di Gianni Basi
EST. CHIGIANA – Maurizio Pollini – Rozzi 21,15 – lunedì 11 agosto
Fountain-Pay-Geldsetzer-Geringas –S.Agostino 21,15 – mart 12
L’Accademia Chigiana ha appena diffuso una nota in cui parla di “tutto esaurito” per colui che definisce, giustamente, “pianista leggendario”. A questo “tutto esaurito”, che sancisce i grandissimi eventi, Maurizio Pollini c’è abituato in ogni dove. E scommettiamo che, sotto sotto, gli dispiaccia che “quelli dell’ultima ora”, al Teatro dei Rozzi alle 21,15 di lunedì (11 agosto), non potranno assistere al suo concerto-spettacolo. Ma, fra lunedì e martedì, di concerti-spettacolo stavolta ve ne saranno due. Il primo con Pollini, il secondo, specie per chi a vedere Pollini non riuscirà, con una performance di ben quattro importanti esecutori che, se ne abbiamo giusta memoria, per la prima volta suonano in gruppo qui a Siena, e si tratta di Ian Fountain al piano, Antony Pay al clarinetto, David Geringas al violoncello, e la Erika Geldsetzer (che sostituisce da par suo il previsto Guy Braunstein) al violino. Un poker d’assi in un colpo solo che, martedì (12 agosto), suonerà alla chiesa di Sant’Agostino alle 21,15 su arie di Brahms e Messiaen.
Per chi ama la musica, e intendiamo non necessariamente quella cosiddetta colta, ma la musica in quanto tale, due serate da brividi.
Cominciamo con Pollini. Avete mai provato la gioia di fare una cosa in cui siete perfettamente tagliati? Bene. Maurizio Pollini, che suona indifferentemente ogni genere di classico così come affronta Bartòk, Boulez, Nono, Stockhausen, Schönberg e insomma qualunque cosa gli si metta sul pentagramma, nel concerto di lunedì ai Rozzi si calerà in uno dei migliori brodi di giuggiole che potesse desiderare perché avrà sotto il cono di luce capolavori di Schumann, Chopin e Listz, ovvero dei suoi prediletti da sempre. Per dirne una, a diciotto anni, vince il concorso internazionale “Chopin” di Varsavia e subito dopo si esibisce alla Scala con il “Chopin First Piano Concerto” diretto da Sergiu Celibidache. I suoi concerti e le sue incisioni sono strapieni di arie dei tre compositori favoriti che abbiamo detto, pur se non trascura i pur amati Beethoven Brahms Mozart e Bach. Le collaborazioni con le grandi orchestre sono infinite, dai Wiener Philharmoniker alla Chicago Symphony, dal Quartetto Alban Berg all’Orchestra di Santa Cecilia e la London Philarmonic Orchestra. I direttori che lo hanno, se così si può dire, diretto? Tutti. Manca solo l’astro nascente del momento, il venezuelano Gustavo Dudamel, poi si può chiudere bottega. Assieme ad un ristretto numero nella storia (Rubinstein, Richter, Gould, Michelangeli, Jarrett, pochissimi altri e, forse, il cinese Lang Lang per il futuro) Pollini è considerato fra i migliori suonatori di pianoforte di sempre. Ama Einstein ed ogni piccola relazione della musica con la matematica, la fisica, e ancor più la metafisica. Contesta Platone quando, ne “La Repubblica”, inibisce la musica ai giovani perché “il suo ottimismo potrebbe influenzarli negativamente”, ma lo ammira in quanto, in ciò, il filosofo riveli quanto abbia colto la forza comunicativa della musica stessa. Ne parleremmo per ore, di Pollini. Quando lo si ascolta dal vivo, garantito che ti strega. Suona lui, e non vola una mosca. Voliamo noi. Ma, ora, meglio passare ai brani in programma. Apre Schumann col “Concerto senza orchestra”, op. 14, un fa minore in versione primigenia nei cinque movimenti della “Dritte grosse sonate” (Terza grande sonata), che esprimono profondità espressive deliziose. Poi la “Sonata in si bemolle minore op.35” di Chopin, che parte da movimenti lenti e drammatici, sereni come forse lo è l’al di là, sino ad una sorta di vortice finale pieno di echi visionari, compreso l’urlo ossessivo del vento battuto e ribattuto sui tasti. Infine, la “Sonata n.2 in si minore” di Listz, molto chopiniana in verità, scritta