di Mario Ascheri
ABBADIA SAN SALVATORE. La solenne celebrazione di San Marco papa (del quale al museo abbaziale si conserva una straordinario busto senese in rame dorato del 1381) ha concluso una quattro giorni di lavori intensi all’abbazia, da giovedì 1 a domenica 4 agosto.
Si è cominciato con una giornata organizzata da Guido Tigler concentrata sulle cripte abbaziali in Toscana, promossa con la collaborazione della Associazione delle abbazie storiche toscane (animata dal’avvocato Tiezzi Maestri), durante la quale si è proseguito il lavoro già svolto con l’approfondimento del rapporto tra la cripta amiatina e quella, pressoché coeva, di Acquapendente. Quel primo incontro aveva nel frattempo prodotto un volume di atti molto ricco, ma stavolta si è andati oltre, coinvolgendo realtà anche non così vicine, da Giugnano a Settimo, e non italiane (Spira, ad esempio).
Gli specialisti presenti, storici dell’architettura molto esperti, a partire da Fabio Gabbrielli, hanno esaminato le problematiche costruttive dando infine molta importanza al tipo di lavorazione delle pietre usate. Il loro particolare taglio ha avuto periodi relativamente brevi e ormai precisati per consentire datazioni delle emergenze come quelle esaminate.
Dopo la lunga regolarità antica, romana in particolare per noi, il Medioevo inaugurò un periodo di interventi più funzionali che armonici. Per molti motivi che si tratteranno negli atti che verranno raccolti nel prossimo fascicolo della rivista dell’associazione (già presentata a Monte Oliveto, tra l’altro), confermata la fondazione longobarda dell’abbazia, si è riportato il completamento della cripta e nuova chiesa abbaziale (forse utilizzante materiali della precedente) ai tempi dell’abate Winizo, verso il 1030-40.
L’abbazia ebbe allora un periodo di particolare splendore che gli studi del compianto Wilhelm Kurze, dedito per tutta la vita alle carte più antiche dell’abbazia (dai longobardi a Innocenzo III), poterono portare finalmente all’attenzione. I suoi lavori sono stati con con cura completati dall’allievo Mario Marrocchi, che al convegno ha dato notizia dei più recenti sviluppi della ricerca, anche rispetto al suo volume sui ‘Monaci scrittori’ del 2014. In soli cinque anni la notorietà del caso amiatino e nuovi orientamenti storiografici hanno approfondito problemi fin qui passati sotto traccia, per i quali sono stati importanti anche gli studi dell’americano Michael Gorman su manoscritti certamente prodotti all’abbazia e ora conservati altrove.
L’abbazia tra papato e impero, ha spiegato Marrocchi, svolse un ruolo notevole che sono bene spiegati dalla sua posizione al confine con il Patrimonio del Beato Pietro e dalla sua autorevolezza come centro religioso (fu monastero esente dal controllo del vescovo di Chiusi), culturale e di amministrazione di un enorme patrimonio. Quest’ultimo richiamò attenzioni anche eccessive dei grandi signori dell’area, gli Aldobrandeschi, mentre attorno all’abbazia si sviluppavano il castello e il borgo del futuro Comune di Abbadia, che avrebbe contestato con episodi anche clamorosi ben studiati da Odile Redon (anch’essa scomparsa) i diritti patrimoniali dell’abate sul territorio. Un tradizione di forte controllo comunale del territorio si sviluppò nel Duecento e rimase viva nonostante momenti di predominio orvietano finché si stabilì definitivamente, ancor prima della Grande Peste, la dominazione di Siena.
Questa fu però, qui e in località vicine troppo importanti per la loro posizione strategica (Radicofani, Sarteano, Chianciano, Piancastagnaio, casi sui quali si è soffermato Alessandro Dani), generalmente rispettoso del governo locale, che poté proseguire la sua politica di erosione dei diritti abbaziali. Il Quattrocento, nonostante decenni di crisi generale qui e altrove, segnò il rafforzamento del Comune, che conservò la sue larghe autonomie anche in età medicea, consentendo l’operatività di famiglie (come i Gotti-Cavalcanti studiati da Stelvio Mambrini) distintesi per il loro benessere proprio mentre quello degli abbadenghi in genere, con il Seicento, cominciava a declinare.
Eppure l’abbazia operò grandi lavori strutturali e fu committente di notevoli opere d’arte che in molte località dell’Amiata (anche modeste oggi come Monticello e Montelaterone) arricchirono le chiese mostrandoci oggi la genialità di artisti amiatini operanti nel solco della tradizione artistica senese, come ha evidenziato Marco Ciampolini.
Il sempre folto pubblico ha capito bene che sono stati messi dei punti fermi per ulteriori acquisizioni. L’abbazia con don Giampaolo Riccardi e il Museo d’Arte Sacra annesso diretto da Paolo Castrini, hanno dato notevole spessore al ‘Festival’ che si può ben prevedere anche più ricco nelle prossime edizioni.
Resta il problema del coordinamento degli sforzi da parte delle varie comunità (e Comuni) interessati. Si potrebbe fare molto di più se i territori che in passato hanno condiviso mille problemi (anche con successo) facessero squadra e avviassero collaborazioni stabili.
Il turismo ormai in aree come queste deve andare a braccetto con la cultura e la storia, oltreché con gli sport. E dove c’è stato un passato notevole la responsabilità per l’intreccio positivo di questi impegni deve essere anche maggiore.