Siamo in Boemia all’interno di uno stabilimento termale specializzato nella cura della fecondità femminile, una bellissima infermiera aspetta un figlio, frutto di una sola notte d’amore
di Paola Dei
Cinquant’anni fa il sagace scrittore ceco Milan Kundera, oggi ultranovantenne, pubblicava Il valzer degli addi, una disputa fra due personaggi incarnati nelle storie e nei protagonisti delle vicende, in mezzo ai quali si pone il caso. Scienza o fede? Ma il caso spariglia i calcoli.
Noto al grande pubblico per il libro divenuto cult con il titolo L’insostenibile leggerezza dell’essere, Kundera in questa opera affronta grandi temi esistenziali.
Un Romanzo in cinque atti con tutte le caratteristiche della commedia noir raccontato senza digressioni. Una storia e tante storie che si intrecciano e si sviluppano nell’arco temporale di cinque giorni. Intelligente, sarcastico, stimolatore di domande tutt’altro che banali, il grande scrittore che con ogni suo libro ci pone davanti a temi esistenziali non di poco conto e, ogni volta, al di là della indubbia capacità di scrittura, aggiunge qualcosa di nuovo a quello che già sappiamo. Non sono molti i romanzi che assolvono ad una funzione che possiamo definire chiarificatrice e terapeutica. La scrittura di Kundera ha queste caratteristiche e non è un caso che il mondo intero legga i suoi scritti tradotti in un numero indefinito di lingue, con la stessa curiosità e trepidante attesa. Il valzer degli addii, è un romanzo di circa 240 pagine con caratteri grandi leggibile anche da parte di chi non ha una vista acutissima, ha una trama semplice e leggera che si legge con il fiato sospeso senza mai annoiarsi neanche un attimo.
Lui stesso ne L’arte del romanzo, ha sostenuto che questo è il romanzo che gli é più caro. “Si fonda su un archetipo formale del tutto diverso da quello degli altri miei romanzi. È assolutamente omogeneo, senza digressioni, composto da una sola materia, raccontato con lo stesso tempo, è molto teatrale, stilizzato, basato sulla forma del vandeville”.
Lo caratterizza una sola ambientazione dove si muovono otto personaggi diametralmente opposti descritti con la solita immancabile e indiscutibile intelligenza attraverso la quale, l’autore, partecipe e osservatore allo stesso tempo, guarda il dilemma del diritto alla vita sia dal un punto di vista etico e religioso, sia dal punto di vista civile, pragmatico e scientifico, senza mai schierarsi dall’una o dall’altra parte e senza mai dimenticare di mostrarci l’importanza del caso.
“Avere un figlio significa esprimere un accordo assoluto con l’uomo. Avere un figlio è come dire sono nato, ho provato la vita e l’ho trovata così buona che merita di essere ripetuta”.
Già… ma chi non la pensa così? Ha diritto un uomo di decidere per un’altro?
Citando Dostoewskij lo scrittore ceco sgretola le certezze precostituite e ci pone davanti al quesito su quanto il desiderio di ordine sia in realtà desiderio di morte, giacchè la vita è una perpetua violazione dell’ordine, oppure, osservato da una prospettiva opposta, come il desiderio di ordine sia il pretesto virtuoso con cui l’odio per gli uomini giustifica comportamenti negativi?
Siamo in Boemia all’interno di uno stabilimento termale specializzato nella cura della fecondità femminile, una bellissima infermiera aspetta un figlio, frutto di una sola notte d’amore. Sia lei, sia il padre del bambino che dovrà nascere sono compagni di coniugi gelosissimi. A ritmo di valzer intorno a loro si insinuano altri personaggi con le loro storie e con i loro racconti e a ritmo di valzer le pagine sono costellate da addii, come recita il titolo.
Fede o scienza? Ma i conti non tornano con nessuno dei due punti di vista se non si considera il caso. Terzo elemento che scozza le carte.
Nelle pagine del libro l’autore porta in luce il fatto che la vita di ognuno di noi è costellata da incontri; quella delle persone umili e quella delle persone importanti in egual misura, ai quali seguono inesorabili abbandoni e addii che chiudono capitoli più o meno importanti delle nostre vite. Non dimentica però di evidenziare anche come ogni addio segni il percorso di nuovi inizi e a scoperte inimmaginabili.
“Andò a passo rapido verso la macchina, aprì la portiera, si sedette al volante e riparti per il confine. Ancora ieri credeva che sarebbero stati momenti di sollievo. Che sarebbe partito con gioia da quel paese. Che avrebbe lasciato un luogo in cui era nato per sbaglio e a cui non apparteneva veramente. Ma in quel momento sapeva che stava lasciando la sua unica patria e che non ne esistevano altre”.