici squisite”. Momenti quindi anche magici, nel crepuscolo di Sant’Antimo. Poche battute, insomma, per ogni preludio. Ma intense ed essenziali, come nella tecnica compositiva tanto di Debussy che di Chopin. Quest’ultimo, maestro di questa sorta di aforismi musicali, una volta se ne uscì fra un preludio e l’altro con una battuta vera e propria, davvero insolita per un tipo di assai buone maniere come lui. Ebbe a dire, piuttosto adirato: “buffone è chi non ride mai!”. Chissà con chi ce l’aveva. Forse bisognerebbe chiederlo ad un suo estimatore come Achucarro, e ancor più, a giorni (l’11 agosto ai Rozzi), a Maurizio Pollini. Il più chopiniano di tutti.