"Quando i banditi s'appiccavano"
di Augusto Codogno
Le “forche” per la giustizia furono rizzate nell’anno 1304 fuori da Porta Romana, mezzo miglio al di là dell’Osteria della Coroncina sul poggio detto “del Corposanto”, in località Pecorile. Secondo Don Merlotti, acuto storico delle “Memorie delle Parrocchie Suburbane della Diocesi di Siena”, queste forche erano situate, andando da Siena verso Colle Malamerenda, sulla destra, mentre nell’altro poggetto a sinistra era la Chiesa di “S. Stefano a Pecorile”. La località di Pecorile, ancora oggi individuabile nel gruppo di case lungo la Cassia (detta anche Strada Romana o Strada Regia Postale), nei pressi del Ristorante “La Capannina” è testimoniata fin dalla seconda metà del 1100. Attualmente, un podere sulla destra, oltrepassato il locale predetto, porta questo nome e dal Catasto, sappiamo essere denominato proprio “Podere Pecorile”, fin dai primi anni del 1800. Questo edificio, appartenne addirittura allo scrittore senese Federigo Tozzi che, quando morì il padre, lo ereditò assieme a quello denominato del “Castagno”. Poco dopo (il lavoro di scrittore non dava ancora buoni frutti), fu costretto a venderlo tenendosi solo il Castagno. Questo fabbricato è perfettamente descritto nel suo famoso romanzo “il Podere”, dove ne cita i particolari ed anche la campagna circostante, con la vallata che scende alla Tressa, le strade, i campi e i coloni che la Domenica traversavano il torrente e la pianura fangosa per andare a Messa nella chiesetta di S. Simone e Giuda di Colle Malamerenda. Eh sì, perché anche gli abitanti di Pecorile andavano nella chiesetta di Colle in quanto la loro non esisteva più. Il podere di Federigo Tozzi, ancora oggi sulla destra della strada, fu vicinissimo al luogo dove venivano giustiziati i condannati a morte molti secoli prima, mentre la chiesa dall’altra parte della strada scomparve all’ incirca nel 1650.
Citando il Merlotti. “Tolte le forche dal Corpo Santo di Pecorile, la chiesa di S. Stefano, che fino allora aveva servito a dar sepoltura ai miseri giustiziati, si mantenne in essere fino all’anno 1650, dopo che ne venne deciso l’abbattimento in seguito al trasferimento”.
I materiali di risulta di questa chiesa vennero usati per fare opera di manutenzione a quella di Colle Malamerenda alla quale era stata annessa. Quando si decise di istituire in questa località (1304) la sede dell’estrema giustizia, S. Stefano a Pecorile era già uno dei “Comunelli” delle Masse del Terzo di San Martino. Nel 1777, al tempo della legge del 2 Giugno per la quale l’elenco di queste comunità fu implementato, lo era ancora. Ma la storia di Pecorile è ancora più antica. Oltre a vari contratti del 1200, come ad esempio quello nel quale nel 1239, un certo Giunta di Bandino, dona a Cacciaconte (Rettore dell’Ospedale Santa Maria della Scala di Siena) un pezzo di terra nella sopradetta località (ASS-Spedale S. M. della Scala Gennaio 31. Ind. 13. D. 0,10 0,10), ci sono notizie antiche anche sulla chiesa di Santo Stefano, rammentata già alla fine del 1100. Una Bolla di Papa Clemente III° infatti, spedita al Vescovo di Siena “Bono” nel 1189, nomina S. Stefano a Pecorile, tra le 17 chiese che facevano capo alla Pieve a Bozzone. La fama di questa località tuttavia, nonostante abbia avuto un’antica chiesa e sia stata sede di una comunità della Repubblica senese, rimarrà per sempre legata alle sue “Forche” ed alle esecuzioni capitali.
I condannati a morte erano di solito condotti (a piedi) in Piazza del Mercato Vecchio e da qui alla Costa dei Malcontenti, dove li aspettava un carro tirato da cavalli, che, passando per Porta Giustizia e Val di Montone, li conduceva a S. Stefano a Pecorile. Nel piccolo cimitero di questa chiesetta, dopo l’avvenuta morte, venivano seppelliti con l’ausilio e l’intervento della “Compagnia della Buona Morte”, pagata a spese del Comune di Siena, che si occupava del cadavere e di redigere veri e propri verbali delle esecuzioni.
Essendo Pecorile un po’ troppo fuori città, a partire dal 1431 il Governo della Repubblica decise che una parte dei condannati venissero giustiziati in luogo più vicino e così ordinò che fosse innalzata una chiesa accanto a Porta Giustizia. L’idea era quella di adempiere in questo luogo l’estrema giustizia esclusivamente per i “forestieri”, che poi venivano seppelliti nella chiesa di San Luca, situata nella pendice del poggio che va verso il convento dei Servi di Maria. Ma a fine 1400 le esecuzioni capitali a Pecorile, nonostante la loro diminuzione, continuarono, come ci dimostrano alcune pergamene delle confraternite che si occupavano della sepoltura dei condannati:
1480 : Iacomo di Piero Barbini, di quello di Firenze fu impiccato a dì 3 d’Ottobre 1480 a Pecorile
1485 : Giovanni di Incorno da Firenze, maestro di statere, fu impiccato a dì 9 di Marzo, a Pecorile.
