La sua casa di Firenze era una vera e propria mostra a cielo aperto, dove fra il verde di un meraviglioso, giardino, vicino a Santa Croce, emergevano sculture e suggestioni
di Paola Dei
Paola Crema, moglie del noto artista e antiquario fiorentino Roberto Fallani, da poche ore ci ha lasciato a causa di una malattia verso la quale ha lottato fino all’ultimo nella sua casa di Roma. Parlare di Paola é come riscrivere la storia dell’arte al femminile. Nelle sue due case di Roma e Firenze, che ho avuto il piacere di frequentare, tutto era arte e poteva capitare di incontrare Antonio Paolucci, Philippe Daverio, Vittorio Sgarbi, Cristina Acidini, Giuliano Serafini, storiche dell’arte, attori, attrici, stilisti e stiliste, personalità del mondo della cultura. Non esisteva una Cultura con la C maiuscola o meglio, la C maiuscola non era determinata da snobismo ma dal vero amore per le arti. Questo era il parametro principale per poter partecipare agli incontri da lei promossi, dove i contenuti culturali erano il centro e il fulcro delle conversazioni. C’era spazio per l’artista famoso e per il principiante ma, se si voleva che l’amicizia durasse a lungo e non fosse solo un passaggio casuale, occorreva avere un’attenzione e una sensibilità più profonde del semplice sguardo di superficie e la curiosità per la materia, non per la mistificazione della realtà o per sparlare di qualcuno. Da lei avveniva veramente ciò che ha auspicato Massimo Bontempelli nei suoi scritti:”Conversare è entrare nel solco di ciò che ha detto l’altro e di qui proseguire per un tratto o perfezionare quel solco”. Paola sapeva cogliere perfettamente dove stava il vero sapere e il vero interesse ed era in grado di far aggiungere sempre qualcosa in più ai temi di cui trattavamo. C’era spazio per parlare di lirica, di arte, di moda, di cinema, di teatro, di scultura e di gioielli; le fantastiche sculture gioiello che lei realizzava con una tecnica tutta particolare attingendo al mondo classico.
Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze, Paola si era dedicata allo studio dell’antichità, ma anche del design, esplorando il mondo antiquario, poi, per una serie di circostanze, iniziò a dedicarsi alla scultura partendo dalle cose piccole perché abituata alle cose piccole.
Le sue conoscenze dell’archeologia le permisero di iniziare a lavorare portando oggetti di madreperla, cristallo, coralli affinché ne fosse realizzata la forma in bronzo, ma, come diceva lei stessa, quando andava ad aprire la forma si sentiva come un archeologo alla ricerca di nuove cose che emergevano dentro alle forme e così costruiva la sua archeologia.
Da qui é nata l’archeologia immaginaria, un gioco concettuale teso a farci credere che le sculture da lei realizzate sono reperti “riemersi da un continente perduto”.
Le sue sculture iniziali, tipo Wunderkammer in argento e e materiali preziosi e gioielli esclusivi, vere e proprie piccole sculture da indossare, sono state ospitate nella collezione completa per un anno al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, ma alcune sono rimaste in modo permanente.
Poi si è dedicata alla scultura in bronzo di grandi dimensioni. La sua casa di Firenze era una vera e propria mostra a cielo aperto, dove fra il verde di un meraviglioso, giardino, vicino a Santa Croce, emergevano sculture e suggestioni. Non meno affascinante era la sua casa di Roma, ma le sue opere sono state anche esposte al Museo Archeologico di Firenze, al Museo del Corso a Roma, a Villa Adriana a Tivoli, al Tempio di Adriano e in numerose location internazionali di grande prestigio.
Paola aveva uno stile unico che faceva risplendere tutta l’arte femminile, dove sappiamo che i percorsi non sono stati né semplici né scontati nei secoli. Oltre a questo era anche una donna straordinaria, capace di vera solidarietà femminile. Aveva capito molto bene, come sosteneva la Angelou, che ogni volta che una donna lotta per se stessa, lotta per tutte le donne. Mai ho intravisto un moto d’invidia negli occhi di Paola, mai le ho sentito proiettare i difetti sulle altre, lei introiettava la sua archeologia, non proiettava il male, introiettava il bene e soprattutto era sempre così. Non malevola con alcune e solidale con altre per l’apparenza o per sentirsi a posto la coscienza.
L’ultima volta che abbiamo preso un té insieme risale al 2019, come è rappresentato nella foto dell’articolo, ero insieme ad un’altra cara amica, collaboratrice di Giorgio Albertazzi, conosciuta proprio a casa di Paola, ma ci siamo sentite online per tutto il tempo del coronavirus ed ho avuto il piacere di scrivere un pezzo per lei in una antologia dedicata all’arte Fiorentina. Ho recensito sue mostre e mi rende molto felice vedere nella mia biblioteca la foto di molte sue opere in libri scritti e curati da me. Non ultimo I cannibali, di cui si allega la foto.