Ma fin troppi non se ne accorgeranno
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di Silvana Biasutti
SIENA. Certo, non è obbligatorio conoscere (aver conosciuto) Tullio De Mauro – o sapere chi fosse (ma com’è triste non poter scrivere “chi sia”!) – per sforzarsi di parlare e scrivere correttamente nella nostra lingua (l’italiano!). C’è anche chi scrive e parla correttamente senza mai aver neppure intravisto il suo volto mite o il suo sorriso con gli occhi.
Ci sono, soprattutto, tantissimi forse troppi che dell’italiano se ne impippano e liquiderebbero queste righe con un’alzata di spalle.
Sono, in gran parte, quelli a cui il disfacimento del nostro paese (intravedibile negli spazi lasciati liberi dal loro faccione, nel ‘selfie’ quotidiano) non muove minimamente alcunché.
Eppure la lingua ben parlata e ben scritta classifica socialmente – anche nel senso più bieco, secondo gli amici di ex-sinistra – tutti noi; non per un mero fatto formale, ma perché chi si esprime correttamente è in grado di farsi capire ed esporre correttamente bisogni, desideri, idee; ma costui è anche in grado di ascoltare, capire e cogliere le idee e i bisogni degli altri.
Se non capisci la lingua non capisci (e non conosci) una Nazione, una gente; ma se non conosci una lingua non conosci nemmeno il senso di un paese. Forse è per questo che il nostro paese sta diventando così povero?
Leggevo pochi giorni fa, sul Corriere, l’intervista a un ministro che propugnava la difesa delle nostre ricchezze e – se ricordo bene – non intendeva semplicemente il ‘made in Italy’, ma evocava il patrimonio italiano. Ebbene la difesa del nostro patrimonio inizia con la difesa della nostra lingua, che di quel patrimonio è la madre e di quel patrimonio è la voce.
Non ci credete?! Eppure la politica e i suoi uomini – negli scorsi quarant’anni – hanno lasciato correre per il mondo un patrimonio valutato, dieci anni fa, circa sessanta miliardi di euro e che va sotto il nome (inglese!) di “italian sounding”: prodotti e nomenclature (naming) in un italiano storpiato o imitato che, facendo sognare l’Italia, sottraggono fatturato all’Italia autentica storpiandone la poetica e il senso.
Ma gli uomini della politica, preoccupati d’altro, non hanno avuto alcuna attenzione a questo fenomeno grande come un grattacielo: non erano preparati, né consapevoli, e non hanno neppure l’inclinazione a divenirlo (o a diventarlo).
Eppure il patrimonio dell’Italia inizia da qui e su questa consapevolezza bisogna iniziare a lavorare.
Mi considero un’erede di Tullio De Mauro, perché egli vivendo non ha solo fatto e scritto cose notevoli, non è stato solo accademico, ministro e presidente dello Strega; non ha solo scritto, ma ha testimoniato, spargendo intorno a sé, sensibilità per la conoscenza della nostra lingua. Sarebbe bello che questa eredità fosse raccolta e usata, anzi proprio sfruttata, per difendersi da chi sull’Italia continua a speculare.