SIENA. Chiude domani (26 ottobre), la terza edizione del Festival Contemporaneamente Barocco con il concerto (Teatro dei Rinnovati ore 21) affidato a due stelle di prima grandezza, Jordi Savall e Andrew Lawrence-King, in un evento che è anche preziosa operazione di recupero di un grande frammento di vissuta quotidianità: il ricchissimo patrimonio musicale popolare dell'Irlanda e della Scozia del Sei e Settecento.
Il concerto di Jordi Savall costituisce indubbiamente uno degli appuntamenti più interessanti della terza edizione di FCB. Quella del violoncellista catalano è una delle figure che ci sembra incarnare meglio il paradigma della mediazione culturale tra antico e contemporaneo. Savall è infatti un suonatore di violoncello che sin da giovane ha iniziato da autodidatta a studiare uno strumento dimenticato da due secoli e mezzo, la viola da gamba. Ha così riconsegnato agli appassionati di musica antica un mondo di composizioni perdute, autori dimenticati, tecniche esecutive, stili, ricreandolo con un approccio da autodidatta, attento a tenere assieme scrupolo filologico e grande sensibilità ermeneutica.
Ogni musica trasmessa e conservata per tradizione orale è il risultato di una felice sopravvivenza, l’esito di un lungo processo di selezione e di sintesi. Al contrario di certe culture orientali che si sono sviluppate soprattutto in ambito di tradizione orale, nel mondo occidentale soltanto le musiche dette tradizionali, popolari o folcloristiche hanno saputo conservarsi grazie a questi meccanismi di trasmissione non scritta. Nel mondo della musica “colta” dell’Europa occidentale, la comunicazione musicale basata sul “non scritto” è perdurata fino alla fine del XVII secolo, ma solamente nelle pratiche legate all’improvvisazione e alla realizzazione degli accompagnamenti sul basso continuo, negli ambienti di creazione musicale legati alle istituzioni del potere spirituale e secolare (la Chiesa e la Corte) e più a lungo, dal XVIII (in Inghilterra) e soprattutto dal XX secolo (in Germania), nei circoli eminentemente borghesi. La scrittura musicale ha permesso un formidabile sviluppo delle forme e degli strumenti, ma allo stesso tempo ha contribuito a relegare nell’oblio e a confinare in ambito secondario tutte le musiche vive che accompagnavano quotidianamente l’esistenza della maggioranza delle persone: le musiche del popolo. È per questo che le musiche celtiche per il violino, della Scozia e dell’Irlanda (e anche quelle provenienti dalle comunità di emigranti da questi paesi all’America del Nord), costituiscono un caso unico nell’Europa occidentale, e uno dei più ricchi e più bei patrimoni tra tutte le tradizioni musicali viventi del nostro tempo. Queste migliaia di Arie, Pastorali, Lamenti, Hornpipe, Reel, Rant, Gighe conservate dalle diverse tradizioni orali, trasmesse con amore di padre in figlio sono in realtà delle vere e proprie musiche superstiti, musiche che hanno avuto il privilegio – per noi la fortuna – di sopravvivere all’inevitabile e costante amnesia culturale dell’uomo, e alla sua follia globalizzatrice.
Il concerto di Jordi Savall costituisce indubbiamente uno degli appuntamenti più interessanti della terza edizione di FCB. Quella del violoncellista catalano è una delle figure che ci sembra incarnare meglio il paradigma della mediazione culturale tra antico e contemporaneo. Savall è infatti un suonatore di violoncello che sin da giovane ha iniziato da autodidatta a studiare uno strumento dimenticato da due secoli e mezzo, la viola da gamba. Ha così riconsegnato agli appassionati di musica antica un mondo di composizioni perdute, autori dimenticati, tecniche esecutive, stili, ricreandolo con un approccio da autodidatta, attento a tenere assieme scrupolo filologico e grande sensibilità ermeneutica.
Ogni musica trasmessa e conservata per tradizione orale è il risultato di una felice sopravvivenza, l’esito di un lungo processo di selezione e di sintesi. Al contrario di certe culture orientali che si sono sviluppate soprattutto in ambito di tradizione orale, nel mondo occidentale soltanto le musiche dette tradizionali, popolari o folcloristiche hanno saputo conservarsi grazie a questi meccanismi di trasmissione non scritta. Nel mondo della musica “colta” dell’Europa occidentale, la comunicazione musicale basata sul “non scritto” è perdurata fino alla fine del XVII secolo, ma solamente nelle pratiche legate all’improvvisazione e alla realizzazione degli accompagnamenti sul basso continuo, negli ambienti di creazione musicale legati alle istituzioni del potere spirituale e secolare (la Chiesa e la Corte) e più a lungo, dal XVIII (in Inghilterra) e soprattutto dal XX secolo (in Germania), nei circoli eminentemente borghesi. La scrittura musicale ha permesso un formidabile sviluppo delle forme e degli strumenti, ma allo stesso tempo ha contribuito a relegare nell’oblio e a confinare in ambito secondario tutte le musiche vive che accompagnavano quotidianamente l’esistenza della maggioranza delle persone: le musiche del popolo. È per questo che le musiche celtiche per il violino, della Scozia e dell’Irlanda (e anche quelle provenienti dalle comunità di emigranti da questi paesi all’America del Nord), costituiscono un caso unico nell’Europa occidentale, e uno dei più ricchi e più bei patrimoni tra tutte le tradizioni musicali viventi del nostro tempo. Queste migliaia di Arie, Pastorali, Lamenti, Hornpipe, Reel, Rant, Gighe conservate dalle diverse tradizioni orali, trasmesse con amore di padre in figlio sono in realtà delle vere e proprie musiche superstiti, musiche che hanno avuto il privilegio – per noi la fortuna – di sopravvivere all’inevitabile e costante amnesia culturale dell’uomo, e alla sua follia globalizzatrice.