1485 :…di…, di quello di Firenze, fu impiccato a dì…di Giugno a Pecorile e impiccò el Bargello
1485 : Galgano di….Frate stato di San Domenico, fu impiccato a dì … di Giugno a Pecorile: impiccò el Bargello.
1490 : Giovanni…da Colle fu impiccato a Pecorile, per ladro.
L’evento più famoso però, risale all’anno 1358, ai tempi della guerra tra Siena e Perugia e ce lo narra il cronista Neri di Donato (Annales Senenses ovvero “Cronache di Neri di Donato da Siena dal 1352 al 1381” pubblicate in Rerum Italicarum Scriptores a cura di L. A. Muratori, Tomo XV da pag. 158): “La pace si trattava col Comuno di Siena e Perugini, e erane mezano i Fiorentini, e ordinaro che i Perugini cavalcassero su quel di Siena infino a Buonconvento, e poi facessero la pace. E così li Perugini con loro gente e sforzo cavalcaro sul Contado di Siena ardendo e guastando ciò che poteano, e pigliando prigioni, e uccideano, e faceano grande danno. E quando i Perugini trovavano e’ casamenti de’ Talomei (di proprietà dei Tolomei), tutti l’ ardeano e guastavano, perché erano loro nimici. E così cavalcoro infino a Buonconvento, e con loro erano quelli di Sassoferrato; e così poi trapassarono (superarono) Buonconvento, come da’ Fiorentini furo messi al punto (come concordato con i Fiorentini), e vennero infino alle Forche di Pecorile presso a Siena a un miglio, e ine posarono il campo, e guastaro le dette Forche, le quali catene erano a traverso su le more (colonne a base quadrata in genere a mattoni) delle Forche in luogo di pertiche , e ine s’ appiccava i malfattori; e così li scorridori vennero infino appresso le Porte di Siena. E veggendo questo li Sanesi, si levoro a romore, e armossi tutto il Popolo, e sonaro le campane di Siena a stormo. I Perugini, sentendo l’ apparecchiamento de’ Sanesi, dubitoro e levarsi, e dicevano uno dettato, come: non fu ne patti di Maestro Orinale, che le campane dovessero sonare. Imperocchè era Capitano del Popolo uno Medico di Siena, che avea nome Messer Agnolo di Ser Chelotto. I Sanesi rispondevano e dicevano: non fu ne’ patti di Misser Pottevento, che voi non passaste Buonconvento”(pag. 161) A questo punto i Perugini si ritirarono con alcuni prigionieri e portano per trofeo quelle catene che avevano tolto alle Forche predette “ e portarne le dette catene, le quali attaccoro di fuore delle finestre del Podestà a capo la Porta; e parve loro aver fatto le lor vendette, poiché ne portaro le catene delle Forche di Pecorile, che con festa entraro in Perugia”. Poiché il Capitano del Popolo di Siena aveva accettato quel tipo di trattato che prevedeva di far venire il nemico fino a Buonconvento o comunque troppo vicino alla città ed aveva arrecato disonore, fu mandato via da Siena. I senesi ritennero di aver ricevuto troppo danno e troppa ingiuria ed allora “deliberoro di vendicarsi contro i Perugini, e mandaro a soldare gente a cavallo e a piè a Bologna, e in Lombardia, e in altri luoghi, e vennero mille cavalli e ottocento fanti. E mandaro a soldare la Compagna del Conte Lando, fatto accordo con esso Conte Lando al soldo de’ Sanesi e con prestezza si mosse per venire” . Il Conte Lando però, mentre cercava di portarsi verso Siena fu attaccato dai Fiorentini e fu bloccato in Val di Lamone e dopo una cruentissima battaglia con migliaia di morti da ambo le parti, la Compagnia fu distrutta ed anche il Lando fu ferito. “Sanesi, vedendo come la Compagna del Conte lando non potea passare, bontà de’ Fiorentini che ajutavano sotto mantello a Perugini….fero venire uno Capitano, il quale era core di Napoli, ed era Sanese Gentil homo di Casa Renaldini; e raunorono (radunarono) ben dieci mila persone a piè e a cavallo. Sanesi posero una presta di cento mila fiorini a balzi*, e colsesi (si raccolsero) in pochi dì, cioè in tre dì.”
A quel punto i Senesi andarono nel Contado di Perugia e fecero a loro volta danni e arsioni fino alle porte della città. Poi, fecero un trattato di pace nel mese di Ottobre del 1358, secondo il quale Siena aveva in perpetuo la città di Cortona, mentre i Perugini avrebbero tenuto Montepulciano per cinque anni. I Senesi però dovettero togliere l’ assedio a Monte San Savino e far rientrare il proprio esercito. L’atto di pace fu rogato da Ser Agnolo da Barberino e fu ratificato prima a Perugia (fine 1358) e poi a Siena (inizio 1359) dai rispettivi Ambasciatori.
*(tipo di tassa straordinaria)