di Irene Baldoni
COLLE VAL D'ELSA. Ieri pomeriggio (18 dicembre), presso i locali del Comitato Donne di Castello in via delle Romite, si è svolta la presentazione del libro “Vino e Bufale”, a cura di Enrico Baraldi (psichiatra) e Alessandro Sbarbada (esperto di problemi alcol-correlati e dalla ventennale esperienza in un Club degli Alcolisti in Trattamento).
Questo libro non è rivolto esclusivamente a chi assume quantità smodate di alcol: al contrario, gli autori decidono di non usare i termini “abuso” e “alcolismo” proprio perché si propongono di informare anche il consumatore più occasionale sugli effetti delle sostanze alcoliche, spesso celati da una coltre di luoghi comuni. Un’operazione simile risulta quasi pionieristica in un paese come l’Italia, grande produttore ed esportatore di vino. Questa bevanda inoltre appartiene ad una cultura e tradizione millenarie; peccato però che cultura e tradizione non vadano necessariamente di pari passo con uno stile di vita salutare, e soprattutto con un’informazione adeguata per i consumatori.
Innanzitutto, per molti italiani (e per molti pazienti del dott. Baraldi) il vino non rientra tra le bevande considerate alcoliche – o quanto meno dannose. In realtà, tutte le sostanze contenenti alcol etilico sono tossiche: non a caso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica l’alcol come la seconda causa evitabile di cancro (dopo il tabacco).
I dati forniti dagli autori (le cui fonti sono specificate e analizzate nel testo, e che spesso fanno riferimento all’OMS) sono preoccupanti: bevendo anche solo un bicchiere di vino al giorno, la probabilità di ammalarsi di diversi tipi di tumore aumenta sensibilmente (nel caso del tumore alla gola o alla bocca del 180%), e purtroppo l’Italia è il paese europeo dove si inizia a bere prima (11 anni).
Eppure nella nostra cultura circola l’idea che il vino sia una bevanda salutare: inizia la serie delle “bufale” smentite dagli autori, che si appoggiano a studi scientifici realizzati in tutto il mondo e che spesso contraddicono i risultati delle ricerche finanziate dai grandi produttori di vino. Si tratta di un conflitto di interessi che genera molta disinformazione.
Alcuni studi sostengono, ad esempio, che il vino avrebbe effetti benefici grazie al resveratrolo, sostanza dalle proprietà antiossidanti: ciò che non viene messo in luce, però, è il fatto che per godere di tali proprietà sarebbe necessario bere 40 litri di vino al giorno come minimo. Nel libro sono confutati molti altri luoghi comuni: l’idea che il vino protegga dal colesterolo, dall’arteriosclerosi, che migliori la funzionalità cardiovascolare e addirittura allunghi la vita.
Non esiste quindi nessun motivo medico per bere alcolici, ed ogni distinzione tra “alcol buono” e “alcol cattivo” è fallace.
L’OMS considera l’alcol come una droga vera e propria, ed uno studio francese del 1998 lo ha associato all’eroina dopo averne esaminato i diversi fattori di pericolosità. Per questo il libro si rivolge anche e soprattutto ai bevitori che si definiscono “moderati” o “occasionali”: senza alcun intento censorio, è importante che ognuno abbia piena coscienza di ciò che decide di consumare.
Ma perché circola così tanta disinformazione sull’argomento?
Banalmente, soprattutto a proposito del vino, in Italia prevalgono gli interessi di un gruppo costituito da viticoltori, produttori, distributori. La televisione pubblicizza gli alcolici e ci sono programmi dedicati al vino che contribuiscono alla diffusione di molte vulgate, ma è difficile che l’argomento sia preso in considerazione con cognizione di causa.
Quando nel 2004 la trasmissione Report – con la collaborazione dello stesso Sbarbada – cercò di dare più risalto alle posizioni dell’OMS, una risoluzione parlamentare chiese l’intervento del governo, accusando il servizio pubblico di aver danneggiato un settore che lo Stato sostiene con ingenti risorse, quello vitivinico appunto. Molti parlamentari, senatori e ministri, del resto, dimostrano di sostenere gli interessi di questo gruppo, ed il libro ne dà conto riportando alcuni episodi – tristemente bipartisan.
Non c’è da stupirsene, dato che il comparto alcolico fattura 20 miliardi di euro l’anno ( di cui 12 derivano dal vino): ma sarebbe da considerare soprattutto che lo Stato spende più del doppio, 45 miliardi annui, per curare i disagi che derivano dall’uso di sostanze alcoliche.
A pagarne le spese sono soprattutto i giovani: l’alcol è la prima causa di morte dei giovani europei tra i 15 ed i 29 anni, vittime, secondo l’OMS, della cultura trasmessa con troppa leggerezza dalle generazioni precedenti.
Nonostante dati così scioccanti, il legame tra il bere ed i rischi che si corrono alla guida non è percepito in tutta la sua forza: è soprattutto chi sostiene di bere poco a rimanere coinvolto negli incidenti. Per quanto sia scientificamente provato che anche un solo bicchiere di vino altera la capacità di guidare, si tende a temere di più il ritiro della patente (non accompagnato peraltro da una corretta campagna informativa, ma percepito solo come vessazione) piuttosto che gli effettivi rischi a cui si sottopone la propria incolumità e quella degli altri. Purtroppo l’alcol miete le sue vittime soprattutto quando si sopravvalutano le proprie condizioni prima di mettersi alla guida (una dinamica che è tipica di qualsiasi droga).
Baraldi e Sbarbada affrontano la questione da molti altri punti di vista attraverso una trattazione esauriente, sintetica e accessibile. Ci tengono a precisare che un’informazione adeguata è il primo passo per consumare alcolici davvero responsabilmente: il che significa non farne assolutamente uso sotto i 16 anni, in gravidanza o durante l’allattamento, nell’orario di lavoro e alla guida. A quest’ultimo proposito, spesso molto discusso, la loro posizione è chiara:
“Il rischio di provocare disgrazie in un incidente stradale non è un problema matematico, ma necessita una modifica dei comportamenti e dello stile di vita. Finchè si metteranno limiti di tolleranza legale si faranno sempre calcoli e proiezioni di quanto si possa bere per guidare; se il limite viene posto a zero non ha più senso fare calcoli. Non si beve e basta.” (p.58, “Vino e Bufale”).
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