di Paola Dei
VENEZIA. Presentato Fuori Concorso alla 81 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, il film suddiviso in 7 parti di genere drama in 7 episodi per Apple TV, è già in odore di candidatura agli Oscar. Ma solo studiata la formula per poterlo far entrare nelle cinquine.
Girato in maniera impeccabile, come tutte le opere del Premio Oscar. Oltre ad una trama intrigante e una regia sublime, la serie, anche se Cuaron la definisce un film di 7 ore, vanta un cast eccelso, a partire dalle straordinarie Cate Blanchet e Leila George si avvale della partecipazione di Kevin Kline, Sacha Baron Cohen, Kodi Smit-McPhee, Louis Partridge e Jung Ho-yeon, supermodella e attrice coreana.
L’opera diretta a adattata da Cuaron a partire dall’omonimo romanzo del 2015 di Renée Knight, esplora l’intricato mondo delle percezioni e narra le vicende di Catherine Ravenscroft, che nella serie viene interpretata in molte parti del film da Leila George e in altre da Cate Blanchet, entrambe super acclamate a Venezia per la loro interpretazione. La protagonista, una integerrima giornalista che ha passato la vita a far emergere le malefatte altrui, riceve un manoscritto con un racconto fittizio intitolato The Perfect Stranger. Inizia a leggerlo e in quelle pagine, con orrore e sorpresa, ritrova qualcosa che si collega a un episodio della sua vita che è da due decenni che lei sta tenendo nascosto.
E da qui si sussegue un intricato gioco di specchi che evidenzia come spesso si tende a vedere nell’altro ciò che l’altro non è, ma che attraverso un singolo stimolo sensoriale può essere interpretato in modi diversi o può essere percepito in più modi. Un esempio classico di illusione ambigua è l’immagine del vado di Rubin, in cui l’osservatore può percepire alternativamente un vado o due profilo in faccia. Un positivo e un negativo che ci portano all’interno dei personaggi per scoprire la paura, il rancore, la distorsione delle narrazioni. Non a caso la donna delle foto che fanno evo alla storia non ha il volto di Kate Blanchet. È dunque un espediente per farci comprendere che non è lei? Una narrazione può avvicinarsi alla verità ma può anche essere una manipolazione piena di pregiudizi a supporto di convinzioni alle quali è difficile rinunciare. Effetti ed insidie di traumi che nel tempo possono rivelarsi pericolosi con verità perturbanti impossibili da narrare ma, attraverso le quali, se si è disponibili all’ascolto, possono essere rimessi insieme i pezzi di storie inenarrabili.
Dopo averlo visto, il mio mantra è diventato: se Disclaimer fosse un film, vincerebbe l’Oscar per il miglior film”, scrive il giornalista americano Baz Bamigboye su