in tarda età e con qualche stanchezza, fra toni meditativi, altri brillanti, altri solenni, sino al pianissimo quasi sussurrato, quello dei saluti. A chiudere una magica serata di “Pollini-mania”. (Ma tranquilli, Pollini farà più di un bis, attenti caso mai a non spellarvi le mani del tutto).Due brani di grande presa, martedì (12 agosto) in Sant’Agostino, nell’altro super concerto che dicevamo in apertura. Si comincia con clarinetto violoncello e piano e il “Trio in la minore op.114” di Johannes Brahms, con la mora ( benché molto valkiria) Geldsetzer che, per ora, resta fuori dal quartetto della serata. E’ l’ultimo dei suoi Trii per piano e due strumenti, e molto probabilmente anche il più ispirato. Brahms, fra tempi di allegro, adagio, andante grazioso (per non dire un valzer) e allegro finale, sembra quasi voler raccontare i suoi lati umani in musica. Non colga in errore l’ambiguo tema dell’allegro. Spesso è, invece, più che altro un “toccante assai”, che va dritto al cuore. Pur se Brahms ha cura affinchè il ritmo strumentale prevalga e si ravvivi in spontaneità e lucentezza. Bel brano. Per circa mezzora Geringas Pay e Fountain daranno prova di cosa può fare un terzetto davanti ad uno spartito che dice “cosa aspettate a suonarmi?”. Seconda parte del concerto, e stavolta in più c’è il violino e dunque si compone un ensemble veramente da favola che, oltre al pezzo in esecuzione, il “Quartetto per la fine dei tempi”, op.115, in otto movimenti, di Olivier Messiaen, avremmo tanto desiderato suonasse anche qualcosa di più vivace. Non foss’altro per risollevarci dall’ambientazione: prigionia nei lager, drammaticità, suoni mesti e a volte accesi di dolore. Ma di tecnica straordinaria, prestata anche al jazz con quei caratteri di ricerca sperimentale tipici dei compositori del XX secolo. In questa pagina, così votata al suo spiccato senso di eternità e che avrebbe perciò anche potuto chiamare “tempo senza fine”, Messiaen traccia le ferite insanabili della guerra e, poi, le cura col senso di liberazione che dà il (suono del) volo degli uccelli e le guarisce col conforto che non altri che Dio può trasmettere. Magari, fa intendere l’autore francese attraverso le sue note più intense, dandoci da annusare solo l’aria normale e inibendo all’uomo l’inumano vizio di ammorbarla con polvere da sparo. Grandi spiritualità e ribellioni quindi, sotto la volta di Sant’Agostino, dopo un Brahms più tranquillo e persino gioioso. Qualche accenno ai protagonisti e chiudiamo. Pay e Geringas, specialisti sublimi di musica da camera, sono docenti chigiani e anche direttori d’orchestra. Il repertorio di entrambi va dai classici al contemporaneo e, tra i loro camei, c’è il ruolo di primo clarinetto, per Pay, con l’Academy of St.-Martin-in the-Fields di Sir Neville Marriner (straordinario a Siena in luglio per la Settimana Musicale) e con la London Sinfonietta di cui è anche membro fondatore. Geringas ha avuto il privilegio di suonare con Rostropovich e, ultimamente, con Giuranna, ha vinto il Grand Prix du Disque per i “Dodici Concerti” di Boccherini. Ian Fountain, insegnante dal 2001 alla Royal Academy of Music di Londra, fu nell’89 il più giovane vincitore dell’ “Arthur Rubinstein” di Tel Aviv. E’ stato di recente in tour con Geringas presentando il ciclo completo delle opere per cello e piano di Beethoven, suona nelle migliori orchestre e di norma con la London Symphony diretta da Colin Davis e l’Israel Philarmonic di Zubin Metha. Erika Geldsetzer, diplomatasi all’Accademia di Colonia, master class col Quartetto Alban Berg e col Quartetto Amadeus, nonchè fondatrice del Quartetto d’Archi Villa Musica, ha vinto il Premio Mendelssohn a Berlino nel ’99 ed è stata per cinque anni membro dell’Orchestra dei Giovani dell’Unione Europea. Questi, i magnifici quattro. Con Pollini, due notti e cinque interpreti che di più non si può. Di magnifica musica.
