MONTEPULCIANO. Parole raccolte in una zona delimitata del territorio della Chiana, parole che sopravvivono all’omologazione del linguaggio televisivo e mediatico. Una raccolta, più che un vero e proprio dizionario, amorevolmente curata dagli autori originari dei luoghi.
Così, in estrema sintesi, si può inquadrare il volume "Di qua dal fosso – Piccolo dizionario di chianino", realizzato da Silvia Cassioli, Giancarlo Cherubini, Mariano Fresta, Giampiero Giglioni, Enrica Angelica Grassi, Mariangela Leotta e Norberto Oldrini, che sarà presentato sabato (18 settembre), alle 17.30, nel Palazzo del Capitano, per iniziativa della Biblioteca – Archivio Piero Calamandrei.
Interverranno Alberto Nocentini, docente di glottologia all’Università di Firenze, i curatori del volume (Cassioli, Fresta e Giglioni) e, in rappresentanza dell’editore Effigi, Paolo Barcucci. Alessandro Zazzaretta sarà protagonista di un intermezzo in cui reciterà utilizzando i termini raccolti nel dizionario.
“Talvolta sopravvivenze arcaiche, altre volte espressioni fiorite usate ancora dalle nuove generazioni, quando vogliono colorire il loro linguaggio, le parole repertoriate costituiscono segnali di una trasformazione rapida di usi e costumi: alcune ricordano mestieri e usanze ormai estinti, altre sono legate ad un mondo contadino in via di sparizione, dopo la fine della mezzadria, riassorbito da culture specializzate industriali o dall’agroturismo” spiega Silvia Calamandrei, presidente della biblioteca.
“Così come l’eschimese ha tante parole per indicare il diverso stato della neve, elemento essenziale del suo habitat, l’abitante della Chiana aveva ben sei vocaboli per designare il fango: loto, memma, mogliacchera, motaraglia, paccariglia e pantenna. Quanti oggi, procedendo veloci sulle strade asfaltate, sarebbero in grado ancora di operare queste distinzioni? Resistono ancora invece le espressioni sulle fasi lunari, che contano per la lavorazione del vino, ma anche per la semina in un piccolo orto. E quanti sanno che l’espressione manfano, che sta ad indicare “persona robusta, ma anche grezza e poco raccomandabile” deriva dal palo che serviva a tappare il buco nel fondo della “tina” prima di metterci l’uva?”
“Il repertorio che ci viene offerto dagli autori – prosegue Calamandrei – è prezioso per raccontarci di una dimensione più antica, e forse più ricca di risonanze poetiche, in cui uomo e natura erano in contatto quotidiano, nel bene e nel male. Una ricerca condotta sul terreno, che ci documenta l’evoluzione linguistica di una fetta di territorio, ma anche l’evoluzione di usi e costumi. Ci auguriamo che questo “assaggio” – conclude il presidente – sia solo l’inizio di una serie di ricerche che possano fornire ai posteri, anche con adeguato apparato di fonti e citazioni, una documentazione il più possibile adeguata di questo mondo, che ormai è archeologia”.
Così, in estrema sintesi, si può inquadrare il volume "Di qua dal fosso – Piccolo dizionario di chianino", realizzato da Silvia Cassioli, Giancarlo Cherubini, Mariano Fresta, Giampiero Giglioni, Enrica Angelica Grassi, Mariangela Leotta e Norberto Oldrini, che sarà presentato sabato (18 settembre), alle 17.30, nel Palazzo del Capitano, per iniziativa della Biblioteca – Archivio Piero Calamandrei.
Interverranno Alberto Nocentini, docente di glottologia all’Università di Firenze, i curatori del volume (Cassioli, Fresta e Giglioni) e, in rappresentanza dell’editore Effigi, Paolo Barcucci. Alessandro Zazzaretta sarà protagonista di un intermezzo in cui reciterà utilizzando i termini raccolti nel dizionario.
“Talvolta sopravvivenze arcaiche, altre volte espressioni fiorite usate ancora dalle nuove generazioni, quando vogliono colorire il loro linguaggio, le parole repertoriate costituiscono segnali di una trasformazione rapida di usi e costumi: alcune ricordano mestieri e usanze ormai estinti, altre sono legate ad un mondo contadino in via di sparizione, dopo la fine della mezzadria, riassorbito da culture specializzate industriali o dall’agroturismo” spiega Silvia Calamandrei, presidente della biblioteca.
“Così come l’eschimese ha tante parole per indicare il diverso stato della neve, elemento essenziale del suo habitat, l’abitante della Chiana aveva ben sei vocaboli per designare il fango: loto, memma, mogliacchera, motaraglia, paccariglia e pantenna. Quanti oggi, procedendo veloci sulle strade asfaltate, sarebbero in grado ancora di operare queste distinzioni? Resistono ancora invece le espressioni sulle fasi lunari, che contano per la lavorazione del vino, ma anche per la semina in un piccolo orto. E quanti sanno che l’espressione manfano, che sta ad indicare “persona robusta, ma anche grezza e poco raccomandabile” deriva dal palo che serviva a tappare il buco nel fondo della “tina” prima di metterci l’uva?”
“Il repertorio che ci viene offerto dagli autori – prosegue Calamandrei – è prezioso per raccontarci di una dimensione più antica, e forse più ricca di risonanze poetiche, in cui uomo e natura erano in contatto quotidiano, nel bene e nel male. Una ricerca condotta sul terreno, che ci documenta l’evoluzione linguistica di una fetta di territorio, ma anche l’evoluzione di usi e costumi. Ci auguriamo che questo “assaggio” – conclude il presidente – sia solo l’inizio di una serie di ricerche che possano fornire ai posteri, anche con adeguato apparato di fonti e citazioni, una documentazione il più possibile adeguata di questo mondo, che ormai è archeologia”.