di Gianni Basi
SIENA. Tempo permettendo, e c’è da sperarlo perché si tratta di un allestimento imponente, il magnifico scenario dell’Abbazia di San Galgano offrirà al pubblico, questo venerdi alle ore 21, due esecuzioni che resteranno memorabili. Dalle atmosfere sacre e profane dei Carmina Burana di Carl Orff si passerà alla sensualità lenta, assaporante, alla fine esplosiva del Bolero di Maurice Ravel. La stagione estiva della fiesolana OperaFestival si ripete per il secondo anno in territorio senese affiancandosi ai concerti gemelli al Giardino di Boboli in Firenze, alla Villa Medicea di Cafaggiolo nel Mugello e nell’aretina Piazza Varchi. Un successo annunciato anche stavolta, con l’impossibilità di soddisfare, da qui al 3 agosto, le numerosissime richieste per gli eventi che si succederanno in San Galgano subito dopo il concertone d’apertura. Vediamoli brevemente: Il Flauto Magico, La Traviata, le “Favole” raccontate da Paolo Poli, Vivaldi con “Le Stagioni”, e in più i suoni suggestivi del Quintetto Polifonico Italiano e le danze classiche del Junior Balletto di Toscana. Una scorpacciata di note e di spettacolo per tutti i palati. Ma, come per ogni attesa, il primo momento, quello dei Carmina Burana e del Bolero, sarà il più emozionante. Soprattutto per l’accoppiata malandrina di arie diversissime e comunque legate da stimoli irrefrenabili nel loro incedere battente. Colpi al cuore e alle corde del cuore, cullati da musiche che sembrano non aver fine. Orff, nel ’37, ebbe la magnifica idea di andare a scovare in Baviera, all’Abbazia di Beuern (Bura), i manoscritti sacri, ma anche satirici e amorosi, del “Codex Latinum Monacensis”, poemi e canti medievali perfettamente conservati in una serie di “carmina” che definire intriganti è dir poco. Spinto da folle e lucida ispirazione ne trasformò alcuni in quelli che egli stesso definì la sua opera omnia, e nacquero questi formidabili Carmina Burana, l’esaltazione pura in cui si mescolano dolori e piaceri al suono trascinante di orchestra coro e percussioni: l’apocalisse, forse, non potrebbe manifestarsi se non con una tale colonna sonora. Dal suo canto, Ravel, irritato da committenti scontrosi che prima gli affidarono e poi gli negarono delle rielaborazioni per pianoforte su Albeniz, andò anch’egli a scovare qualcosa di “forte” e lo fece rovistando tra svariati pezzi spagnoli popolari sino a comporre il suo capolavoro. Fattura di semplicità estrema, tema ritmato dai tamburi, melodia che s’insinua senza tregua. Un “do maggiore” e brevi “mi maggiore” intervallati in sequenze ripetitive ma mai stancanti, una estenuazione che conquista in cui flauti e clarinetti, fagotti e ottavini, violini e corni, e trombe, e sassofoni, e il mitico “oboe d’amore” scandiscono all’unisono il raggiungimento dell’estasi. Come si fa a perdere momenti simili? “O sorte, come la Luna sei mutevole, sempre cresci o decresci, tu, ruota che giri”. Lo sentiremo, ne verremo assordati durante i “Carmina”, sperando che il cielo di San Galgano ci mostri una bella luna e tante stelle come degna cornice. Poi il rimescolio, sferzante e appagante, del Bolero. A suonare queste meraviglie l’Orchestra dell’OperaFestival diretta da Bruno Vicoli, al canto le voci della soprano Jenufa Gleich, del baritono Juan Possidente e del tenore Antonio Menicucci, supportate dal Coro OperaFestival guidato da Maurizio Preziosi e dall’omonimo Coro di Voci Bianche sospinto da Viviana Apicella. Grandi interpreti, grandi autori, in un San Galgano maestà incantevole e stregante.