Per chi ama la musica, e intendiamo non necessariamente quella cosiddetta colta, ma la musica in quanto tale, due serate da brividi.
Cominciamo con Pollini. Avete mai provato la gioia di fare una cosa in cui siete perfettamente tagliati? Bene. Maurizio Pollini, che suona indifferentemente ogni genere di classico così come affronta Bartòk, Boulez, Nono, Stockhausen, Schönberg e insomma qualunque cosa gli si metta sul pentagramma, nel concerto di lunedì ai Rozzi si calerà in uno dei migliori brodi di giuggiole che potesse desiderare perché avrà sotto il cono di luce capolavori di Schumann, Chopin e Listz, ovvero dei suoi prediletti da sempre. Per dirne una, a diciotto anni, vince il concorso internazionale “Chopin” di Varsavia e subito dopo si esibisce alla Scala con il “Chopin First Piano Concerto” diretto da Sergiu Celibidache. I suoi concerti e le sue incisioni sono strapieni di arie dei tre compositori favoriti che abbiamo detto, pur se non trascura i pur amati Beethoven Brahms Mozart e Bach. Le collaborazioni con le grandi orchestre sono infinite, dai Wiener Philharmoniker alla Chicago Symphony, dal Quartetto Alban Berg all’Orchestra di Santa Cecilia e la London Philarmonic Orchestra. I direttori che lo hanno, se così si può dire, diretto? Tutti. Manca solo l’astro nascente del momento, il venezuelano Gustavo Dudamel, poi si può chiudere bottega. Assieme ad un ristretto numero nella storia (Rubinstein, Richter, Gould, Michelangeli, Jarrett, pochissimi altri e, forse, il cinese Lang Lang per il futuro) Pollini è considerato fra i migliori suonatori di pianoforte di sempre. Ama Einstein ed ogni piccola relazione della musica con la matematica, la fisica, e ancor più la metafisica. Contesta Platone quando, ne “La Repubblica”, inibisce la musica ai giovani perché “il suo ottimismo potrebbe influenzarli negativamente”, ma lo ammira in quanto, in ciò, il filosofo riveli quanto abbia colto la forza comunicativa della musica stessa. Ne parleremmo per ore, di Pollini. Quando lo si ascolta dal vivo, garantito che ti strega. Suona lui, e non vola una mosca. Voliamo noi. Ma, ora, meglio passare ai brani in programma. Apre Schumann col “Concerto senza orchestra”, op. 14, un fa minore in versione primigenia nei cinque movimenti della “Dritte grosse sonate” (Terza grande sonata), che esprimono profondità espressive deliziose. Poi la “Sonata in si bemolle minore op.35” di Chopin, che parte da movimenti lenti e drammatici, sereni come forse lo è l’al di là, sino ad una sorta di vortice finale pieno di echi visionari, compreso l’urlo ossessivo del vento battuto e ribattuto sui tasti. Infine, la “Sonata n.2 in si minore” di Listz, molto chopiniana in verità, scritta in tarda età e con qualche stanchezza, fra toni meditativi, altri brillanti, altri solenni, sino al pianissimo quasi sussurrato, quello dei saluti. A chiudere una magica serata di “Pollini-mania”. (Ma tranquilli, Pollini farà più di un bis, attenti caso mai a non spellarvi le mani del tutto).Due brani di grande presa, martedì (12 agosto) in Sant’Agostino, nell’altro super concerto che dicevamo in apertura. Si comincia con clarinetto violoncello e piano e il “Trio in la minore op.114” di Johannes Brahms, con la mora ( benché molto valkiria) Geldsetzer che, per ora, resta fuori dal quartetto