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di Giulia Tacchetti
SIENA. Il linguaggio espressivo di Francesco Clemente, già conosciuto a Siena attraverso il drappellone del 2012, incontra i linguaggi delle culture diverse al S. Maria della Scala. In tutto dieci opere inedite, suddivise in due cicli distinti, esposte per la prima volta a Siena grazie a Max Seidel, curatore della mostra. La serie “Fiori d’inverno a New York” comprende cinque grandi tele, che nascono tra il 2010 ed il 2016 attraverso una collaborazione con la moglie Alba Primiceri “E’ lei che ha trovato i fiori. Io li ho fotografati e poi ho proiettato i loro contorni sulla tela” (da un’intervista di Max Seidel).
Nessuno di questi quadri ha un orientamento preciso, possono essere capovolti da una parte all’altra, riuscendo a superare la necessità di contestualizzare forma e gesto (lo sfondo delle figure), fino a raggiungere una mancata distinzione tra narrazione e decorazione. In Winters Flowers le rielaborazioni partono da elementi naturali, ma conseguono soluzioni quasi astratte. Colpisce il cromatismo delle tele ottenuto da una selezione dei pigmenti vegetali, passando una gouache argentata su un fondo rosso, che richiama l’effetto di una fotografia solarizzata, oppure lavando le tele con diversi passaggi di colore.
Perché il tema dei fiori? E perché d’inverno? Per il pittore è un tema insolito che denota una ricerca artistica, che va a coinvolgere anche la tecnica esecutiva, prendendo le mosse dalla fotografia. “Il tema dei fiori d’inverno sottintende una meditazione sull’età più avanzata dell’uomo e sulla gioia che può caratterizzare questa fase della vita”. Così è scritto sulla prima tavola posta all’ingresso della mostra. Non sappiamo quanto di questi sforzi di decodificazione rispondano alle reali intenzioni di Clemente, visto il breve intervento delle autorità durante la presentazione della mostra.
Il direttore del S. Maria della Scala Daniele Pittèri presenta il linguaggio espressivo di Clemente come l’incontro di un linguaggio nuovo con quello delle culture diverse presenti a Siena, lasciando a chi “legge questi ideogrammi”, così definisce le pitture esposte, la libertà di interpretarli. Anche Seidel non aggiunge molto. Presenta questa esposizione come l’elemento che rompe finalmente il silenzio calato a Siena dalla mostra sul Rinascimento.
Non siamo dello stesso parere soprattutto per il numero di autori ed opere presenti alla mostra sul Rinascimento, alcune delle quali poco viste (l’angiolino di Berlino). Forse più attendibile il confronto fra vecchi e nuovi linguaggi come a Firenze con le opere esposte in varie parti della città di Jean Fabre. L’altra serie in mostra, “L’Albero della Vita”, rappresenta l’Albero, la Barca, la Ruota, il Ponte, collegati al ciclo della vita, ma evocanti antiche letterature e l’immaginario contemporaneo. L’India negli anni ’70 era il luogo di convergenza di varie culture e Clemente in India entra in contatto con un mondo di forte spiritualità. Per questo le seconde cinque tele si differenziano dalle prime, perché presentano una iconografia più meditata. Ma questi emblemi, palinsesti, ideogrammi, comunque li vogliamo definire, rifuggono da un’interpretazione univoca, lasciando possibile qualsiasi interpretazione, anche se certi richiami al Vecchio Testamento o al Buddhismo sono inevitabili. Alla domanda rivolta all’artista se occorre andare in Oriente per capire il mondo, lo stesso risponde: “L’Oriente è qui” (a Siena?).
In occasione dell’inaugurazione della mostra è previsto un programma musicale dedicato al rapporto di amicizia che ha legato Clemente ed il compositore Morton Deldman. Sono previste musiche di Lou Harrison, Riccardo Vaglini, Claude Debussy, Morton Feldeman, musiche emotive, coinvolgenti che con un linguaggio diverso dialogano con le opere esposte.