Ottavia Piccolo e Alessandro Gassmann guidano alla grande un bel gruppo di giovani
SIENA. Reale, emotivo, coinvolgente è il testo scritto da Stefano Massini, autore di punta della nuova drammaturgia italiana, “7 minuti”, ispirato ad un fatto di cronaca: la lotta di un gruppo di operaie tessili di Yssingeaux, nell’Alta Loira. 11 donne, che costituiscono il consiglio di fabbrica e rappresentano 200 operaie, si riuniscono per decidere se accettare la riduzione di 7 minuti su 15 nella pausa di ciascuna e non essere licenziate. Su questo elemento viene costruita la storia, portando in scena tutta l’angoscia di chi rischia il posto di lavoro, il dolore di chi perde la dignità, perché non può mantenere i propri figli, di chi giovane si vede preclusi i progetti di vita (la famiglia, la casa). La rabbia, la disperazione, la consapevolezza di cedere ad un ricatto (oggi sono 7 minuti, all’apparenza un’ inezia, domani?) e di coinvolgere con la decisione presa altre fabbriche nell’Europa della crisi, sfociano in un dinamismo scenico, mai eccessivamente concitato, ma capace di amplificare le emozioni nello spettatore. Questi in un’ora e mezza di spettacolo viene immerso in un’amara radiografia del presente e si rende sempre più conto che quello a cui sta assistendo non è una storia di lotta operaia come tante altre viste nel passato, ma l’immagine dolorosa di un nuovo secolo fortemente incoerente e denso di pericoli. Ecco che le 11 donne, rappresentanti altrettante storie di vita (l’immigrata, la sbruffona, la nevrotica, la spaventata), danno corpo alla paura, alla gelosia, al sospetto, che le mettono l’una contro l’altra, alla terribile incertezza del futuro. Insomma scaturisce l’immagine non tanto dell’umanità del XXI secolo, ma dell’Europa della decadenza, che sta perdendo i diritti dell’uomo “In quanto uomo”, tanto duramente acquistati con le sue lotte nel passato. Spread, borsa, giovani, lavoro: questi sono i punti cardinali che tocca l’ago della sua bussola impazzita.
Le attrici giovani e molto brave (Arianna Ancarani, Maiga Balkissa, Eleonora Bolla, Vittoria Corallo, Cecilia Di Giuli, Paola Di Meglio, Stella Piccioni, Silvia Piovan, Olga Rossi, Stefania Ugomari Di Blas) portano in scena con forza e intensità la tragedia attuale della perdita del lavoro e del compromesso a cui i dipendenti sono obbligati dal nuovo volto della proprietà dell’azienda: non più uno, ma più azionisti, senza un volto e spesso stranieri. Ecco perché si può parlare di “neorealismo” proletario, in cui uomini e donne sono impegnati a reagire alla logica del “si salvi chi può”, tentando con ostinazione di non morire. Il team tutto al femminile viene guidato da Ottavia Piccolo, che rappresenta la voce della riflessione, della logica, della giustizia, della resistenza, con quella disinvoltura e semplicità di chi vive per e nel (grande) teatro. Alessandro Gassmann, all’ottava regia, conferma il suo talento nel ridare al teatro il tradizionale compito di “luogo di denuncia senza rinunciare alla produzione di emozioni“, capace di raccontarci una verità. In un’unica scena realista (Gianluca Amodio), lo spogliatoio della fabbrica, le operaie dal tramonto all’alba discutono per votare la proposta dei nuovi dirigenti dell’azienda. Di grande effetto il ricorso alle proiezioni su teloni per introdurre i flash back durante la narrazione. Lo spettacolo termina con grande successo tra il pubblico presente.