A Prato un progetto espositivo sulla continuità tra arte e vita

L’intervento di Serena Fineschi (Siena, 1973) negli ambienti dello studio BBS si gioca sulla messa in discussione del concetto di identità attraverso la sostituzione di due elementi uguali: l’ingombrante ma discreta esibizione dell’opaco pannello di plexiglas (in realtà policarbonato) che l’artista ha fatto togliere dal lucernaio e appoggiare alla parete diventa quasi un memento sulla condizione duale dell’esistenza; questa è un oscuro deposito residuale rischiarato dalla luce che proviene dal soffitto; da quella parte del lucernaio dove il nuovo pannello, del tutto trasparente, lascia passare i raggi del sole. L’artista senese ha coinvolto Emanuele Becheri (Prato, 1973), la cui opera esposta fa parte della serie Impression, per l’interesse che entrambi mostrano per il tema dell’accumulo silenzioso del tempo, e del tempo che questo porta con sé, sotto forma di polvere, intemperie, fuliggine, ragnatele, respiri.
Nello stesso spazio sono presenti le opere di Virginia Zanetti e David Casini la cui vicinanza è solo di ordine spaziale essendo le rispettive opere sottoposte ad un confronto multiprospettico, fra i due spazi espositivi in differenti momenti. Fuori dallo studio risuona l’aria Vissi d’arte dalla Tosca mentre all’interno il video della performance documenta, attraverso il canto muto del soprano, la diffusa dimenticanza dei tempi moderni, producendo un vuoto effetto straniante. L’opera di Virginia Zanetti (Fiesole, 1981) trova una straordinaria sintonia con l’istallazione sonora di Enrico Vezzi (San Miniato, 1979) a Lato nella quale bottiglioni, damigiane e fiasche fanno da cassa di risonanza ai suoni antropici che risuonano negli ambienti e nella quale la muta resa visiva un po’ scenografica non tradisce il fragore dei rumori di fondo, accordati ai vari vetri come filtri sonori, che si possono ascoltare in cuffia come spettatori non partecipanti.
Sempre negli spazi di Lato è presente il dialogo fra i lavori di Marco Magni (Soregno, Svizzera, 1975) e Giovanni Kronenberg (Milano, 1974) vicini per un interesse verso gli aspetti minuti che mutano la visione della realtà e una ricerca sulla corposità dei materiali che spinge ad un interazione polisensoriale sottoposti ad un maquillage della perfettibilità; così è per i velluti impolverati intrisi di argilla di Marco Magni, come per la spugna naturale che Giovanni Kronemberg ha imbevuto di un distillato di essenze marine.
L’ultimo lavoro presente a Lato è quello di T-yong Chung (Tae-gu, S.Korea, 1977), già istallato per la mostra di novembre, il cui video proietta l’esasperazione di un’esistenza vissuta in due dimensioni che trova, in una sorta di dialettica del contrappasso, la sua conclusione nella scultura poliedrica e polidimensionale di David Casini (Montevarchi, 1973) estrusa dalla superficie piana del muro.
I lavori si inseriscono bene nelle eleganti e accoglienti architetture degli spazi pratesi, merito di una sinergia costruita con cura da Matteo Innocenti e di una certa coerenza e unità “innata” degli artisti che si confrontano con il tempo presente, in cui è possibile indovinare richiami continui ad una certa misteriosa relazione con la realtà e la consapevolezza di esserci dentro.