della serata. E’ l’ultimo dei suoi Trii per piano e due strumenti, e molto probabilmente anche il più ispirato. Brahms, fra tempi di allegro, adagio, andante grazioso (per non dire un valzer) e allegro finale, sembra quasi voler raccontare i suoi lati umani in musica. Non colga in errore l’ambiguo tema dell’allegro. Spesso è, invece, più che altro un “toccante assai”, che va dritto al cuore. Pur se Brahms ha cura affinchè il ritmo strumentale prevalga e si ravvivi in spontaneità e lucentezza. Bel brano. Per circa mezzora Geringas Pay e Fountain daranno prova di cosa può fare un terzetto davanti ad uno spartito che dice “cosa aspettate a suonarmi?”. Seconda parte del concerto, e stavolta in più c’è il violino e dunque si compone un ensemble veramente da favola che, oltre al pezzo in esecuzione, il “Quartetto per la fine dei tempi”, op.115, in otto movimenti, di Olivier Messiaen, avremmo tanto desiderato suonasse anche qualcosa di più vivace. Non foss’altro per risollevarci dall’ambientazione: prigionia nei lager, drammaticità, suoni mesti e a volte accesi di dolore. Ma di tecnica straordinaria, prestata anche al jazz con quei caratteri di ricerca sperimentale tipici dei compositori del XX secolo. In questa pagina, così votata al suo spiccato senso di eternità e che avrebbe perciò anche potuto chiamare “tempo senza fine”, Messiaen traccia le ferite insanabili della guerra e, poi, le cura col senso di liberazione che dà il (suono del) volo degli uccelli e le guarisce col conforto che non altri che Dio può trasmettere. Magari, fa intendere l’autore francese attraverso le sue note più intense, dandoci da annusare solo l’aria normale e inibendo all’uomo l’inumano vizio di ammorbarla con polvere da sparo. Grandi spiritualità e ribellioni quindi, sotto la volta di Sant’Agostino, dopo un Brahms più tranquillo e persino gioioso. Qualche accenno ai protagonisti e chiudiamo. Pay e Geringas, specialisti sublimi di musica da camera, sono docenti chigiani e anche direttori d’orchestra. Il repertorio di entrambi va dai classici al contemporaneo e, tra i loro camei, c’è il ruolo di primo clarinetto, per Pay, con l’Academy of St.-Martin-in the-Fields di Sir Neville Marriner (straordinario a Siena in luglio per la Settimana Musicale) e con la London Sinfonietta di cui è anche membro fondatore. Geringas ha avuto il privilegio di suonare con Rostropovich e, ultimamente, con Giuranna, ha vinto il Grand Prix du Disque per i “Dodici Concerti” di Boccherini. Ian Fountain, insegnante dal 2001 alla Royal Academy of Music di Londra, fu nell’89 il più giovane vincitore dell’ “Arthur Rubinstein” di Tel Aviv. E’ stato di recente in tour con Geringas presentando il ciclo completo delle opere per cello e piano di Beethoven, suona nelle migliori orchestre e di norma con la London Symphony diretta da Colin Davis e l’Israel Philarmonic di Zubin Metha. Erika Geldsetzer, diplomatasi all’Accademia di Colonia, master class col Quartetto Alban Berg e col Quartetto Amadeus, nonchè fondatrice del Quartetto d’Archi Villa Musica, ha vinto il Premio Mendelssohn a Berlino nel ’99 ed è stata per cinque anni membro dell’Orchestra dei Giovani dell’Unione Europea. Questi, i magnifici quattro. Con Pollini, due notti e cinque interpreti che di più non si può. Di magnifica musica.
