
di Irene Baldoni
POGGIBONSI. Ieri pomeriggio (27 ottobre), intorno alle 18, la sala minore del teatro Politeama ha ospitato la presentazione dell’ultimo libro di Luciano Canfora, La natura del potere, edito da Laterza e pubblicato nella nuova collana battezzata “Anticorpi”.
Questo nome non è casuale: attraverso brevi saggi scritti da intellettuali contemporanei, si cerca di fornire ai lettori dei baluardi di difesa e di approfondimento della nostra vita democratica e civile.
Canfora è noto per la sua capacità di far riflettere il moderno nell’antico e viceversa: forte della sua vita di studi in filologia classica, egli dispiega un pattern di riferimenti che sottolineano ad ogni svolta l’imprescindibilità della cultura antica per tutti gli sviluppi successivi. Il suo metodo di indagine potrebbe essere identificato in quello dell’analogia spinta fino al corto circuito, così da indicare l’essenza di un quesito.
La riflessione di Canfora ruota infatti attorno ad interrogativi che l’uomo si è sempre posto, e che la modernità si illude di aver risolto: cos’è il potere? Dove risiede? Chi lo esercita?
L’intervento prende le mosse dalla posizione utopico – polemica espressa da Lucrezio alla fine del III libro del De rerum natura, per cui il potere è vano, apparente, “non datur umquam” ( non dato né assunto). Da qui, la riflessione che Canfora pone a epigrafe del libro: “Non esiste Sisifo. O meglio, Sisifo è qui, tra noi, in questa vita. L’abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi: è il politico che si accanisce a brigare col popolo per ottenere i fasci e le scuri temibili (ndr, i simboli del potere a Roma)”.
La problematica posta è di natura etica e nel corso dell’intervento Canfora ci porta ad abbandonare le certezze derivate dalle nostre sovrastrutture politico – sociali: ci si chiede, ad esempio, se in democrazia il popolo possa essere superiore alla legge. Dopo aver sottolineato l’abuso e l’incomprensione del termine “democrazia” iniziato con la rivoluzione francese, Canfora ripercorre diverse tappe e posizioni della questione: dalla morte esemplare di Socrate ai pochi bolscevichi che si autodelegavano al potere, fino alla nostra democrazia rappresentativa, in cui la legittimazione ricevuta dal “popolo” è sopravvalutata e, a volte, strumentalizzata. Infatti, come in Atene una distinzione fondamentale era quella tra cittadini e non cittadini (schiavi, donne, stranieri), nel XX secolo dei partititi di massa si hanno i cittadini politicizzati e non: per quanto alcune sfere pretendano di rappresentare il dêmos, esse risulteranno pur sempre parte di un élite, e delegate di se stesse. Lo stesso istituto del suffragio universale, per cui i paesi europei hanno combattuto tra ‘800 e ‘900, appare in tutta la sua fragilità, soprattutto in una società frammentata in cui non tutte le categorie riescono ad essere rappresentate, ed in cui la globalizzazione fa sì che molte politiche fondamentali, come quelle economiche, dipendano sempre di più da un ambito extranazionale.
Canfora dispiega osservazioni simili passando da Sparta e Atene a Benjamin Constant, da Rousseau a Marx, lungi dalla pretesa di indicare un percorso conclusivo o da qualsiasi tentazione nichilista. Egli non intende la storia come “eterno ritorno”, né attribuisce all’antico categorie che gli sono estranee, ma cerca di circoscrivere, attraverso cenni essenziali, un ambito inesauribile di interrogativi sulla “natura del potere”.
Quest’analisi eclettica, lucida, audace, è utile per chiunque senta la necessità di osservare il proprio presente da una prospettiva storico – filosofica più ampia. La panoramica di Canfora riesce a mostrare la storicità del nostro profilo politico e sociale, e ad alimentare la voglia di verificarne le basi per migliorarle.
POGGIBONSI. Ieri pomeriggio (27 ottobre), intorno alle 18, la sala minore del teatro Politeama ha ospitato la presentazione dell’ultimo libro di Luciano Canfora, La natura del potere, edito da Laterza e pubblicato nella nuova collana battezzata “Anticorpi”.
Questo nome non è casuale: attraverso brevi saggi scritti da intellettuali contemporanei, si cerca di fornire ai lettori dei baluardi di difesa e di approfondimento della nostra vita democratica e civile.
Canfora è noto per la sua capacità di far riflettere il moderno nell’antico e viceversa: forte della sua vita di studi in filologia classica, egli dispiega un pattern di riferimenti che sottolineano ad ogni svolta l’imprescindibilità della cultura antica per tutti gli sviluppi successivi. Il suo metodo di indagine potrebbe essere identificato in quello dell’analogia spinta fino al corto circuito, così da indicare l’essenza di un quesito.
La riflessione di Canfora ruota infatti attorno ad interrogativi che l’uomo si è sempre posto, e che la modernità si illude di aver risolto: cos’è il potere? Dove risiede? Chi lo esercita?
L’intervento prende le mosse dalla posizione utopico – polemica espressa da Lucrezio alla fine del III libro del De rerum natura, per cui il potere è vano, apparente, “non datur umquam” ( non dato né assunto). Da qui, la riflessione che Canfora pone a epigrafe del libro: “Non esiste Sisifo. O meglio, Sisifo è qui, tra noi, in questa vita. L’abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi: è il politico che si accanisce a brigare col popolo per ottenere i fasci e le scuri temibili (ndr, i simboli del potere a Roma)”.
La problematica posta è di natura etica e nel corso dell’intervento Canfora ci porta ad abbandonare le certezze derivate dalle nostre sovrastrutture politico – sociali: ci si chiede, ad esempio, se in democrazia il popolo possa essere superiore alla legge. Dopo aver sottolineato l’abuso e l’incomprensione del termine “democrazia” iniziato con la rivoluzione francese, Canfora ripercorre diverse tappe e posizioni della questione: dalla morte esemplare di Socrate ai pochi bolscevichi che si autodelegavano al potere, fino alla nostra democrazia rappresentativa, in cui la legittimazione ricevuta dal “popolo” è sopravvalutata e, a volte, strumentalizzata. Infatti, come in Atene una distinzione fondamentale era quella tra cittadini e non cittadini (schiavi, donne, stranieri), nel XX secolo dei partititi di massa si hanno i cittadini politicizzati e non: per quanto alcune sfere pretendano di rappresentare il dêmos, esse risulteranno pur sempre parte di un élite, e delegate di se stesse. Lo stesso istituto del suffragio universale, per cui i paesi europei hanno combattuto tra ‘800 e ‘900, appare in tutta la sua fragilità, soprattutto in una società frammentata in cui non tutte le categorie riescono ad essere rappresentate, ed in cui la globalizzazione fa sì che molte politiche fondamentali, come quelle economiche, dipendano sempre di più da un ambito extranazionale.
Canfora dispiega osservazioni simili passando da Sparta e Atene a Benjamin Constant, da Rousseau a Marx, lungi dalla pretesa di indicare un percorso conclusivo o da qualsiasi tentazione nichilista. Egli non intende la storia come “eterno ritorno”, né attribuisce all’antico categorie che gli sono estranee, ma cerca di circoscrivere, attraverso cenni essenziali, un ambito inesauribile di interrogativi sulla “natura del potere”.
Quest’analisi eclettica, lucida, audace, è utile per chiunque senta la necessità di osservare il proprio presente da una prospettiva storico – filosofica più ampia. La panoramica di Canfora riesce a mostrare la storicità del nostro profilo politico e sociale, e ad alimentare la voglia di verificarne le basi per migliorarle.